“ Dal Monte Bianco a Yosemite: gli anni ruggenti di Giorgio Bertone”

Museo della Montagna, Sabato 2 dicembre 2017

Un pomeriggio della serie “Leggere le montagne” è stato dedicato alla figura di Giorgio Bertone, uno dei più forti alpinisti italiani, scomparso quarant’anni fa e, forse, un po’ dimenticato

Sono intervenuti presso la sede del Museo della Montagna di Torino Roberto Mantovani,Renzino Cosson e Guido Andruetto. È stata un’occasione per ricostruire la brillante carriera di un alpinista innovatore e visionario.

Roberto Mantovani ha moderato l’incontro, prendendo per primo la parola. Giorgio Bertone è nato il 14 agosto del 1942 ad Agnona, una frazione di Borgo Sesia. Nel corso della sua brevema intensa carriera alpinistica effettuò le prime ascensioni sulla montagna di casa, il Monte Rosa. Il 28 agosto del 1960, mentre stava salendo lungo lo scivolo nevosodel canalone Sesia, fece un volo di cinquecento metri dal quale uscì indenne. L’incidente non lo fermò. Nel 1961 conseguì il titolo di portatore e nel 1965 quello di guida alpina. Nel 1966 divenne maestro di sci.Si trasferì a Courmayeur per esercitare la professione di guida alpina. Dovette affrontare un ambiente difficile, che lo ostacolò nell’inserimento nel mondo delle guide del luogo. Si adattò comunque ed imparò a parlare il patois, il dialetto locale. Con lui arrivò la modernità, accompagnata da una notevole apertura sulla cultura del mondo, difficile da trovare a quei tempi. Giorgio è stato un uomo umile, disposto a mettersi in gioco, capace di dare. Fu davvero una figura mitica che fece la differenza.Senza dubbio si collocò tra i più grandi alpinisti europei ed fu la più grande guida italiana. Il suo nome può essere accostato a grandi alpinisti quali Walter Bonatti e René Desmaison. Effettuò nel 1962, verso la fine di agosto, la quarta ripetizionedello sperone Walker delle Grandes Jorasses, lungo la via Cassin, Esposito, Tizzoni, in cordata con Guido Machetto. Portò a termine nel corso della sua carriera circa 1500 salite con i suoi clienti o da solo , molte delle quali di grande difficoltà. Era solito vedere nella guida alpina un preparatore e un consigliere. Amava parlare e dialogare con i clienti, cercando di instaurare un bel rapporto. Espresse questa sua concezione durante un’intervista dell’ ottobre del 1975 sul numero 25 della Rivista della Montagna che gli era stata fatta da Giampiero Motti e Alberto Rosso. Fu un uomo illuminante e interessante, dotato di un’indole libera e indipendente. Nel gennaio del 1973 salì con René Desmaison e Michel Claret, cognato di Desmaison, l’imponente sperone Walker delle Grandes Jorasses (4208 m.) lungo la tanto agognata via direttissima. Prima di questa impresa Desmaisonnel mese di febbraio del 1971 era arrivato a soli 80 metri dalla vetta con il compagno Serge Gousseault sfinito e, poi,morto a causa di un’insufficienza renale. L’alpinista francese restò su quella parete 342 ore, come scritto nel famoso libro “342 sulle Grandes Jorasses”. Tre giorni a pochi metri dalla vetta, accanto al corpo del compagno di cordata morto. Fu una grande rivincita per il francese che aveva perso un amico su quella parete. Fu un momento straordinario della storia dell’alpinismo, accompagnato dalla drammaturgia positiva dei cronisti dell’epoca, con molti collegamenti radiofonici che galvanizzarono l’opinione pubblica di quel tempo. Giorgio Bertone non accusò la fatica, al ritorno dall’impresa pareva rientrato da una passeggiata. Nell’inverno del 1975 sempre in cordata con René Desmaison egli realizzò la prima ripetizione della via Couzy alla punta Margherita delle Grandes Jorasses. Nell’aprile del 1974 sulla Rivista della montagna un articolo di Giampiero Motti descrisse per la prima volta l’arrampicata in California. Warren Harding fu un alpinista americano che rimase 47 giorni su mille metri di granito con 675 chiodi normali e 125 chiodi a pressione. Nel 1974 Giorgio invitò Renzino Cosson a fargli da compagno di cordata sulle pareti californiane.

Guido Andruetto, giornalista e appassionato di montagna, assiduo frequentatore di Courmayeur, è, poi, intervenuto. Grazie alla sua amicizia con Renzino Cosson, che incontra spesso al rifugio Bertone, ha voluto ricordare Giorgio Bertone a 40 anni dalla sua scomparsa. Nel suo libro ha raccolto molte testimonianze, con il tentativo di colmare quel grande vuoto che Bertone ha lasciato nel mondo dell’alpinismo. “Alpinista di prima classe” come lo ha descritto Reinhold Messner, ma una storia, purtroppo, dimenticata. Giorgio non ha lasciato documenti scritti. Sul suo casco era raffigurato un porcellino. Curioso notare che Walter Bonatti aveva sul suo casco Gamba di Legno. Poteva trattarsi di un botta e risposta tra i due grandi alpinisti? Montovani e Andruetto hanno, poi, dialogato con Renzino Cosson per fargli raccontare alcuni aneddoti ed alcuni momenti della vita di Bertone. Cosson ha esordito dicendo che Bertone fu unico, vero e grande. Fu un grande uomo. Lui Renzino ebbe la fortuna di incontrarlo e di divenirne amico. L’amicizia tra i due iniziò quando Bertone lavorava come maestro di sci a Cervinia e mentre Renzino si stava preparando per sostenere l’esame di maestro di sci. Successivamente, Renzino affrontò l’esame per diventare guidaalpina. Dapprima divenne portatore e, poi, guida. Renzino non aveva allora curriculum e Bertone lo seppe consigliare bene. Quando Bertone andò per salire il Pic Adolphe per la via Saluard con Enrico Frachey, direttore della Fila, chiese a Renzino di aggiungersi. Scelse come compagno Enrico Ollier. La settimana dopo Bertone chiese a Cosson di seguirlo lungo la via Bonatti al Grand Capucin, ma Renzino non aveva un compagno di cordata. Si prese un ragazzo di 15 anni, bravo arrampicatore, ma privo di esperienza. Bertone salì in 8 ore, mentre gli altri due ci misero un’ora di più. Da allora qualcosa cambiò tra Giorgio e Renzino e si stabilì un saldo rapporto di amicizia tra i due. Cosson ha raccontato di quando venne con Garda e Bertone a Bergamo per una manifestazione. Si dice che Emilia, la madre di Renzino, si fidasse molto di Bertone, e che, quindi, era molto tranquilla quando il figlio andava in montagna con Giorgio.Solo una volta, nel corso di un’ascensione, Renzino venne colpito da una pietra. Bertone lo accompagnò a casa e rassicurò la madre dicendo che non era successo nulla di grave. Bertone era molto prudente in montagna. Secondo il parere di Desmaison Giorgio Bertone e Jean Couzy erano i migliori alpinisti di quel tempo. Nel corso della salita del Nose al Capitan i due trovarono condizioni non molto buone, specie all’uscita dalla via, quando Bertone arrivato in vetta, ritornò indietro per trascorrere la notte con il compagno di cordata che non era ancora uscito dalla via. Quando Renzino gli chiese perché non si era trovato un altro alpinista più forte, Giorgio rispose “un alpinista più forte l’avrei trovato, ma un amico no…”.

Bertone fu amico di Gaston Rebuffat, famoso alpinista di Marsiglia che abitavaa Chamonix. Bertone incominciò la rivoluzione dell’abbigliamento da montagna. Allora gli alpinisti vestivano tutti di grigio. Era quasi vietato vestirsi di rosso. Giorgio portò con sé una grossa ventata di innovazione. Fu un grande appassionato di musica. Renzino ha ricordato quando Bertone, di passaggio a New York, volle andare a vedere l’organo di una chiesetta.

Fu un grande arrampicatore su ghiaccio. In un numero della Rivista della Montagna del 1974 Giorgio Bertone e Gioachino Gobbi parlarono di progressione su ghiaccio, descrivendo un particolare tipo di piccozza che rendeva tranquilla la progressione anche su grandi pendenze. Andruetto ha presentato il suo libro anche alla Fila, dove Bertone fu consulente tecnico e dove sono tuttora esposti alcuni capi di abbigliamento da montagna da lui indossati a quei tempi. La linea “White Rock” fu appositamente creata da Filaper Bertone. Fu capace di rompere vecchi schemi. Cosson a qualcuno che gli chiedeva se Giorgio avesse un carattere difficile rispose con una frase di Bertone: “meglio avere un carattere difficile che non averlo”.Bertone ebbe un notevole grado di apertura verso gli altri. Era ben visto dai giovani certamente a causa delle sue idee innovative, forse meno bene dai più vecchi che erano invidiosi. Poi, divenne un bravo pilota. Pensò come svizzeri e francesi agli elicotteri. Avrebbe dovuto andare negli USA per diventare pilota di elicottero. Allora non era facile ed era molto costoso. Cosson ha ricordato quando lo vide passare con l’aereo sfiorando la cresta di Rochefort. Giorgio voleva osare dove gli altri non avevano osato. Amava gli spazi liberi, i mondi nuovi nell’alpinismo e nel volo liberava la sua capacità creativa. “Tu non sai cosa si prova lassù! Non avresti mai voglia di tornare giù” aveva detto a un amico di ritorno da un volo. Andruetto ha sottolineato che il libro che lui ha scritto su Bertonecontinuerà a “farsi” nel tempo, a causa delle varie testimonianze che vengono a mano a mano raccolte. C’è, infatti, ancora tanto da raccontare sul personaggio e ne vale la pena. Per esempio l’episodio della salita lungo la via della Sentinella Rossa sul Monte Bianco con dei clienti, quando Bertone trovò i cadaveri di due giovani alpinisti tedeschi ventenni, che lui volle seppellire, come nessuno fece prima di lui. Nel campo del soccorso in montagna Bertone fu un riferimento molto importante in Valle d’Aosta, sempre pronto a creare nuove tecniche. Scendeva in corda doppia usando i moschettoni e fu uno dei primi a usare l’imbragatura e non i cordino come si usava allora. Credeva molto nell’utilizzo dell’elicottero per i soccorsi in montagna, considerandolo un irrinunciabile investimento per il futuro. Si trovò molto in sintonia con Franco Garda, suo maestro. Alla morte dei due Renzino Cosson subentrò. Sul necrologio di Giorgio Bertone fatto sulla Rivista della Montagna da Giampiero Motti il 29 ottobre del 1977 vi è un articolo su Renato Casarotto, una continuità tra i due? Il volo, la montagna, la musica e la fotografie, furono le grandi passioni che animarono Giorgio Bertone.

Alla fine della interessante conferenza è stato proiettato un filmato di 15 minuti realizzato da Giorgio Bertone e Renzino Cosson riguardante la loro salita al Capitan lungo la via del Nose nell’autunno del 1974, con i testi di Giampiero Motti e la voce narrante dello stesso Giorgio Bertone.

. La stessa conferenza è stata organizzata in occasione del Grande Sentiero presso la sede del GAN di Nembro (Bg) giovedì 23 novembre 2017 alle ore 21 con la presentazione del libro “ Bertone: la montagna come rifugio” alla presenza dell’autore Guido Andruetto.