Covid-19 e Montagna

Mercoledì 2 settembre 2020

 

Si è svolto mercoledì 2 settembre 2020, in occasione del Trento Film Festival 2020, un convegno dal titolo “Covid e Montagna”. L’evento è stato organizzato dalla Società Italiana di Medicina di Montagna (S.I.Me.M.) in collaborazione con il Trento Film Festival 2020 e la Commissione Centrale Medica del CAI.

Dopo l’introduzione e il benvenuto di Antonella Bergamo, vicepresidente della S.I.Me.M. Lorenza Pratali, presidente della S.I.Me.M., Luana Bisesti dell’Ufficio Stampa della SAT (Società Alpinisti Trentini) ha avuto inizio il convegno, coordinato da Elena Baiguera Beltrami, rappresentante del Trento Film Festival.

 

Ieri e oggi al tempo delle pandemie, la Spagnola in montagna: analogie e differenze tra passato e presente

 

Giancelso Agazzi, membro della Commissione Centrale Medica del CAI, ha presentato una relazione dal titolo “Ieri e oggi al tempo delle pandemie, la Spagnola in montagna: analogie e differenze tra passato e presente”. L’influenza spagnola ha causato la morte di 350-600.000 vittime in Italia, quasi più di quelle provocate dalla Grande Guerra (650.000). Nel mondo ci sono stati circa 50 milioni di morti. Il 30% della popolazione mondiale si è ammalata. È stata, probabilmente, la più grande pandemia influenzale conosciuta dal genere umano. Per i dati relativi all’infezione causata da SARS-CoV-2 si dovrà aspettare. Entrambe le pandemie sono zoonosi, cioè malattie infettive trasmesse all’uomo da animali. Il genere femminile fu il più colpito nel corso della pandemia di Spagnola e nella popolazione civile si registrarono più vittime rispetto all’esercito e la fascia di età bersaglio era quella compresa tra i 20 e i 40 anni. Si pensa che la Spagnola abbia iniziato il suo crudele viaggio partendo dalla Cina, per portarsi negli Stati Uniti d’America nel corso della primavera del 1918 e, poi, arrivare in Europa nei mesi successivi con i soldati che sbarcavano sulla costa atlantica della Francia. Alcuni epidemiologi hanno ipotizzato che il virus della Spagnola si sia diffuso a partire dalla provincia di Kwangtung e che in origine albergasse negli uccelli e che, grazie a modificazioni genetiche, si sia trasmesso ai maiali, determinando un’influenza suina e, poi, abbia contagiato l’uomo (spillover). Secondo l’Istituto Centrale di Statistica la regione italiana che ebbe il maggior numero di vittime fu la Lombardia (36.653), seguita dalla Sicilia (29.966), anche se le regioni con i più alti tassi di letalità furono Lazio, Sardegna e Basilicata. L’Italia fu una delle nazioni più colpite dall’influenza Spagnola, con un tasso di mortalità secondo solo a quello della Russia. Per l’infezione da SARS-CoV-2 si può ipotizzare che l’Italia non troverà posto sul triste podio, anche per l’efficacia delle misure di contenimento adottate (draconiane, ma necessarie). La prima fase della Spagnola nel 1918 costrinse decine di migliaia di soldati al riposo forzato. Lo stesso valse per i cittadini non militarizzati. La maggior virulenza (“seconda fase” dell’epidemia) si esplicò da agosto fino all’autunno per proseguire in una “terza fase” nell’inverno del 1919. Da sindrome influenzale (con tosse, febbre, algie muscolari) si aggravò con serie complicanze polmonari. La Spagnola durò dal 1918 al 1920. Non si può al momento prevedere quanto durerà la malattia Covid-19 e per quanto si protrarranno i suoi strascichi. Entrambe le pandemie hanno la stessa modalità di trasmissione, le vie aeree. Il periodo di incubazione della Spagnola oscillava tra i 2 e i 3 giorni, mentre quello della Covid-19 tra i 3 e i 14 giorni. Nella pubblicazione Guerra Alpina sull’Adamello 1917-18 di Vittorio Martinelli è riportata una lettera del Sottotenente Giovanni Rolandi. In essa si racconta che il 13 maggio 1918 un’epidemia influenzale (“Spagnola primaverile”) colpì in modo inaspettato, per un solo giorno, i soldati del battaglione Monte Mandrone accampati  nell’alta Valle Camonica presso il rifugio Garibaldi (2548 m.). L’evento ritardò l’azione già programmata sul ghiacciaio di Presena.

Tutti i soldati del battaglione Mandrone, probabilmente immunizzati, non si ammalarono nel corso della seconda ondata in autunno del 1918, ad eccezione di dieci Alpini che nel mese di maggio non erano stati al rifugio Garibaldi.

Nello stesso libro si racconta che nei mesi di novembre e dicembre 1918 la “Spagnola autunnale” decimò i battaglioni austro-ungarici in Alto Adige.

La dieta dei soldati imperiali era a base di carne, mentre quella dei militari italiani era più ricca di verdura e frutta, quindi di vitamine, utili a sostenere il sistema immunitario.

Oggi è fuori discussione il ruolo cruciale della nutrizione nella prevenzione e nel coadiuvare il trattamento di svariate patologie, nel contesto di uno stile di vita salutare (dieta mediterranea).

Un terzo dei soldati morti nella zona dell’Adamello pare sia deceduto per l’epidemia.

Tra le truppe dell’Impero Austro-Ungarico la mortalità fu quasi triplarispetto a quella dei soldati italiani perché le prime esposte su più fronti, compreso quello galiziano.

 La testimonianza di don Primo Discacciati, cappellano militare presso l’ospedaletto da campo n°25 in Val Camonica,  racconta nel suo diario la tragedia delle truppe italiane colpite dalla pandemia.

I morti dovevano essere sepolti il più rapidamente possibile, per evitare il contagio.

La popolazione civile fu colpita in modo maggiore rispetto all’esercito.

L’opera igienico-sanitaria attivata dalla Sanità Militare con il fine di prevenzione e trattamento portò i suoi frutti.

I soldati che andavano in licenza rischiavano di contagiare la popolazione civile (molto pericolosi gli spostamenti in treno).

Fu consigliato a tutti, per prevenire la trasmissione del virus, l’uso della mascherina.

Era stato ordinato che tutti gli impiegati che venivano a contatto col pubblico, durante le ore di lavoro – nelle banche, nelle tavole calde, nelle pasticcierie, negli ascensori, nei negozi di barbiere – dovevano indossare una mascherina impregnata di speciali sostanze medicinali, uniformandosi a quanto faceva il personale ospedaliero.

Migliaia di cittadini lo considerarono un colpo inferto alla propria libertà personale e reagirono con aperta ostilità: “Sembriamo un branco di cani con la museruola” scrisse furibondo qualcuno. Per i malviventi questo camuffamento fu una manna dal cielo (R. Collier, La malattia che atterrì il mondo, cit., pp. 180-183).  Ai tempi della Spagnola la censura e il negazionismo erano strategici da parte delle autorità. È alla censura che si deve l’aggettivo “spagnola” che, poi, divenne un sostantivo: in quel momento storico la Spagna era neutrale, e i suoi giornali, privi di bavagli, potevano liberamente pubblicare notizie sulle morti via via più numerose, quindi descrivere le reali dimensioni dell’epidemia.

Così passò l’idea che la “grande influenza” fosse un problema sostanzialmente iberico.

In Italia non si poteva  pronunciare il termine “spagnola” e in alcune città, per ordinanza del prefetto, non si potevano  suonare le campane a morto.

Per ordine del Primo Ministro Emanuele Orlando erano vietati i cortei funebri e i necrologi.

        Oggi la gente comune tende a dividersi  in due fazioni estreme:                negazionisti e allarmisti.

La socratica consapevolezza di non sapere spesso non esiste, tutti sono tuttologi, il buon senso latita, l’analfabetismo funzionale dilaga.

Provvedimenti di isolamento furono applicati con maggior efficacia nell’esercito.

Il contesto economico e sociale del fronte interno – una società̀ al servizio della macchina bellica che non poteva fermarsi – fu favorevole al contagio.

il distanziamento sociale venne invocato dai medici nel corso della pandemia di Spagnola, ma fu poco praticato.

Il distanziamento sociale viene attualmente adottato nell’epidemia di Covid-19.

La Spagnola provocava una polmonite bronco-emorragica, mentre il Sars-CoV-2 causa una polmonite di tipo interstiziale.

La sintomatologia della malattia Covid-19 è rappresentata daspossatezza, febbre, anosmia, ageusia, tosse, malessere diffuso, mialgie, diarrea (30% dei casi), dispnea, fino al distress respiratorio con danno d’organo.

La Spagnola, invece, si manifestava con: febbre alta, fastidi alla gola, tosse secca, stanchezza, mal di testa, dolori agli arti, congiuntivite. Spesso i sintomi peggioravano e il paziente cominciava a respirare con difficoltà, sanguinava dal naso, la sua pelle diventava viola, arrivava poi la fame d’aria e, nei casi più seri, il decesso.

La Covid-19 è caratterizzata da un gran numero di casi asintomatici, o paucisintomatici.

Non manca l’ipotesi della guerra batteriologica: la Spagnola venne definita un “regalo della Germania” che ce l’avrebbe mandata per farci perdere la guerra.

Oggi i complottisti sono convinti che il Sars-Cov-2 sia stato intenzionalmente diffuso dai cinesi.

I rimedi si limitavano alla cura dell’igiene personale e alla assunzione di pastiglie e di sciroppi prima impiegati contro il raffreddore.

Tra questi l’acido fenico, la canfora, la digitale, la caffeina, l’olio di ricino, la valeriana e la morfina.

L’aspirina venne usata in modo smodato, con dosaggi eccessivi, causando la morte di alcuni pazienti.

Cominciarono a circolare voci su alcuni farmaci che avrebbero potuto funzionare anche a scopo preventivo, tra questi il chinino che iniziava così a sparire dalle farmacie sottratto a chi ne avrebbe avuto sicuramente bisogno, come i malati di malaria. Il chinino era un cardiotonico: si pensava che questa sua azione sul cuore rinforzasse l’intero organismo, rendendolo più resistente nel caso in cui si ammalasse di Spagnola.

Contro l'influenza si pubblicizzarono tutti i tipi di cure più o meno miracolose: saponi, collutori, pomate e persino aspirapolveri per liberare l'aria dai germi.

Già meglio rispetto a Trump che ha suggerito iniezioni di candeggina.

Si diceva, nel corso della pandemia di Spagnola, che il consumo di tabacco e di alcol aiutasse a prevenire e curare l'influenza.

 Protocolli ad hoc sono stati adottati per i team del Soccorso Alpino.

Nel corso della Guerra Bianca ai tempi della Spagnola è probabile che nessuno si sia posto il problema di come soccorrere i soldati feriti in montagna per evitare il contagio.

La revisione di 8 studi scientifici pubblicati tra il 1918 e il 1925 ha evidenziato che la somministrazione di emoderivati provenienti da soggetti convalescenti potrebbe aver ridotto il rischio di morte da Spagnola complicata da polmonite. Oggi , in alcuni casi, si fa ricorso al plasma iperimmune.

Un tempo erano i venditori ambulanti a rappresentare il tramite per il contagio di malattie infettive.

Al tempo della Spagnola i soldati si spostavano più dei civili, favorendo il contagio.

Oggi la trasmissione del Sars-Cov-2, soprattutto nelle regioni alpine, è legata al turismo o al movimento dei pendolari, oppure delle merci. Solo nelle zone non interessate dal turismo o con difficoltà nella rete viaria si sono verificati meno contagi. Durante la Grande Guerra le città sembravano essere flagellate più̀ precocemente. Più bersagliati erano i quartieri affollati, ove l’igiene scarseggiava.

 

Il CAI al tempo del Covid-19

 

Secondo relatore Franco Finelli, presidente della Commissione Centrale Medica del CAI. Titolo della presentazione “Il CAI al tempo del Covid-19”. L’insediamento della nuova Commissione Centrale Medica è avvenuto l’11 gennaio 2020, poco prima del blocco totale. Molte le riunioni video che la Commissione ha organizzato, condividendo idee e proposte. Un “kit anti-Covid-19”, contenente un sanificatore con ozono, un saturimetro e un termometro a infrarossi , è stato  assegnato a ogni rifugio del CAI. Molte sono state le discussioni con le altre Commissioni Centrali del CAI, con le quali la Commissione medica ha avuto una stretta collaborazione tramite videoconferenze. Il confronto è stato utile per aiutare a risolvere le tante problematiche causate dal virus. La commissione Cinematografica è stata di aiuto nella realizzazione di alcuni brevi video tutorial. Le Commissioni Centrali Escursionismo, Alpinismo Giovanile, Tutela Ambienta Montano e la Scuola Centrale di Alpinismo, Sci-Alpinismo e Arrampicata e il Comitato Scientifico Centrale sono state coinvolte. Si è avuto l’opportinità di fare rete con le commissioni mediche perIferiche del CAI con l’intento di raggiungere obiettivi prefissati e stabilire un contatto. Nel corso della pandemia l’attività della montagnaterapia ha molto sofferto, restando ferma per mesi. Elena Baiguera Beltrami è intervenuta per far presente le difficoltà che la SAT ha incontrato. Dopo un primo momento di smarrimento si è incominciato a dialogare per cercare di risolvere i molti problemi. In particolare quello dei rifugi. A maggio è stato costituito un tavolo provinciale con tutti gli attori della montagna e con l’ATS di Trento. Così anche le varie prescrizioni sono diventate meno stringenti. La manutenzione dei sentieri non è stata effettuata fino agli inizi del mese di giugno. Poi, la situazione è migliorata. La comunicazione è stata molto importante anche se, talvolta, sbagliata o fuorviante.

 

Covid-19, salute e ambiente

 

Terzo relatore Francesco Marchiori, medico igienista di Verona, con una presentazione dal titolo “Covid-19, salute e ambiente”. Si sono fino ad ora verificati nel mondo 25 milioni di casi di Covid-19 con 850.000 decessi.

La salute è definita uno stato di benessere fisico e psichico. Varie sono le determinanti che possono influiscono sulla salute. Gli stili di vita individuali incidono per il 50%, l’ambiente per il 20%, la genetica per il 20%, un buon servizio sanitario per il 10%.

L’ecosistema è costituito da due componenti in stretta relazione: gli organismi viventi e l’ambiente in cui vivono. Le minacce per l’ambiente sono rappresentate dall’antropizzazione, dalla riduzione dell’habitat, dall’incremento del consumo di alimenti, dai cambiamenti del clima, e dall’inquinamento ambientale.

Il problema si pone quando un ecosistema si altera. L’attuale popolazione mondiale è di circa 7,7 miliardi di abitanti, che determinano una enorme pressione antropica sull’ecosistema.  Questo aumento, a causa dello stretto contatto uomo-organismi viventi, determina la probabilità di un passaggio di microrganismi da animali all’uomo. Le zoonosi sono malattie che si trasmettono dagli animali all’uomo e comprendono gran parte delle malattie infettive. Molte sono le vie di trasmissione: alimenti contaminati, punture di insetto, morsi e graffi di animale. Alcune stanno riemergendo in Europa: West Nile, Dengue, Ebola, tanto per citarne alcune. Quando l’ecosistema perde il suo equilibrio aumenta la probabilità di generare fenomeni di salto di specie (spillover). Alcuni virus, come il Sars-CoV-2, hanno, infatti, effettuato un passaggio di specie.  Il virus è passato dal pipistrello all’uomo. I pipistrelli sono portatori asintomatici di molte gravi malattie per l’uomo. L’ambiente comprende l’interazione di tutte le specie viventi, il clima, le condizioni atmosferiche e le risorse naturali. Le componenti sono lo spazio in cui l’organismo vive, l’insieme delle risorse presenti in tale spazio, le interrelazioni tra l’organismo e gli altri esseri viventi e le condizioni fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge la vita dell’organismo. Il nuovo Coronavirus ha avuto origine in Cina, una grande nazione con alta biodiversità, con elevata densità di popolazione, con climi diversi, con altissimo consumo di risorse ambientali e carenti norme igieniche. Nei mercati si vendono animali vivi e morti ammassati, di varie specie. Qui gran parte dei pipistrelli serbatoi del Sars-CoV-2 vivono a stretto contatto con l’uomo. L’esposizione all’aria inquinata aumenta la possibilità di trasmissione della malattia. La pandemia rappresenta un’occasione per ripensare a molti aspetti della nostra vita anche nella prospettiva di prevenire e contenere future epidemie.

Per quanto riguarda l’ambiente, si può affermare che negli ultimi mesi (lockdown) si è verificato un provvisorio calo dei livelli di inquinamento. Il recente lockdown ha avuto un effetto positivo anche sulla diffusione di morbillo: i casi registrati sono diminuiti. Ancora molto resta da studiare e da capire. Per il futuro si può pensare a ricercare e studiare potenziali virus causa di spillover e di zoonosi. Serve un’educazione sanitaria mirata nelle comunità, cercando di evitare ogni promiscuità con gli animali possibili fonti di spillover, con particolare attenzione nei confronti delle specie che si sanno a rischio.

A questo punto è intervenuto Guido Giardini, primario del reparto di Neurologia responsabile dell’ambulatorio di medicina di montagna dell’ospedale di Aosta. Ha sottolineato l’importanza della pressione antropica sulla montagna, per, poi, chiedersi come cambierà l’approccio con la montagna dopo la pandemia. La montagna è stata considerata un’area salvifica per proteggere gli abitanti delle città dal contagio, grazie alle seconde case. Ora ci si chiede quale sarà il futuro per la stagione invernale. A causa dell’aumento delle connessioni nel periodo del confinamento si è verificato un incremento dei consumi energetici. Lorenza Pratali è, poi, intervenuta per affermare che la montagna è stata presa d’assalto nel corso della pandemia, mentre il turismo al mare si è ridotto. La montagna pare essere più sicura. Può essere che esiste un ridotto contagio?

 

Incidenza di Sars-CoV-2 più bassa in alta quota? Miti e verità

 

Giacomo Strapazzon, vicepresidente dell'Istituto per la Medicina di Emergenza in Montagna dell’EURAC di Bolzano è, poi, intervenuto con una relazione intitolata “Incidenza di Sars-CoV-2 più bassa in alta quota? Miti e verità”. Strapazzon ha fatto presente che occorre fare chiarezza su quanto è stato detto e pubblicato ieri e oggi. È stato detto tutto e il contrario di tutto. Mostrando la fotografia di una montagna innevata, il Sasso Piatto, ha fatto presente che le montagne erano vuote nel corso del lockdown. Si è verificato un grosso flusso di gente verso la montagna senza un vero distanziamento sociale. Vi è stato un calo del 75% degli interventi di soccorso in montagna nella fase di isolamento. Poco si conosce del SARS-CoV-2. Si sa che può produrre un danno polmonare oltre ad altri sintomi. Le manifestazioni delle malattie d’alta quota sono diverse rispetto a quelle dell’infezione dal nuovo Coronavirus. Qualcuno ha fatto confusione tra le due patologie (malpractice).

Molte le popolazioni che vivono sulle Ande, In Himalaya, in Etiopia e sulle Montagne Rocciose in alta quota. Qualcuno ha detto che in queste regioni del mondo ci sono stati meno casi di CoVid-19. Numerose sono state le ipotesi fatte e le discussioni tra scienziati e altrettante sono state le variabili evidenziate. Le etnie che vivono in alta quota hanno geni diversi, ma il dato non è sufficiente per dire che le popolazioni sono protette contro l’attacco del virus. Lo stile di vita delle popolazioni d’alta quota è più attivo e più sano. Le malattie croniche, per esempio cardiopatie e obesità, sono meno diffuse. La presenza delle radiazioni UV in quota sembra inibire il virus come pure la qualità dell’aria più secca, rarefatta, più pulita. La bassa densità della popolazione nelle zone remote potrebbe ridurre il contagio  in quanto crea automaticamente l’isolamento sociale. Il turismo favorisce, invece, il contagio. Così alcune nazioni hanno deciso di vietare i trekking e le spedizioni alpinistiche per la criticità del sistema sanitario locale, poco efficace e capillare.

La ripresa del turismo sulle Alpi ha dato luogo ad assembramenti e code nei pressi degli impianti di risalita e non solo. Gli incidenti in montagna sono aumentati del 170%. I sentieri, a causa della scarsa manutenzione e dell’aumento delle persone, hanno creato qualche problema agli escursionisti. Nuovi protocolli sono stati adottati dal Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), con l’adozione di dispositivi di protezione individuali. Lorenza Pratali è intervenuta per chiedersi se in realtà la montagna sia protettiva, dal momento che i dati a riguardo sono ancora  scarsi. Per avere un’evidenza scientifica occorre tempo. Pure la dieta sembra avere un suo peso. In particolare, in certe zone della Calabria l’alimentazione sembra essere stata efficace, tuttavia, i dati della comunità scientifica per avere valore devono andare oltre alla mera ipotesi. Attualmente si assiste a una crisi della letteratura scientifica, caratterizzata da confusione e incertezza. Molte pubblicazioni scientifiche si rivelano (giocoforza) affrettate. È ovvio che occorrano  migliori strategie e  indicazioni più attendibili da parte del governo.

 

 

Covid, psiche e montagna

 

Ultima relazione è stata quella dal titolo “Covid, psiche e montagna”, presentata dallo psichiatra di Rieti Paolo Di Benedetto, che ha parlato di come affrontare e uscire dal drammatico periodo della pandemia.

Vari sono gli interrogativi che ci si può porre a proposito della pandemia e del suo rapporto con la montagna. Si è trattato di un evento trasformativo. L’incontro con il SARS-CoV-2 ha rappresentato un trauma, un imprevisto in grado di durare nel tempo, capace di provocare un forte disagio. Nella storia dell’umanità due circostanze simili sono state la Grande Guerra e la guerra del Vietnam negli anni ’60.

Ci si è trovati di fronte a una situazione di grande stress, di nuova concezione, che ha richiesto una buona resilienza e altrettanto efficienti meccanismi di difesa. L’impatto con questo evento in alcuni ha prodotto  sintomi simili a quelli che si osservano nella sindrome post-traumatica da stress. Tra questi, l’angoscia incontenibile dovuta alla disintegrazione delle capacità difensive e integrative, la sensazione di morte imminente, l’inibizione motoria e affettiva (freezing), l’agitazione psicomotoria scomposta. Una frase di San Paolo: “Il tempo, ormai, si è fatto breve; d’ora innanzi, …quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo” può aiutare.  Codesta frase  non è una minaccia, ma una piena consapevolezza dell’esistenza umana e dei suoi limiti. La scena è un riparo, una separazione, una divisione stabile come un rifugio dalla luce, dalla aggressione da qualcosa di minaccioso e di incombente: il dio Pan sorprendeva gli uomini e li assoggettava a questa dimensione di paura incontrollata. L’angoscia viene prodotta dall’incontro dell’individuo con la realtà che lo avvolge. Si tratta di una minaccia costante, intrusiva. In poco tempo tutto è cambiato con l’avvento della pandemia. La morte e la follia coesistono in una società di spettatori soggetti alla ripetizione del trauma. Ci troviamo in una dimensione mediatica totalizzante che ci ha investito. Sorpresa e spavento hanno aggredito gli uomini, come una grande onda anomala, inquietante, spingendoli verso la perdita e la morte.

Si sono avute una sofferenza di prima linea per i sanitari, impegnati nell’assistere e curare i malati e le loro famiglie, e una di seconda linea nella sospensione dell’attività ordinaria.

Si è assistito ad una incapacità di capire ciò che stava accadendo, qualcosa di inarrestabile. I sanitari si sono trovati a curare gli ammalati e nel contempo a poter essere i contagianti. È difficile sapere se ritornerà tutto come prima. Si tenta di prefigurare un futuro.

Attualmente poca è la presenza della dimensione religiosa, e della dimensione protettiva dell’altro (figura paterna e materna).  I sistemi ideologici religiosi sono indeboliti. Il padre e la madre devono essere figure esemplari. Assistiamo al declino della figura paterna. Come adulti non siamo in grado di fornire un esempio. Ci troviamo di fronte ad un’incapacità di dare senso agli eventi. La scienza si dimostra impreparata.

Siamo spettatori davanti alla morte. Esiste un’incapacità di dare senso agli eventi.

Il panico è qualcosa di sorprendente, dove l’Altro, invece di difenderci, è ridotto a niente. Siamo vittime della sorpresa distruttiva, dove non ci sono più limiti e tutto si disgrega e le cose sono preda della irrisolvibile vulnerabilità primordiale.

L’angoscia ci fa sentire inermi e compare il panico quando l’Altro non c’è. Si tratta di due sentimenti molto frequenti. Neppure la medicalizzazione o il consumismo sono in grado di aiutarci.

La montagna possiede una sua cultura, generando il contatto con gli altri. Aspetti disfunzionali possono diventare positivi. La montagna ha un suo effetto trasformativo. Ci insegna a prendersi cura di sé e degli altri.  Si ha una valorizzazione antropologica ed educativa dei percorsi. L’esempio in un’antica immagine di Gradiva, fanciulla greca, che avanza e, spostandosi, cambia stato. È il simbolo del mutamento, della trasformazione. Il camminare, nella sua dimensione orizzontale e verticale, rappresenta un’attività trasformativa con la sua componente clinica, culturale e didattica attraverso la pratica dell’escursione, del cammino, del viaggio nella dimensione di gruppo e individuale. L’uomo ha in sé una pulsione viatoria intrinseca che lo spinge a camminare ed esplorare il mondo per ricrearlo costantemente. Il cammino rappresenta una metafora della vita (il viaggio all’interno di noi stessi), un’esperienza terapeutica, un’esperienza collettiva e possiede una dimensione pedagogica.  Tutto quello che incontriamo nel camminare è ciò che viviamo dentro di noi. Il faticare nel procedere, il cercare il sentiero, la paura di perdersi, la vertigine nell’affacciarsi, la gioia dell’arrivo sono concretizzazioni di processi emotivi, affettivi e cognitivi che, spesso, non riescono ad esprimersi adeguatamente nella realtà quotidiana.  L’ambiente offre la possibilità di vivere un “come se”. Le forti emozioni, i legami, le interazioni che i luoghi fanno emergere, spostano continuamente la labile linea di confine tra mondo interno e la realtà esterna. In questa situazione di confine si esaltano i propri limiti e le proprie risorse, i processi relazionali alla base dell’essere umano (necessità di legarsi agli altri, di dipendere, il bisogno di solitudine e di isolamento, l’affidarsi e il ritrarsi dall’altro). Camminare, salire e scendere, sostare, orientarsi, alimentarsi, affrontare gli imprevisti, stare in gruppo, curare sé e il gruppo. Platone propone il divenire e l’idea di movimento come fondante della vita psichica e corporea (Teeto), Epicuro come trasformazione. Freud, nei tre saggi sulla sessualità, vede nell’attività muscolare una fonte di piacere. Danielle Quinodoz sottolinea l’importanza dell’attività per fronteggiare gli stati di angoscia. Il movimento costituisce uno degli elementi centrali per la padronanza, l’integrazione, il test di realtà e il controllo degli impulsi.

Si avverte la necessità di legarsi agli altri. Vanno favoriti l’incontro con l’altro, l’appartenenza al gruppo (identificazioni multiple). Il riconoscimento del bisogno affettivo e la ricerca dello sguardo (riconoscimento e conferma), dell’autostima e della capacità di costruire e/o rinforzare l’adattamento al nuovo. Il vero paesaggio che possiamo incontrare nella vita è l’altro (il volto che c’è dietro). Il camminare è incontrare le persone e vedere i luoghi. Occorre passare da una posizione di eccessiva clausura del confinamento (casa, corpo, assenza di contatti) al cammino. L’uomo cammina, l’animale vaga, ecco la differenza tra i due esseri viventi.

Occorre creare luoghi di ascolto. Ci troviamo dentro il consumo degli oggetti. Dobbiamo recuperare il contatto con sé e con gli altri. La cura deve essere rivolta alla collettività come anima mundi platonica,recupero della narrazione reale, onirica e dell’ascolto. Recupero del senso di responsabilità, tema dell’io, tu e noi, divisi tra una parte claustrofilica, protettiva e claustrofobica, socializzante. La distanza e la chiusura sono cifre del senso di responsabilità e protezione e al tempo stesso di diffidenza.

Per finire una frase di Jorge Luis Borges: “un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, di isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo  volto”.

 

 

 

 

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