Medicina di montagna: il convegno di Varese
Lo scorso ottobre 2022 è stato ospitato dall’Università dell’Insubria un meeting che ha riunito i più grandi esperti di soccorso in quota
Giancelso Agazzi
Il 7 e 8 ottobre 2022 a Varese, presso l’Aula Magna dell’Università dell’Insubria, si è svolto il congresso “Mountain Emergency Medicine: an overview on the future of rescue and sport in the alpine environment”.
La prima relazione è stata del professor Claudio Smiraglia, glaciologo, dal titolo “Alpine Universities: research network in climate changes: the glaciologist point of view”. A seguito dei cambiamenti climatici si sta assistendo a una brusca riduzione della superficie dei ghiacciai. Quello del Lys è attualmente non misurabile e si sta frammentando. Il 6 luglio del 1989 gran parte del ghiacciaio sospeso del Coolidge al Monviso è crollato, precipitando a valle. Il ghiacciaio dei Forni in alta Valtellina si è ritirato di due chilometri e mezzo rispetto al 1890. Anche il ghiacciaio del Petit Dru, in Francia, ha subito una notevole riduzione. I ghiacciai alpini si stanno frammentando, con la comparsa di finestre di roccia. Le difficoltà tecniche di alcuni itinerari di alta quota si sono modificate a causa dei cambiamenti climatici. Per esempio, la via normale di salita al Monte Bianco dal versante francese attraverso il grand couloir du Gouter, popolarmente conosciuto come il “couloir della morte”, è diventato inaccessibile. Si dovrà trovare un’alternativa di salita (tunnel, cabinovia). Si tratta di uno dei punti più critici della scalata del Monte Bianco. Tra il 1990 e il 2017 vi sono stati 102 morti e 230 feriti a causa delle scariche di sassi. Va ricordato il dramma della Marmolada dell’estate 2022, con 12 morti, travolti dal crollo di una parte del ghiacciaio. Non esiste la sicurezza al cento per cento in montagna tra seracchi, ghiaccio e valanghe.
Smiraglia ha suggerito l’utilizzo della Citizen Science per raccogliere dati riguardanti i ghiacciai delle Alpi tramite i frequentatori. Negli ultimi anni si è verificato un incremento del rischio in montagna. La diversa morfologia sta cambiando i sentieri e gli ostacoli. Anche i periodi di frequentazione dei ghiacciai non sono più quelli di prima. La scienza deve continuare a cercare risposte e la ricerca dovrebbe essere sostenuta dal punto di vista economico. Servono conoscenza, educazione e, in qualche caso, interdizione. Non sempre i divieti vengono rispettati dagli alpinisti. Occorre un’intelligenza adattativa che permetta di adeguare gli obiettivi di alcune ascensioni al cambiamento climatico.
È, poi, intervenuto Guido Giardini, direttore sanitario dell’USL della Val d’Aosta e presidente della Fondazione Montagna Sicura. Quest’ultima ha come scopo la strutturazione della cultura della sicurezza in montagna. Cinquanta milioni di uomini in Europa vivono in zone di montagna. La Fondazione Montagna Sicura si pone quali obiettivi l’analisi e lo studio dell’impatto del clima sulla criosfera e sui territori di alta quota, lo studio dei fenomeni ambientali che condizionano la vita in montagna, l’analisi del rischio idrogeologico, la promozione dello sviluppo sostenibile e della sicurezza, la prevenzione dei rischi ambientali, la medicina di montagna. Secondo le previsioni tra ottant’anni la piramide sommitale ghiacciata del Monte Bianco sarà la sola in Europa. Nel 2050 l’aumento delle temperature sarà notevole. I movimenti del seracco Whymper delle Grandes Jorasses e il ghiacciaio pensile di Planpincieux vengono monitorati in continuazione. Gli attuali cambiamenti climatici determinano il collasso di alcuni ghiacciai, il distacco di valanghe e di frane. I temporali favoriscono lo scatenarsi di bufere localizzate. Secondo un rapporto del 2021 il cambiamento climatico è di gran lunga maggiore in montagna rispetto alla pianura. Tra i compiti della Fondazione, che ha un comitato scientifico, lo studio dell’impatto del clima sulla medicina di montagna, considerati l’aumento del turismo estivo, il grande numero di persone che salgono in alta quota e il numero di persone anziane affette da patologie croniche che frequentano la montagna. Una rete di comuni che si trovano attorno al Monte Bianco costituisce un osservatorio privilegiato per lo studio di tutti questi nuovi fenomeni. L’”Espace Mont Blanc” è una forma di cooperazione transfrontaliera che unisce Italia, Francia e Svizzera, nata per proteggere e valorizzare un territorio così emblematico e importante.
Luigi Festi, dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale d’Urgenza e dei Trapianti dell’ASST Sette Laghi dell’Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi di Varese, ha, poi, parlato di “Climate Change and Olympic Winter Games: the role of high academy training in Mountain Emergency Medicine”. Chi lavora in montagna soffre maggiormente il cambiamento climatico. Attualmente si assiste a un affollamento di persone anche in luoghi prima non frequentati. Tutte queste trasformazioni hanno reso necessario modificare il triage del soccorso in montagna, mentre la tecnologia del soccorso si è dovuta evolvere.
L’elisoccorso è importante e determinante in montagna, ma lo è altrettanto la comunicazione, che deve essere efficiente e veloce. La banda larga, la telemedicina e la geolocalizzazione rappresentano presidi preziosi. I rifugi dovrebbero costituire il primo punto di soccorso. Anche la messa a punto di App è di grande aiuto. L’introduzione del 5 G potrà in futuro implementare la telemedicina. I droni servono a rendere più sicuro il soccorso e a facilitare la ricerca di dispersi sul terreno, risparmiando una quota di rischio ai soccorritori. L’avvento del simulatore Terra X Cube dell’Istituto di Medicina di Emergenza dell’Eurac di Bolzano serve a far ricerca sulle persone e sui materiali da testare. Il medico è un leader autorevole sia nel soccorso in montagna sia nel corso di spedizioni alpinistiche. Andrebbe sviluppata la cultura della prevenzione e del trattamento. Serve interagire in modo efficace con il mondo dell’alpinsimo, fattore essenziale per il successo di una missione di soccorso, abbattendo le barriere esistenti. Vanno migliorate sia la ricerca scientifica che le linee guida. A tal fine è nato il Master di II livello dell’Università dell’Insubria in “Emergency Mountain Medicine” ed è stato scritto un manuale con lo stesso nome con raccolta di dati e di esperienze a cura dei migliori esperti a livello mondiale. Il sistema dei soccorsi in montagna è diverso in Europa rispetto al Nord America. Le grandi distanze, i terreni impervi, le condizioni atmosferiche difficili, la comunicazione non sempre facile rendono più impegnativi e lunghi i soccorsi negli USA e in Canada rispetto all’Europa. Nelle Alpi l’equipaggio dell’elicottero prevede un medico e una guida alpina, oltre ai soccorritori, con la possibilità di trattare la vittima di un incidente già nella fase pre-ospedaliera. Negli USA non sempre un medico o un paramedico si trovano a bordo dell’elicottero, seguendo la regola del “load and go”. La distanza da un ospedale nel Nord America è spesso notevole. La collaborazione tra associazioni europee e non che si occupano di soccorso in montagna favorisce un confronto di esperienze e di conoscenze nel campo di metodologie differenti, con approcci diversi, permettendo di operare in ogni parte del mondo. Nel futuro il medico di montagna dovrà essere al servizio non solo degli alpinisti, ma anche della gente di montagna, in grado di fare prevenzione e diagnosi di malattie varie, oltre a operazioni di soccorso con trasporto dei pazienti in strutture idonee.
Fabio Sangalli, direttore del Dipartimento di Medicina di Emergenza dell’ASST Valtellina e Alto Lario, past president dell’Associazione Italiana di Anestesia Cardiotoracica, ha parlato di “Extracorporeal membrane Oxygenation in hypothermic patients: it is time for a neworganizational approach?”.
ECMO (ossigenazione extracorporea a membrana) è un acronimo inglese ed è una procedura di circolazione extracoroprea cui si ricorre come supporto nei soggetti con insufficienza cardiaca o respiratoria, ma anche in ipotermici. Non serve se è possibile evacuare i pazienti in tempi brevi. Il paziente ipotermico deve essere portato in ospedale entro un’ora dall’infortunio.
L’ipotermia è protettiva quando l’arresto cardiaco non è su base asfittica, ma è causato dalla esposizione al freddo. Uno stato di ipotermia in assenza di asfissia assicura una maggior probabilità di sopravvivenza. In Lombardia tre sono i centri dotati di ECMO: Bergamo, Lecco e Varese. Gli ospedali spoke, centri satellite con assistenza più limitata, devono inviare i pazienti presso ospedali hub, centri primari in grado di fornire una più vasta gamma di servizi sanitari. Va creata una cultura dell’utilizzo dell’ECMO. Il futuro prevede l’impiego di equipe di soccorso in grado di usare l’ECMO sul terreno, anche in caso di eventi speciali.
È seguito l’intervento in remoto di Peter Hackett dell’Altitude Research Center, Division of Pulmonary Sciences and Critical Care della Colorado University dal titolo “Altitude Illness for Clinicians”. Il relatore ha sottolineato l’importanza dell’acclimatazione all’alta quota, un processo che richiede tempo, che ha una variazione individuale e dove la risposta ventilatoria rappresenta la chiave. Il fattore di trascrizione HIF (fattore inducibile da ipossia) è un interruttore centrale che permette alle cellule di rispondere alla carenza di ossigeno (ipossia). Entra in azione quando vi è poco ossigeno. Il livello di saturazione (SaO2%) varia nei singoli soggetti e con l’acclimatazione. Il processo di acclimatazione prevede un incremento della risposta ventilatoria, specialmente nella prima settimana, una diminuzione del volume plasmatico ed un aumento dei globuli rossi. I fattori di rischio per le malattie d’alta quota sono: inadeguata acclimatazione, altitudine raggiunta (grado di stress ipossico), velocità di salita (rapidità di sviluppo dello stress ipossico), fattori genetici, alcune condizioni mediche, età, sesso. Il grado di allenamento è ininfluente. Cruciali i primi tre giorni in alta quota ai fini della diagnosi. I sintomi tipici del Male Acuto di Montagna (AMS) cefalea, perdita dell’appetito, nausea, vomito, vertigini, disturbi del sonno, edemi periferici. L’edema cerebrale d’alta quota (HACE), raro al di sotto dei 3000 metri, è caratterizzato da manifestazioni a carico del sistema nervoso, atassia e alterazioni dello stato di coscienza. Solitamente si associa all’edema polmonare (HAPE). La diagnosi differenziale rispetto a AMS e HACE va fatta in presenza di disidratazione, sfinimento, ipotermia, intossicazione da ossido di carbonio, stroke, TIA, infezioni, colpo apoplettico, turbe psichiatriche, emicrania. Il trattamento dell’AMS prevede l’interruzione della salita con 1-2 giorni di acclimatazione, discesa di oltre 300 metri, impiego di ossigeno, utilizzo del cassone iperbarico (minimo 2 ore, meglio 4-6 ore), utilizzo di farmaci sintomatici (ibuprofene), acetazolamide, desametasone. Il trattamento dell’HACE prevede l’uso di ossigeno, desametasone, agenti osmotici (salina ipertonica 3%). Il trattamento dell’HAPE prevede ossigenazione, discesa, riposo a letto, sacco iperbarico, nifedipina, inibitori delle fosfodiesterasi (sildenafil, tadalafil). L’impiego del desametasone è controverso. L’importante è prevenire l’insorgenza dell’AMS e dell’HACE. Nel 2022 nessuno dovrebbe morire a causa di una malattia di alta quota. Per la prevenzione si deve prendere in considerazione un’altitudine ragionevole e la profilassi, valutando il rischio come nel caso della malaria o del mal di mare. La profilassi non incrementa la prestazione fisica. L’acetazolamide va usata per la profilassi a partire del giorno prima della partenza fino ai primi 2 o 3 giorni di permanenza in altitudine. Tenere conto di eventuale allergia ai sulfonamidi. Alcuni effetti collaterali del farmaco dipendono dalla dose (parestesie, sapore metallico, malessere, nausea, alterazioni della vista). Per la prevenzione dell’AMS si può usare ipubrofene. Per prevenire l’HAPE si deve salire lentamente, evitare il sovraffaticamento e come farmaci impiegare nifedipina, sildenafil. Consigli per i viaggiatori: portare un kit di pronto soccorso contenente acetazolamide, ibuprofene, nifedipina, salmeterolo e pulsiossimetro.
Il fisiologo francese Jean Paul Richalet dell’Université Paris 13, ha parlato di “Persistence of foramen ovale and high altitude pulmonary edema”, illustrando un caso clinico. Nel disturbo la SaO2 è più bassa. L’AMS è più frequente nei portatori di questa patologia. L’HVR non aumenta con l’acclimatazione.
Andrew Luks della Division of pulmonary, critical care and sleep medicine of University of Washington di Seattle ha parlato di “Obstructive Sleep Apnea Syndrome in Travelers and Adventurers at High Altitude”. Si tratta di un fenomeno che persiste durante l’ascesa in alta quota, condizionando l’ossigenazione cerebrale e sistemica e la funzione cognitiva. L’ossigenazione arteriosa cerebrale notturna si riduce in alta quota. L’uso di CPAP con batterie portatili potrebbe essere preso in considerazione, ma non sempre si può fare. La somministrazione di acetazolamide può essere utile nel caso in cui i CPAP portatili non siano disponibili, come spesso accade. L’acetazolamide migliora l’ossigenazione notturna, l’efficienza del sonno, l’insonnia e la pressione arteriosa.
Annalisa Cogo ha parlato di “Pulmonary diseases and altitude clinical features and treatment”. La relatrice ha sottolineato che, salendo in quota, la pressione barometrica cala, come pure la pO2, la densità dell’aria, la temperatura, l’umidità, la presenza di allergeni e di inquinanti. La ventosità, invece, aumenta. L’apparato respiratorio gioca un ruolo fondamentale nel processo di acclimatazione. I soggetti affetti da malattie polmonari possono avere complicanze, ma, talvolta, lo stare in altitudine, può avere effetti benefici. Nel caso dell’asma il freddo può rappresentare un trigger, causando un broncospasmo da esercizio. Oltre i 2500 metri si segnalano due fattori di rischio: uso frequente di broncodilatatori per via inalatoria prima di un’escursione e intenso affaticamento nel corso dell’attività fisica. Gli asmatici possono andare in alta quota quando sono sotto controllo. Devono continuare la terapia in modo regolare e portare con sé i farmaci; quelli inalatori vanno tenuti al caldo. Nel corso di giornate fredde o ventose i pazienti devono proteggere le vie respiratorie. In montagna si riduce la risposta infiammatoria.
I pazienti con ostruzione bronchiale cronica fanno fatica ad aumentare la ventilazione. Prima di salire in quota i soggetti affetti da BPCO devono effettuare una spirometria, un’emogasanalisi, un walking test (6 minuti) per valutare la presenza di eventuali desaturazioni. Se possibile, si può effettuare un Hypoxia Altitude Simulation Test (15% O2) per valutare la SpO2. Si deve tener conto della quota da raggiungere e dove si dorme, di velocità di salita, durata della permanenza e intensità dell’esercizio.
Per quanto riguarda le malattie polmonari vascolari in alta quota, si può dire che la maggior parte dei pazienti tollera esposizioni ad una quota fino a 2500 metri. I pazienti con malattia stabile che sviluppano una ipossiemia severa quando salgono a 2500 metri rispondono bene alla somministrazione di ossigeno supplementare. Nel caso compaiano sintomi si deve scendere immediatamente, assumendo ossigeno. Prima della partenza i pazienti dovrebbero farsi consigliare da medici esperti e intraprendere l’escursione muniti di un piano di assistenza a cui ricorrere in caso di ipossia severa. La permanenza a quote superiori a 2500 metri è controindicata in caso di BPCO grave che necessita di somministrazione continua di ossigeno, di Fibrosi Cistica avanzata e di ipertensione polmonare superiore a 60 mm. Hg.
È seguita la presentazione dell’ortopedico Marco Patacchini di Aosta che ha parlato della gestione sanitaria non emergenza/urgenza del runner negli endurance trail e ultratrail. Il relatore ha parlato dell’importanza di un test di valutazione degli atleti pre/intra/post gara tramite un esame clinico ortopedico, un’ecografia del tendine di Achille e rotuleo, una risonanza magnetica del ginocchio e della caviglia e un elettrocardiogramma. Tra i danni più comuni le vesciche ai piedi, che possono causare un cambio di postura dell’atleta. Utile inserire nel kit di primo soccorso una speciale garza adesiva conformabile, in grado di ridurre il dolore e favorire la guarigione.
Possono capitare la sindrome del tibiale anteriore che si instaura quando i muscoli della regione mediale ed il periostio della tibia a seguito di sforzi ripetuti si infiammano, causando dolore, e la sindrome della bandelletta ileo-tibiale, caratterizzata da un’infiammazione della regione ileo-tibiale. Utile l’applicazione di un nastro elastico adesivo. Nel corso di queste competizioni si possono verificare congelamenti o il fenomeno di Raynaud.
Non si deve abusare coni farmaci e curare l’alimentazione.
Gli ultra trail sono gare con tante variabili e potenziali problematiche. Conoscendo i possibili rischi e facendo attenzione alla prevenzione, le probabilità di arrivare al traguardo aumentano sensibilmente.
Osvaldo Chiara dell’Ospedale di Niguarda ha parlato di “Emergency Department and mountain rescue” e in particolare della cura del trauma in tre livelli di triage: instabilità emodinamica, stabilità emodinamica, priorità tre.
In Lombardia esistono sei Trauma Center.
Günther Sumann, presidente della Società Austriaca di Medicina di Montagna e membro della commissione medica della Cisa-Icar, ha parlato di “Politrauma in mountains”. Tra le cause degli eventi traumatici in montagna: cadute, incidenti con gli sci, mountain bike, incidenti con il parapendio, base jumping, alpinismo. In caso di grave infortunio occorre individuare eventuali sanguinamenti, comprimendo la parte interessata. Va stabilizzata la colonna vertebrale e ci si deve prendere cura delle vie aeree e del circolo. È fondamentale il controllo del sistema nervoso (Glasgow Coma score, movimento degli arti). Si deve proteggere il traumatizzato dal freddo e dal vento.
Può essere utile una ecografia nella fase pre-ospedaliera. In un ambiente estremo occorre procedere per gradi: trattamento medico iniziale (ossigeno, analgesia, stabilizzazione, infusione di liquidi), trasporto veloce verso un luogo adatto, completamento della terapia di emergenza e ricovero in un trauma center. In caso di neurotrauma (trauma cerebrale o della colonna vertebrale) evitare l’ipossia mantenendo la SpO2 al di sopra del 90% e l’ipotensione, mantenendo la pressione arteriosa “massima” oltre 120 mm Hg., mai al di sotto di 90 mm Hg. In caso di shock emorragico è utile mantenere una ipotensione permissiva (pressione arteriosa inferiore a 80-90 mm Hg., talvolta l’unica opzione nel corso di un soccorso prolungato, controindicata in caso di trauma cranico.
Giulio Carcano, direttore dell’Unità Operativa dei trapianti dell’Ospedale di Varese, ha parlato di “Training skills and team dynamics in a trauma center: tips and tricks”. Occorre investire in educazione e in formazione degli operatori sanitari, elaborando un nuovo livello di cultura. Sarebbe utile creare una rete di università alpine.
Luca Carenzo di Humanitas Milano ha parlato di “A shared mental model for mountain and emergency medicine: the role of simulation”. Importante è il ruolo della simulazione per la didattica. La simulazione è una tecnica, non una tecnologia, che sostituisce o amplifica esperienze in grado di evocare aspetti del mondo reale in modo interattivo. Serve saper lavorare in team (team work) con un obiettivo comune: il benessere del paziente. Tutti devono interagire, seguendo un modello mentale condiviso, che deve essere aggiornato periodicamente per acquisire nuovi dati e per cambiare le priorità. Fondamentali sono la leadership, la capacità decisionale e la comunicazione.
Lorenza Pratali, cardiologa dell’Istituto di Fisiologia Clinica dell’Università di Pisa e presidente della Società Italiana di Medicina di Montagna, è intervenuta per parlare di “The challenge of medicine in the mountain communities”. Il 13% della popolazione mondiale vive in comunità di montagna. In questo contesto si devono portare i servizi sanitari direttamente alle popolazioni, difficili da raggiungere e prive di assicurazioni. Attualmente è importante l’utilizzo della telemedicina, che ha avuto un grande incremento in seguito alla pandemia da Covid-19. Il progetto e-Resamont, che ha coinvolto Italia, Francia e Svizzera, si è occupato di tali problematiche con l’intento di valutare il paziente e ridurre le liste d’attesa. Nel 2017 è stato effettuato uno studio a Pheriche nella valle del Khumbu in Nepal in collaborazione con la Mountain Medicine Society of Nepal and Himalayan Rescue Association per studiare il livello di inquinamento delle case delle popolazioni locali, per promuovere progetti che migliorino le condizioni delle abitazioni, valutando il rischio cardiovascolare.
Jason Williams del Mountain Medicine Center della New Mexico University, ha parlato del diploma di medicina di montagna e dei vari corsi riconosciuti, esistenti al mondo.
Andrea Tomaselli della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano ha parlato di “Young general practitioner in the mountains: tips and tricks”. Il relatore ha fatto presente la situazione di quattro sedi della Val Brembana, in provincia di Bergamo, che mancano di un servizio di guardia medica pediatrica. I tempi di spostamento sono lunghi, con condizioni climatiche avverse. Ciò denota una debolezza dei servizi sanitari territoriali per mancanza di personale sanitario. Anche le farmacie sono lontane.
Cristian Valeri, infermiere di I-Help, ha parlato del “Nursing home patients: the role of nurse in mountain medicine”. Ha sottolineato l’esistenza di una difficile comunicazione sul territorio, nonostante l’evoluzione della tecnologia. L’impiego di personale infermieristico addestrato dotato di un equipaggiamento adeguato fino ad ora considerato futuristico è ora una possibilità reale, utile sia in aree remote che in aree urbane per ridurre il ritardo nella diagnosi, nelle terapie e il ricorso agli ospedali.
Guido Giardini ha di nuovo preso la parola per parlare di “Telemedicine and new technologies: innovation in the healthcare ethical and legal dilemmas”. Giardini ha raccontato la storia della telemedicina. Nel 2014 sono nate le linee guida.
La valle d’Aosta ha 125.000 abitanti, per il 99% residenti in montagna, dei quali il 50% oltre i 2000 metri. Sono stati istituite cinque stazioni di telemedicina in valle d’Aosta, con la creazione di ambulatori virtuali. In una sola estate si sono avuti 676 teleconsulti, con un risparmio di 70.000 euro.
È seguita, a fine giornata, una tavola rotonda riguardante il futuro del soccorso in montagna in rapporto ai cambiamenti climatici e ai prossimi giochi olimpici di Cortina 2026. Hanno partecipato al dibattito l’alpinista e guida alpina Matteo Della Bordella, Alberto Zoli, responsabile di AREU Lombardia, Gerold Biner, pilota di Air Zermatt, Bruno Jelk, esperto di soccorso di Zermatt, Hermann Brugger, vicedirettore dell’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano, e Sara Bonizzato di I-Help.
Ha preso la parola per primo Alberto Zoli per parlare dell’impatto del cambiamento climatico sul soccorso in montagna. Un impatto che già esiste. Il relatore ha parlato di quanto ormai siano frequenti situazioni di criticità da gestire. Notevole è il miglioramento delle comunicazioni. Il numero delle emergenze nel frattempo è molto aumentato.
Sono, poi, intervenuti Gerold Biner e Bruno Jelk. I due hanno fatto presente che si sono avuti cambiamenti nelle metodiche e anche il rischio è diventato più alto. Con l’avvento della digitalizzazione la comunicazione è migliorata. I droni vengono sempre più utilizzati nel soccorso in montagna. Esiste sicuramente un adeguamento ai cambiamenti in atto.
Gerold Biner ha affermato che il numero di missioni di Air Zermatt è passato da 300-400 a 1000 nel corso di un anno, con l’utilizzo di nuove tecnologie, per esempio i droni. Anche il numero delle missioni notturne è aumentato.
Matteo Della Bordella ha affermato che molti fattori sono cambiati rispetto a vent’anni fa. Ha voluto ricordare l’esperienza in Patagonia dello scorso anno, dove i soccorsi non vengono gestiti con l’elicottero. Tutto viene lasciato all’improvvisazione dei locali. I soccorsi avvengono in situazioni estreme. Le operazioni di salvataggio scattate per aiutare due alpinisti sono state realizzate da una quarantina di persone che si sono mobilitate. Un elicottero militare è intervenuto solo nella fase finale per trasportare uno dei due alpinisti in ospedale. L’eccessivo innalzamento delle temperature ha fatto cadere di notte il fungo di ghiaccio che si trovava sulla sommità del Cerro Torre, travolgendo i due alpinisti.
Gerold Biner ha fatto presente che nel corso dei suoi cinquant’anni di esperienza come pilota di alta montagna i sistemi di soccorso sono migliorati. Gerold è andato in Nepal in seguito ad una richiesta di aiuto, per formare i piloti nepalesi. Molte sono ancora le nazioni che necessitano di una formazione adeguata nell’organizzazione dei soccorsi in montagna. Il lavoro della Cisa-Icar è ancora troppo concentrato in Europa. Dovrebbe estendersi anche ad altre nazioni al di fuori dell’Europa.
Hermann Brugger ha cercato di esportare la conoscenza e l’esperienza in altre nazioni, come l’Argentina (Patagonia), il Nepal e il Sud Africa. Ultimamente è stato realizzato un manuale, scritto in lingua inglese, riguardante la medicina di emergenza in montagna, particolarmente utile per i paesi in via di sviluppo. Attualmente in Alto Adige il numero di incidenti che si verificano d’estate è uguale a quello degli incidenti che accadono d’inverno. Brugger ha ricordato l’incidente della Marmolada, la sua imprevedibilità e l’inaccessibilità del luogo dove è avvenuto il distacco e il pericolo a cui sono stati esposti anche i soccorritori. Il rischio di grandi catastrofi aumenterà in futuro. Occorre prevenire il prevedibile, preparandosi adeguatamente. Già ci si trova in una situazione di ritardo nei confronti di quanto potrà succedere.
Alberto Zoli ha fatto presente che esiste un progetto di cardioprotezione in alcuni rifugi con elisuperfici dedicate, dove effettuare il triage. Avremo un maggior numero di incidenti in montagna. A causa della maggior friabilità della roccia aumenteranno i rischi. Cambieranno anche le modalità dei soccorsi. Zoli ha sottolineato che su 5 elicotteri 3 sono disponibili 24 ore su 24, con una media di tre missioni notturne ogni 24 ore sul territorio nazionale. Sono state portate a termine 6000 missioni all’anno con 550 siti HEMS. La dronistica sta avanzando. I droni, dotati di termocamera, vengono trasportati con l’elicottero sul luogo dell’incidente da valanga. In regione esiste un tavolo tattico con il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico.
Sara Bonizzato è, poi, intervenuta per far presente che alcune attività sportive durano poche ore, mentre altre durano giorni. Esistono competenze sanitarie diverse. I campi di gara, che hanno caratteristiche differenti nelle varie regioni, devono essere conosciuti a fando. Il territorio non deve essere violato.
Per quanto riguarda i prossimi giochi olimpici, Bruno Jelk ha sottolineato che le caratteristiche, l’organizzazione e la sicurezza dei soccorsi in Europa sono soddisfacenti.
Gerold Biner ha tenuto a precisare che numerose persone stanno frequentando la montagna: meglio sarebbe, a suo avviso, che alcune di esse stessero a casa, vista la mancanza di esperienza. Biner ha fatto presente che in alcuni casi si deve rimandare una missione a causa delle condizioni esistenti. Il 50% delle missioni notturne avvengono per soccorrere persone senza cibo o colpite da ipotermia.
Alberto Zoli ha parlato dell’accordo interregionale di inter-operatività tra Lombardia e Piemonte, che prevede una condivisione della flotta e dei sistemi operativi. Zoli ha fatto presente che l’elisoccorso più lavora e meno costa. Non si dovrebbe superare il costo di 5000 euro per missione. L’impiego dell’elicottero di notte costa quattro volte di più rispetto al giorno. L’introduzione dello sci-alpinismo alle Olimpiadi prevederà l’uso dei droni e dei defibrillatori.
Della Bordella ha invocato una maggiore consapevolezza dei frequentatori della montagna, mentre Zoli ha sottolineato l’importanza di responsabilizzarli. Occorrerebbero più cultura e preparazione.
.Brugger ha ipotizzato il posizionamento di droni in punti dove si concentrano le persone in montagna, come, per esempio, nella zona di Plan de Corones. Il rischio per i soccorritori aumenterà sempre di più in futuro, con una diminuita accessibilità ai luoghi dove un incidente si può verificare. Le valanghe saranno sempre più alte, con neve più umida e pesante. Ecco perché pensare con urgenza al futuro (Thinking ahead).
Sabato 8 ottobre Hermann Brugger ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “50 years research in Hypothermia and Avalanches”. Il relatore ha raccontato le varie tappe della storia della ricerca nel campo dell’ipotermia.
Giacomo Strapazzon, direttore dell’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano, ha parlato di “Management of avalanche buried and hypothermic patients from bench to bedside””. Il realtore ha parlato delle curve di sopravvivenza dei travolti in valanga in Austria, Svizzera e Canada. In Europa le percentuali di sopravvivenza sono superiori rispetto al Nord America, dove i soccorsi impiegano più tempo a intervenire e la qualità della neve è diversa. Strapazzon ha parlato dei “floatation devices” che proteggono dall’essere travolti da una valanga.
Paolo Comune, direttore del CNSAS della Valle d’Aosta, ha parlato delle problematiche del soccorso in montagna. Compiti del CNSAS sono: la gestione e l’effettuazione di interventi di ricerca, salvataggio e soccorso, partecipazione al servizio di elisoccorso, prevenzione degli incidenti e individuazione dei rischi in ambiente montano, divulgazione della sicurezza in montagna e dell’attività di soccorso alpino, oltre a ogni altra azione diretta a prevenire ed evitare situazioni di danno o di pericolo a persone, animali e cose. Sono parte del soccorso in montagna tre componenti: aeronautica, medica e tecnica. Esiste anche una collaborazione con Francia e Svizzera. In Valle d’Aosta l’altitudine media della regione è 2100 metri, con oltre duecento ghiacciai, pari a un terzo della superficie glaciale italiana. Oltre il 50% degli interventi di soccorso avviene oltre i 2000 metri di quota e sono pari al 13% delle missioni effettuate in Italia.
Patrick Wenger, paramedico di Air Zermatt e Jason William, paramedico della New Mexico University, hanno, poi, parlato della “Risk mitigation in HEMS”. Se il rischio in un soccorso è alto, si può scegliere tra le seguenti opzioni: abbandonare, accettarlo, cercare di contenerlo e/o di mitigare le conseguenze. I soccorritori sono abituati a lavorare “normalmente in un ambiente pericoloso”. La priorità non è proteggere la loro sicurezza ad ogni costo, ma completare il lavoro nel modo più sicuro possibile. Ecco perché si parla di mitigazione del rischio. Il rischio è intrinseco. L’analisi di oltre vent’anni di incidenti aerei dimostra che circa il 70% sono il risultato di un inadeguato coordinamento dell’equipaggio e di una carente capacità decisionale.
Mauro Del Romano dell’HEMS (Helicopter Emergency Medical Service), di Villa Guardia (Co), ha dichiarato che la base effettua 1900 missioni all’anno, con 953 missioni notturne effettuate tra il 2019 e il 2022.
24.12.22