Dal grande al piccolo: chi si incrocia in montagna

Al Trento Film Festival si è discusso di come proteggersi dalla fauna non sempre pacifica in cui è possibile imbattersi durante un’escursione

 

Si è tenuto domenica 2 maggio 2021 in occasione del Trento Film Festival 2021 il convegno “La medicina di montagna incontra la fauna selvatica, dal più grande al piccolissimo: trovare l’equilibrio per una sana convivenza”.

Dopo l’introduzione del presidente del Trento Film Festival 2021 Mauro Leveghi, di Antonella Bergamo e di Lorenza Pratali, rispettivamente vicepresidente e presidente della Società Italiana di Medicina di Montagna, ha avuto inizio il convegno.

 

Andrea Mustoni e l’orso

 

Primo a intervenire è stato Andrea Mustoni, zoologo del Parco Adamello Brenta, che ha presentato una relazione dal titolo “L’orso: conoscerlo per evitare problemi!”.

Il relatore ha sottolineato l’importanza della formazione e della comunicazione. Tra noi e la fauna selvatica esiste una barriera che limita le interazioni. È essenziale conoscere bene l’orso e le sue motivazioni ad agire per evitare inconvenienti più o meno gravi, in particolare le aggressioni. Non ci si deve mai avvicinare a un orso, specie se sta mangiando o se si è in compagnia del proprio cane che potrebbe spaventare l’orso, cosa che non deve accadere. Si dovrebbe sempre cercare di entrare nella mente del plantigrado quando lo si incontra, interpretandone lo stato d’animo e le intenzioni. Si tratta di una creatura più semplice dell’uomo, non capace di ragionamenti sofisticati, ma guidato dall’istinto. È quando l’orso ha paura che può diventare pericoloso per l’uomo, specie se si tratta di una femmina accompagnata dai piccoli. Temendo per la loro incolumità, può diventare aggressiva. L’orso in genere non aggredisce i bambini o la loro mamma poiché non li riconosce come un pericolo. È bene cercare di trasmettere all’orso un messaggio tranquillizante, e, per farlo, è necessario non guardarlo negli occhi, in quanto questo atteggiamento rappresenta per lui una sfida. Se facciamo rumore l’orso scapperà: può essere sufficiente parlare a voce alta. Si può affermare che alcune razze di cani sono più pericolose dell’orso, tant’è che alcuni cani arrivano ad affrontarlo, anche se è vero che altri lo temono e scappano. Tutto dipende dall’indole e, naturalmente, dalla stazza.

 Di solito è bassissima la probabilità di essere attaccati da un orso.

L’utilizzo dello spray al peperoncino rappresenta una falsa soluzione, una via sbagliata per difendersi e allontanare l’orso. Va usato per altri scopi che non hanno niente a che vedere con l’orso. Il plantigrado non è un malintenzionato. Da lui ci si deve difendere con la conoscenza. Uomini e orsi possono tranquillamente convivere in armonia sulle nostre montagne. È assolutamente necessario creare una cultura dell’orso. Si deve imparare a tollerare una certa dose di disagi. L’orso è un meraviglioso rivoluzionario che ci testimonia che se ci allontaniamo dalla natura ci ammaliamo. In Slovenia la gente ha meno paura dell’orso perché da sempre ci convive.

 

Marta Gandolfi e il lupo

 

È, poi, intervenuta Marta Gandolfi, zoologa del settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio e presidente della Sezione Tutela Ambiente Montano della Società Alpinisti Trentini (SAT). Tema della relazione il lupo. In America del Nord venne reintrodotto nel Parco Nazionale di Yellowstone nel 1995, dopo settant’anni di assenza. Il lupo non è cattivo come viene descritto nelle favole. È fondamentale l’uso della consapevolezza per permettere la coesistenza tra uomo e animali selvatici. Si può tranquillamente affermare che il lupo non è né buono né cattivo almeno nell’accezione comune dei due termini. È un animale selvatico veloce, resistente ed efficiente. Vive in branchi che occupano un territorio in cui cacciano, si nutrono, curano la prole e difendono gli individui più deboli. Dimostra un’estrema adattabilità anche in ambienti di vario tipo. Riesce a ricolonizzare naturalmente e velocemente spazi abbandonati in precedenza. Il lupo più pericoloso è quello impaurito. Anche un lupo che non ha timore dell’uomo e ha molta confidenza con lui può rappresentare un pericolo. È importante saper riconoscere situazioni particolari, assumendo un comportamento adeguato, rispettoso dell’animale, evitando di avvicinarlo, non disturbandolo, rimanendo al proprio posto. Di solito il lupo sfugge l’uomo. Facendo rumore il selvatico scappa prima di essere visto.

Nel corso della sua storia il lupo è stato perseguitato dall’uomo, giungendo all’orlo dell’estinzione nella maggior parte del suo areale. Un tempo la convivenza tra lupo e uomini è stata buona. Sono stati i cambiamenti sociali a portare trasformazioni a partire dal Medioevo. Il disboscamento, la caccia, la riduzione delle prede, l’avvento della pastorizia e la riduzione degli spazi hanno portato alla nascita dei primi conflitti tra uomo e lupo. Il danno arrecato dal lupo alle attività economiche dell’uomo ha creato seri problemi. I culti pagani dell’orso e del lupo sono sati poco tollerati dal Cristianesimo. Hanno associato la loro figura al maligno, dando agli animali una connotazione molto negativa e sanguinaria e questo ha contribuito non poco ad alimentare l’ostilità nei confronti di questo animale e a creare una sorta di competizione nei confronti del lupo. È venuta meno la consapevolezza del valore ecologico del lupo. L’uomo si è impossessato di molti spazi naturali, sottraendoli agli animali selvatici che li abitavano per loro destino. Si è incolpato il lupo di aver causato la modifica del corso dei fiumi, causata dalla diminuzione degli erbivori. Il conseguente aumento delle piante ha provocato il fenomeno delle cascate trofiche accaduto nel 1995 quando i lupi sono stati reintrodotti nel Parco Nazionale di Yellowstone in America del Nord. Il lupo va considerato nell’ambito del riequilibrio degli ecosistemi. Attualmente il danno causato dal lupo alla zootecnia ha inasprito il conflitto con gli allevatori, facendo diminuire l’accettazione della specie. Il problema è ancora più accentuato nelle zone in cui il lupo viene reintrodotto dopo anni di assenza. Gli allevatori devono cambiare il tipo di gestione delle greggi. Le istituzioni devono essere presenti mettendo in pratica i sistemi di prevenzione in grado di ridurre i conflitti. Un’adeguata assistenza deve evitare e ridurre i danni causati dal lupo, smorzando i falsi allarmismi. Occorrono consapevolezza e comunicazione che abbiano un valido fondamento scientifico, facendo imparare a conoscere i rischi quando si presentano. Importante è la divulgazione che si occupa dei grandi carnivori, con una didattica estesa anche alle scuole. È importante far capire alle persone il tipo di comportamento da tenere quando si incontra un lupo o un orso, lavorando sulla conservazione e sulla gestione del selvatico. Occorre promuovere la convivenza/coesistenza uomo/fauna. Le risorse e la volontà sono le basi su cui cercare di stabilire un giusto equilibrio.

 

Giuseppe Bacis la vipera e il ragno

 

Il relatore successivo è stato Giuseppe Bacis, tossicologo del Centro Antiveleni dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII° di Bergamo. Ha parlato degli “Animali velenosi in montagna”. L’uomo deve imparare a rispettare la vipera dal momento che è lui che ne invade l’habitat. Non si deve mai rincorrere o molestare il rettile. Bacis ha riferito che in Italia esistono cinque tipi di vipera. L’ultima è stata scoperta cinque anni fa ed è la vipera Walser.

La vipera è dotata di un apparato velenifero che le permette di uccidere le prede. L’evoluzione ha trasformato la ghiandola parotide dell’animale in ghiandola velenifera. I denti veleniferi, affilati più dei normali aghi, presentano una scanalatura attraverso la quale il veleno penetra nei tessuti della vittima diffondendosi per via linfatica. Il veleno (100 milligrammi per ogni morso) è composto da numerose sostanze ed ha un effetto letale più basso rispetto a quello di altri serpenti.

I segni del morso di vipera sono bene evidenziabili sul corpo dell’uomo.

 I sintomi possono essere locali (dolore, edema, ecchimosi/flittene, linfoadenopatia) o sistemici: nausea, vomito, dolori addominali, tachicardia, ipotensione, alterazioni elettrocardiografiche, cefalea, vertigini, leucocitosi, trombocitopenia, alterazioni della coagulazione. Nel 10-30% dei casi può verificarsi un “morso secco”. Ciò accade quando il veleno non viene iniettato nei soggetti che non vengono ritenuti delle prede, oppure quando la vipera ha momentaneamente esaurito il veleno perché ha attaccato da poco.  È opportuno lavare la ferita con acqua ossigenata, con permanganato di potassio o con acqua semplice perché il veleno di vipera è idrosolubile. Sono da evitare disinfezioni con alcool o sostanze alcoliche, perché il veleno della vipera a contatto con alcool forma composti tossici.

In caso di morso la parte colpita deve essere immobilizzata. Non si deve incidere la cute né succhiare il veleno, né applicare un laccio emostatico. Il siero antivipera va utilizzato solo in determinati casi in ambito ospedaliero, dal momento che può causare serie reazioni di tipo anafilattico. La vittima del morso deve essere tranquillizzata e trasportata in ospedale. L’elisoccorso può essere utilizzato qualora ci si trovi in aree impervie o lontane. L’uso del bendaggio linfostatico non è praticabile nella fase preospedaliera, salvo il caso in cui ad effettuarlo sia un operatore sanitario esperto. Il siero antiofidico verrà somministrato solo se compaiono gravi sintomi sistemici o edema fino alla radice dell’arto. Vanno applicate regole di prevenzione: proteggere piedi e polpacci indossando scarponcini e calzettoni al ginocchio, non avventurarsi nell’erba alta esposta al sole, non calzare sandali. Si deve evitare di sedersi su pietre o muretti e non vanno smossi i sassi. Non si devono infilare le mani in cavità di alberi o tronchi d’albero tagliati e accatastati o in buchi. Si deve cercare di stare su sentieri tracciati.

 Bacis ha, poi, parlato del morso da imenotteri (api, vespe, calabroni). Può causare lesioni locali minime, reazioni locali estese e prolungate o reazioni sistemiche. Dopo la puntura il pungiglione va rimosso (api). Si deve procedere alla disinfezione, applicando ghiaccio (analgesia). Si possono somministrare antinfiammatori, steroidi, antistaminici, adrenalina e praticare immunoprofilassi. Non va usata l’ammoniaca! Per quanto riguarda la prevenzione non si devono infastidire arnie, alveari o nidi. Va evitato l’uso di profumi dolciastri, indossando indumenti che coprono completamente le varie parti del corpo. Si deve cercare di evitare di cucinare e mangiare all’aperto nelle zone frequentate dagli imenotteri.

I ragni sono dotati di un veleno contenente tossine con azione neurotossica (depolarizzazione, liberazione di neurotrasmettitori soprattutto acetilcolina) ed enzimi (proteasi, fosfolipasi, collagenasi) con possibili effetti emolitici e coagulativi. Tra i ragni più diffusi in Italia il Latrodectus Tredecimguttatus (malmignatta, dimensione di 15 mm.), che è presente in Sardegna e Toscana, soprattutto nel mese di agosto. La puntura determina a livello locale dolore intenso, tumefazione, flittene, escara. A livello sistemico possono verificarsi dolori articolari, crampi muscolari, ipertensione e tachicardia, miosi, cefalea e convulsioni. Per quanto riguarda la terapia occorre disinfettare la parte colpita dal morso e utilizzare antistaminici. A livello sistemico si possono somministrare beziodiazepine, calcio gluconato, antistaminici, cortisonici, eventuale rianimazione cardiorespiratoria in casi estremi e siero specifico. La puntura di Loxoceles determina a livello locale dolore intenso, tumefazione, flittene, escara. A livello sistemico possono verificarsi emolisi, coagulopatia, insufficienza renale. Per quanto riguarda la terapia a livello locale si deve procedere alla disinfezione e all’utilizzo di antistaminici. Importante proteggere i reni in caso di disidratazione, somministrando liquidi o plasma.

 Le tossine contenute nel veleno di scorpioni (Buthus Occitanus, Euscorpius Italicus) sono costituite da enzimi (fosfolipasi, ialuronidasi), proteine con azione neurotossica, aminoacidi, glicosminoglicani, serotonina e istamina. La puntura determina danni a livello locale: modesto edema ed eritema. La terapia consiste nella disinfezione, applicazione di ghiaccio e utilizzo di antistaminici.

 

Andrea Rossanese e la rabbia

 

È, poi, intervenuto Andrea Rossanese, medico del DITM di Negrar (Vr), con una presentazione dal titolo “Principali zoonosi: la rabbia”. Si tratta di malattie che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo. Rossanese ha presentato il caso di una dottoressa olandese di 34 anni deceduta a causa della rabbia contratta in seguito alle escoriazioni prodotte a livello del naso da un pipistrello entrato nella tenda nello Tsavo West National Park in Kenya. Il decesso è avvenuto 23 giorni dopo l’esordio dei sintomi. La diagnosi è stata confermata come encefalite da virus Duvenhage (African rabies-related virus). La tragedia era prevedibile. Occorre informare i viaggiatori del rischio legato al morso di mammiferi selvatici, soprattutto pipistrelli, nelle zone dove la rabbia è endemica. È molto importante incoraggiare la vaccinazione PrEP (pre-exposure prophylaxis). Le specie reservoir della rabbia silvestre sono sconosciute in molti paesi. Il ruolo dei pipistrelli sta diventando evidente in diverse zoonosi emergenti. I suggerimenti in buona fede dei locali sulla PEP (post-exposure prophylaxis) sono spesso non coerenti con le linee guida WHO/CDC/HPA. Il relatore ha illustrato il caso di un commerciante di Andria che ha contratto la rabbia durante un viaggio a Zanzibar in seguito al morso di un cane. Il soggetto è deceduto dopo due mesi. La storia della rabbia è strettamente correlata allo sviluppo della civiltà umana. Il processo dell’addomesticazione del lupo portò ad un avvicinamento di due specie con un conseguente aumento di fenomeni di spillover microbico. Il rabivirus, caratteristico del rapporto pipistrello-lupo, ebbe modo di avvicinarsi all’uomo, nuovo e importante ospite.

 La rabbia è una malattia infettiva correlata a molti virus (18 genotipi, “rabies-related viruses, Lyssa) dei quali solo cinque la causano nell’uomo.  Infatti, già dal 35000 a.C. i canidi accompagnarono le grandi migrazioni umane, diffondendo la rabbia nei diversi continenti. La prima testimonianza scritta ci venne lasciata dalla civiltà babilonese nel 2300 a.C.. L’ultimo continente ad essere certamente coinvolto fu quello delle Americhe, la cui scoperta tra il 1400 e il 1500 portò ad un progressivo aumento di canidi importati dal Vecchio Continente. Ancora oggi non sappiamo se la rabbia fosse già presente nel continente, portata dalle migrazioni, tramite lo stretto di Bering tra il 14.000 e il 12.000 a.C., oppure per fenomeni di spillover locali. Sappiamo che, a differenza di altre patologie, non abbiamo testimonianze scritte delle popolazioni native americane. Non furono i mastini dei conquistadores a importare la malattia, che dovette attendere ancora 200 anni prima di diffondersi nel Nuovo Continente. Il fattore scatenante fu l’incremento della velocità dei trasporti transatlantici quando, tra il 1700 e il 1800, il tempo di traversata in nave scese al di sotto di quello medio di incubazione della rabbia. Dal primo caso in Messico, la rabbia si diffuse in modo rapido instaurando cicli selvatici nei lupi, volpi, procioni e altri animali. Ancora oggi questi animali rappresentano un importante serbatoio. Nel 1886 Pasteur scoprì il primo vaccino antirabbico, fondamentale strumento per contrastare il diffondersi dell’infezione. La malattia può essere trasmessa da vari animali, ma, nel 98% dei casi il responsabile del contagio è il cane. La maggior parte dei casi di rabbia si verifica nel Sud del pianeta. La saliva nella zona del morso trasporta il virus che per via centripeta sale in direzione del cervello e, poi, in via centrifuga, avviene la disseminazione della malattia nelle varie parti del corpo. Il virus avanza di solito tra i 50 e i 100 millimetri al giorno. L’incubazione della malattia va da alcuni mesi a qualche anno, per poi sfociare in una encefalomielite. Il sintomo più precoce è un prurito a livello delle ferite cicatrizzate. La rabbia furiosa è caratterizzata da spasmi idrofobici, iperattività autonomica, rapido deterioramento delle condizioni generali fino al coma. La rabbia paralitica (dumb) è caratterizzata da una paralisi flaccida ascendente ed ha una sopravvivenza più lunga. Per quanto riguarda il primo soccorso, la zona del morso va lavata con acqua corrente e sapone per almeno 15-20 minuti. Se il soggetto non è vaccinato, si deve eseguire un’infiltrazione di immunoglobuline nella ferita. La vaccinazione prevede quattro dosi per i non vaccinati e due di richiamo per i vaccinati. In pre-esposizione due dosi sono sufficienti. Nel mondo si verificano ogni anno sessantamila decessi per rabbia. La Cina e l’India sono le nazioni più colpite. Una vittima ogni quindici minuti. Nel 2021 la rabbia rappresenta ancora una delle malattie a più alta letalità. Quattromila anni dopo la descrizione del primo caso è ancora diffusa in 150 paesi. Si tratta di una malattia incurabile, ma prevenibile e controllabile. La vaccinazione nell’uomo deve essere promossa il più possibile soprattutto nel caso si debba andare in zone endemiche o, comunque, dove è difficile contare su un’assistenza immediata. È inoltre raccomandabile per persone a rischio di esposizione, come per esempio i veterinari. I moderni vaccini sono potenti e sicuri. Il controllo della rabbia canina è il metodo più economico per prevenire la rabbia umana. Trattandosi di una malattia di fatto incurabile, l’enfasi deve essere posta sulla prevenzione, di cui fa parte anche non avvicinarsi ad animali sconosciuti.

 

Nicoletta Dorigoni e le malattie dei viaggiatori

 

È seguita la relazione di Nicoletta Dorigoni, infettivologa dell’Ospedale Santa Chiara di Trento dal titolo “Piccolissimi…ma non meno cattivi”. L’infettivologa ha parlato di quelle malattie che possono infettare tutti coloro che effettuano viaggi nelle regioni montuose della terra. In Asia, per esempio, i grandi affollamenti favoriscono il diffondersi di infezioni. Con il termine infezione si intende la penetrazione e la moltiplicazione di microrganismi in un macrorganismo (pianta, animale, uomo). I batteri sono autonomi, mentre i virus non lo sono: hanno bisogno della cellula dell’ospite per replicarsi. La diffusione delle malattie infettive può avvenire per trasmissione aerea, per via oro-fecale, per via parenterale, per via sessuale, per trasmissione verticale (da madre a figlio) o attraverso alcuni vettori.Tra questi zanzare, acari, zecche, pulci e pidocchi. Si può verificare un trasporto attraverso un vettore meccanico, passivo, mediante un semplice contatto (mosche) o un vettore biologico, attivo, che trasmette il patogeno tramite una funzione attiva, come nel caso della malaria. Non bisogna mai sottovalutare un’affezione addominale che dura nel tempo. La diarrea del viaggiatore, causata da Escherichia Coli, Salmonelle non tifoidi o Campylobacter Species, è la patologia più frequente che colpisce chi soggiorna nei paesi a limitate risorse igienico-sanitarie. Dura da uno a cinque giorni, si instaura durante la permanenza e, in generale, entro dieci giorni dal rientro a domicilio. Necessita di dieta, di riposo e di reidratazione. Viene curata con azitromicina, rifaximina, o con sintomatici come la metoclopramide o la loperamide. Il batterio Salmonella Typhi è l’agente patogeno che provoca il tifo, o febbre tifoide, una malattia sistemica che si sviluppa in modo ingravescente, caratterizzata da un decorso in quattro fasi. Vanno attuati terapia antibiotica, riposo a letto per tutto il periodo febbrile, dieta adeguata e terapia di supporto con liquidi.

 Colera e amebiasi potrebbero essere asintomatici. ma in altri casi possono causare sintomi gravi. Il colera è un’infezione batterica (Vibrio Cholerae), a trasmissione oro-fecale, con una letalità elevata se non trattata precocemente nel modo giusto. L’amebiasi è una malattia a trasmissione oro-fecale causata dall’Entamoeba Histolytica che può manifestarsi con una forma intestinale o una forma extra-intestinale, con ascessi frequentemente in sede epatica.  

L’epatite A è una malattia virale a trasmissione oro-fecale. Si manifesta con malessere, inappetenza, febbre, ittero, prurito cutaneo, emissione di urine color marsala, feci chiare.

Tra le malattie causate da vettori troviamo la dengue, infezione virale di solito non grave, veicolata da una zanzara, l’Aedes Aegypti.

 La Leishmaniosi è una malattia protozoaria trasmessa da un flebotomo, che può manifestarsi con una forma viscerale o con una forma mucosa o cutanea.

La febbre gialla è una malattia causata da un virus e veicolata da una zanzara, l’Aedes Aegypti.

La Malaria, terza malattia mortale nel mondo, è provocata da un protozoo, il plasmodium (4 tipi), trasmessa dalla zanzara Anofele.

 

Anna Beltrame e la zecca

 

È seguita la presentazione di Anna Beltrame, infettivologa del DITM di Negrar (Vr). La relatrice ha parlato di un argomento di grande attualità, la prevenzione e il trattamento del morso di zecca. Le zecche da ormai qualche anno rappresentano una minaccia in alcune località delle Alpi e degli Appennini. Esistono zecche dure e zecche molli. L’Ixodes ricinus è una zecca dura molto diffusa in Europa. Sono descritti tre stadi di sviluppo: larva, ninfa e adulto. Per passare da uno stadio all’altro ha bisogno di effettuare un pasto di sangue e mediamente il suo ciclo biologico si completa in tre anni. Le zecche vivono di solito al di sotto dei 1300 metri di quota. Si trovano in ambienti boschivi e ricchi di cespugli, umidi ombreggiati, con vegetazione bassa e letti di foglie secche, nelle zone di confine tra prato e bosco, soprattutto in presenza di acqua. Vivono in genere nell’erba alta e sono in grado di percepire le vibrazioni del terreno e l’anidride carbonica emessa dall’uomo o dagli animali selvatici. Attendono l’arrivo dell’ospite sui fili d’erba o sui cespugli. Quando animali o uomo si avvicinano le zecche vi si gettano sopra. Gli animali più attaccati dalle zecche sono in genere quelli di piccola taglia, come i roditori o gli uccelli. Il morso è indolore. Nel 50-60% dei casi i pazienti non si ricordano di essere stati morsicati da una zecca. Il pasto di sangue della zecca dura da 3 a 12 giorni ed è più breve nelle larve e nelle ninfe.

La zecca è pericolosa poiché può essere il vettore di alcune malattie infettive, come la malattia di Lyme o la TBE (Thick Borne Encephalitis). Non tutte le zecche sono infette, ma, talvolta, possono veicolare una doppia o una triplice infezione.

La malattia di Lyme (Lyme disease) è stata identificata nel 1977 nella cittadina di Lyme nel Connetticut, non lontano da New York, negli Stati Uniti d’America. Un grande numero di ragazzi presentava sintomi di artrite, diagnosticata all’inizio come artrite reumatoide giovanile. È causata dalla Spirocheta Borrelia Burgodferi, lo scopritore della malattia. Attualmente è la malattia da zecche più diffusa negli Sati Uniti. I sintomi precoci comprendono un rash cutaneo eritematoso migrante (40-60%), seguito, dopo settimane o mesi, da alterazioni neurologiche, cardiologiche o articolari. Dal 1984 è presente in Italia, dove è stato introdotto un sistema di sorveglianza tramite un foglio di notifica da inoltrare alla regione. Tra il 2006 e il 2018 sono sati notificati in Veneto 757 casi. Tra il 2015 e il 2019 sono stati notificati nella provincia di Verona 129 casi. Molti non vengono, tuttavia, notificati. Dopo il morso della zecca può verificarsi una forma precoce localizzata, mentre, dopo sei mesi può verificarsi una forma tardiva, molto più difficile da trattare. Nel 40-60% dei casi compare un eritema migrante, non caldo, né dolente, mentre nel 10% dei casi possono comparire forme neurologiche. Ogni Borrelia presenta una manifestazione diversa. In alcuni casi può comparire l’Acrodermatitis Chronica Atrophicans (ACA), la più comune manifestazione cronica e tardiva in Europa negli anziani, non facile da diagnosticare e da curare. Nella fase acuta della malattia di Lyme la diagnosi è solo clinica dal momento che gli anticorpi non si sono ancora formati. Nelle forme tardive può essere utile un’indagine sierologica per verificare la presenza di anticorpi nel sangue. I due antibiotici usati per la terapia sono l’amoxicillina e la doxicillina.

La TBE (Tick Borne Encephalitis), identificata in Italia nel 1994 in provincia di Belluno, è una malattia causata da un Flavivirus a RNA che colpisce il sistema nervoso centrale. La malattia è presente in varie parti di Europa e di Asia, e viene trasmessa dal morso di zecche infette. È considerata una delle più pericolose infezioni in Europa e Asia. I focolai presenti hanno una distribuzione a macchia di leopardo. Il periodo a rischio di contrarre la malattia va da marzo a novembre. All’inizio della primavera, al risveglio, le zecche sono molto affamate e più aggressive. Nei soggetti giovani la malattia si manifesta con sintomi meno importanti, mentre i soggetti più a rischio sono quelli che hanno più di cinquant’anni. L’incubazione dura dai 7 ai 14 giorni e la latenza clinica è di 7-10 giorni. La malattia è presente in Italia nelle Alpi Orientali. In Trentino le zone più colpite dall’infezione sono la val di Non, la val di Cembra e la valle dei Laghi. Due possono essere le fasi della malattia: una sindrome similinfluenzale e una sindrome neurologica, con complicanze che possono durare nel tempo. La malattia ha un tasso di letalità dell’1-2%. Non esiste un trattamento efficace per la TBE, ma solo una terapia di supporto.

Unico mezzo valido contro la malattia è la prevenzione, riducendo il contatto con le zecche e facendo ricorso alla vaccinazione.

 

Meglio un’oncia di prevenzione…

 

Il concetto è stato ripreso in chiusura dell’incontro da Andrea Rossanese che, dopo aver citato l’affermazione di Pasteur “La fortuna favorisce solo le menti preparate”, ha sottolineato che per combattere le zecche è importante stare il meno possibile all’aperto o, almeno, fare ricorso a insetticidi o repellenti come la permetrina, molto efficace. La concentrazione del principio attivo deve essere compresa tra il 10 e il 50%: più alta è la concentrazione più a lungo dura la protezione. Quando si va in montagna è bene applicare prima la crema solare e, dopo 15-20 minuti, il repellente. I prodotti come il Biokill contengono piretroidi o permetrina e vanno spruzzati su indumenti o calzature. Alterano il sistema nervoso della zecca, rendendola inoffensiva. Nelle zone a rischio è bene usare indumenti coprenti per ridurre il pericolo del contatto con le zecche.

Fondamentale la vaccinazione (Ticovac) che prevede due formulazioni, una pediatrica e una per adulti, con tre dosi. L’efficacia del vaccino è del 98-100%. Ogni 5 anni la vaccinazione va rinnovata, 3 anni se si ha un’età superiore a 60 anni. Rossanese ha concluso affermando che un grammo di prevenzione vale più di un chilo di terapia (“A ounce of prevention is worth a pound of cure”, Benjamin Franklin, uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti).