La bellissima di Balbianello

Alla scoperta della villa dove Guido Monzino trascorse le ore più fruttuose della sua generosa vita

 

Vi si arrivava un tempo dal lago. Ora è stata costruita anche una strada. La Villa del Balbianello sorge su un ardito promontorio del lago di Como, la punta del Lavedo, a circa un chilometro di distanza dall’abitato di Lenno. Ho avuto l’occasione di andarci il 24 marzo 2019, Giornata Nazionale del FAI. Una calda giornata di sole primaverile, con la presenza di una folla immensa. La Villa è stata donata per lascito testamentario al FAI da Guido Monzino, imprenditore milanese,  mecenate illuminato, colto collezionista e appassionato viaggiatore, ultimo proprietario, dopo la sua morte, avvenuta nel 1988. In realtà la costruzione della Villa risale a molti anni orsono, ai tempi del cardinale Angelo Maria Durini. Dopo ventuno spedizioni, questa è stata l’ultima impresa di Monzino, un sogno realizzato giusto prima di morire, per appagare un desiderio, l’ultimo.

Si arriva alla Villa lungo la via  a lui intitolata, camminando in mezzo al bosco per una quindicina di minuti. Superato il cancello di entrata ci si ritrova all’ingresso del complesso di abitazioni. La costruzione della Villa e della Loggia risale alla fine del Settecento, quando il cardinale Durini acquistò la punta di Lavedo, una romantica penisola che si affaccia sul lago di Como, per farne un luogo appartato di villeggiatura e di svago letterario davvero incantevole. Era stato sede fino al XVI° secolo di un piccolo cenobio religioso dell’ordine dei Francescani, di cui rimangono solo i due campanili e la chiesetta che si trovano non lontano dal lago. Dopo la morte del cardinale Durini, nel 1797, la Villa era costituita da due corpi di forma quadrangolare tra loro comunicanti e da un loggiato che collegava la biblioteca e il salotto della musica. L’edificio venne ereditato dal patriota Luigi Porro Lambertenghi, nipote del cardinale, che lo trasformò in un ritrovo per massoni, tra i quali Silvio Pellico. La proprietà venne, poi, venduta a Giuseppe Arconati Visconti, che la trasformò in un elegante salotto estivo, frequentato da Berchet, Giusti e Manzoni. La Villa venne, poi, abbandonata per trentanove anni fino a quando, nel 1919 ,il generale americano Butler Ames la acquistò e la restaurò. Alla morte del generale gli eredi vendettero la Villa a Guido Monzino. Fin da ragazzo aveva ammirato e desiderato per sé la Villa del Balbianello e nel 1974 poté finalmente coronare il suo sogno giovanile. Egli volle che la casa rispecchiasse la sua vita e le sue imprese di viaggio e di scoperte, collocandovi i suoi arredi, e le sue collezioni artistiche. Nel 1978 gli interventi di restauro furono completati e la Villa divenne per Monzino un luogo di serenità, un vero rifugio e luogo di riposo dopo tante avventure. Volle essere sepolto in quel luogo, nella ghiacciaia del giardino, dove riposano le sue ceneri. Amministratore delegato della Standa, ma, nel profondo del suo animo esploratore, dedicò gran parte delle sue energie all’organizzazione di spedizioni in tutto il mondo, ventuno nell’arco di un ventennio. L’ultima, forse la più significativa, fu l’acquisto della Villa del Balbianello. Varie sono le parti che costituiscono la Villa. Una autentica meraviglia la Loggia del cardinale Durini che offre una duplice vista sul lago: la Tremezzina, verso Nord, e l’isola Comacina dal lato opposto. La rosa dei venti intarsiata sul pavimento sta a ricordare le spedizioni geografiche di Monzino. Da una parte vi è la biblioteca che raccoglie tutti i libri, rilegati in pelle, che appartenevano all’esploratore. Sul lato opposto si trova la stanza del cartografo, che, nata come sala della musica, venne adattata da Monzino allo studio e  alla conservazione delle mappe che vennero utilizzate nelle sue imprese. Guido Monzino incominciò le sue spedizioni nel 1955, in Africa Occidentale, finendo con la spedizione all’Everest nel 1973. Raggiunse, oltre che l’Africa, la Patagonia, la Groenlandia, il Polo Nord e il Pakistan. Tutte le stanze sono arricchite da splendidi tappeti indiani. Vi è, poi, la sala delle raccolte d’arte primaria, un tempo chiamata “sala dei primitivi”, che ospita numerosi reperti delle culture mesoamericane di Olmechi, Maya e Aztechi. I pezzi convivono con statue e maschere del continente africano (Dan, Dogon, Lega, Punu e Baulé). Presenti anche preziose testimonianze di antiche civiltà europee e asiatiche. Vi è, poi, il museo delle spedizioni, una vasta sala che accoglie bandiere, foto, reperti e riconoscimenti che ricordano la storia delle imprese realizzate da Monzino. Incominciò a frequentare la montagna nei primi anni Cinquanta, quasi per scommessa, raggiungendo la vetta del Cervino con Achille Compagnoni, dopo che quest’ultimo aveva raggiunto la vetta del K2 nel 1954. Fu così che nacque in lui la passione per la montagna e per le terre lontane del mondo. Furono le guide alpine del Cervino che lo accompagnarono in tutte le spedizioni nei vari continenti. Con loro Monzino stabilì un profondo rapporto di amicizia, riuscendo a mantenere unito un gruppo eterogeneo di guide alpine di varie età. Con il loro aiuto riuscì a raggiungere i suoi obiettivi. La sua prima spedizione nel 1955 a soli 27 anni in Africa Occidentale con l’attraversata Senegal- Guinea-Costa d’Avorio. Divenuto presidente onorario della Società delle guide del Cervino e cittadino onorario di Valtournanche, nel 1957 Monzino, dopo la prima spedizione vittoriosa al Paine Grande, simbolo della Patagonia Cilena, volle donare al governo locale la sua vastissima tenuta agricola, primo nucleo della futura riserva naturale del Paine, uno dei parchi naturali più belli del Sud America.  Le sue imprese più importanti sono state la spedizione che il 19 maggio 1971 raggiunse il Polo Nord e quella all’Everest del 1973.A Villa del Balbianello si possono visitare i cimeli di queste imprese e sentirsi avvolgere dallo spirito di avventura di questo straordinario personaggio che ha saputo tenere ben salde in mano le redini del suo destino e che ha scritto pagine gloriose per se stesso, la sua famiglia e per l’Italia.

 Lo studio di Monzino è molto spazioso, arredato con mobili inglesi del XVIII° e XIX° secolo. Per accedervi si deve passare da un altro studio: quello del suo segretario. Nel suo studio l’imprenditore milanese trascorreva molto tempo per poter sovraintendere alle proprie attività imprenditoriali ed esplorative,  in mezzo alla  sua collezione di pipe (era un fumatore accanito), godendo allo stesso tempo la spettacolare vista sul lago. Il padre era mancato nel 1953. Fu un uomo di ferro e un abile imprenditore. Fondò e diresse per anni una delle più importanti catene di grandi magazzini italiani, la Standa. Nonostante i frequenti e accesi contrasti, il figlio nutriva per lui affetto e ammirazione. Una scala, voluta dal proprietario, porta ai piani inferiori, dove si trova il suo appartamento. La zona notte è costituita dalla camera da letto, da uno spogliatoio e da un ampio bagno. L’arredo delle stanze di tipo francese segue i gusti della madre Matilde Alì, elegante nobildonna di antiche origini messinesi. Tutte le stanze della Villa sono abbellite con importanti tappeti Agra. Tra gli oggetti cari a Monzino, presenti nella sua camera da letto, alcuni frammenti di roccia provenienti dalla vetta dell’Everest e un modellino della slitta utilizzata per raggiungere il Polo Nord nel 1971. Nell’ammezzato si trova la camera degli ospiti: una camera da letto e un bagno personale. Una graziosa casetta costruita in prossimità della piscina e del campo da tennis era la dimora fissa del  giovane Sambero, un ragazzo africano che Monzino  aveva adottato in Kenia e che morì  prematuramente. La vita degli abitanti del Balbianello doveva essere lussuosa, comoda, ma anche pratica. Interessante e originale il “fumoir”,il cui pavimento è più basso rispetto al piano del giardino, così voluto per poter collocare sulle pareti la boiserie in legno di cirmolo, proveniente da un castello francese, con un’umidità costante in grado di garantire al fumatore di gustare tutte le qualità del tabacco. E’ancora conservata nella casa una parte delle decine di vestiti appartenuti a Monzino in genere confezionati dal sarto Caraceni; migliaia le sue cravatte e centinaia i gemelli d’argento, opera del gioielliere milanese Castelli. Monzino ricevette da Umberto II° di Savoia il titolo di conte quale riconoscimento per le sue imprese alpinistico-scientifiche. Il titolo venne accompagnato dal motto “Gradatim coscenditur ad alta” (“Poco a poco si conquistano le altezze”), con uno stemma raffigurante tre cime montuose sormontate da un cervo rivolto verso un sole raggiante. Lo stile francese contraddistingue anche il salotto verde, completamente ricoperto da una boiserie stile Luigi XV°, in parte donato dalla madre. La luminosa sala da pranzo, arredata con mobili inglesi di epoca Giorgio II° e Giorgio III°, ospita numerose raccolte. Sulle pareti sono appesi preziosi dipinti su vetro, di scuola italiana e fiamminga del Sei e Settecento. Poi l’appartamento della madre. Il giardino, voluto dal cardinale Ruini, alla fine del XVIII° secolo, possiede molte piante, tra cui un gigantesco leccio e un albero di canfora, posto nei pressi della Loggia. Grossi platani hanno una particolare forma a candelabro.

Un posto davvero incantevole che merita una visita in silenzio per ammirare tante raffinate bellezze, nel ricordo di un imprenditore generoso, amante dell’avventura che, rese la sua  sua vita una continua ascesa verso i più alti valori dell’esistenza umana.