IN MONTAGNA CON IL CUORE

A inizio maggio per volere della SIMeM e della FADOI si è svolto a Trento un convegno per discutere la sicurezza dei pazienti cardiopatici che effettuano escursioni in quota

 

Venerdì 3 maggio 2024 è stato organizzato dalla Società Italiana di Medicina di Montagna (SIMeM) e dalla Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI) presso la sede della SOSAT, in occasione del Trento Film Festival 2024, un convegno dal titolo “Il paziente cardiovascolare in montagna: dalla ricerca alla pratica clinica”. Le due società scientifiche hanno pensato a questo evento per discutere ciò che si verifica in altitudine nel corpo umano in condizioni sia di salute sia di malattia e quale utilità possano rivestire le informazioni raccolte attraverso la ricerca.

L’evento era rivolto alla popolazione e agli operatori sanitari per sensibilizzare nei confronti delle malattie cardiovascolari, molto diffuse tra coloro che risiedono o frequentano la montagna. L’intento anche di fornire con dati scientificamente attendibili ai pazienti affetti da malattie cardiovascolari una maggiore consapevolezza dei rischi a cui sono esposti durante le escursioni, soprattutto se impegnative.

L’apertura e la presentazione del convegno sono state a cura di Rosalba Falzone della FADOI e internista di Rovereto e di Giacomo Strapazzon, presidente della SIMeM e direttore dell’Istituto per la Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano. Rosalba Fanzone ha parlato della FADOI e dell’interesse per la medicina di montagna.

Il primo intervento è stato quello di Flavio Egger, internista dell’ospedale di Bolzano dal titolo “Perché l’internista e la medicina di montagna?” Oltre il 60% dei pazienti con scompenso cardiaco viene ricoverato nei reparti di medicina interna. Sempre più persone affrontano altitudini elevate in montagna. La medicina di montagna è una disciplina moderna in continua evoluzione.

Ha, poi, preso la parola Nicola Osti, responsabile della Sezione Giovani della FADOI e internista presso l’ospedale di Cles (Tn). Il relatore ha parlato degli adattamenti dell’organismo all’alta quota, dei mitocondri, della fosforilazione ossidativa e dell’importante ruolo dell’ossigeno quando si sale in quota. Il male acuto di montagna (AMS) non compare al di sotto dei 2500 metri nella maggior parte dei casi. Nei soggetti non acclimatati i sintomi possono comparire nelle prime 6-12 ore di esposizione acuta all’altitudine elevata. L’AMS è strettamente correlato alla velocità di ascesa, all’altitudine raggiunta e alla quota in cui si dorme. A 4000 metri di altezza il 15% degli individui va incontro all’AMS, mentre l’1% sviluppa un edema cerebrale acuto d’alta quota (HACE), che scende allo 0,2% negli individui che raggiungono una quota di 4500 metri in sei giorni. HACE e HAPE non trattati vanno incontro a morte nel 50% dei casi. L’acclimatamento è reversibile, mentre l’adattamento è un meccanismo dovuto a una selezione genetica naturale, come quello che si riscontra in alcune popolazioni che vivono in alta quota in Himalaya. Esistono risorse di tipo fisiologico e meccanismi di tipo propriocettivo piuttosto complessi alla base sia dell’acclimatazione sia dell’adattamento. L’apparato cardiovascolare vive una condizione di delicato equilibrio in alta quota. La capacità adattativa è un fenomeno che varia nei singoli individui. Il male acuto di montagna (AMS) può essere lieve, moderato o severo. La prevenzione ha un ruolo fondamentale per saperlo conoscere e cercare di evitarlo.

Il professor Piergiuseppe Agostoni, direttore della Scuola di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare e direttore del Dipartimento di Cardiologia Critica e Riabilitativa del Centro Cardiologico Monzino di Milano, ha parlato di “La ricerca sul sistema cardiovascolare in alta quota”. Salendo in altitudine vi è meno ossigeno in assoluto, pur rimanendo uguale la sua percentuale nell’aria (l’aria è più rarefatta).

Agostoni ha avuto l’idea, con altri cardiologi, di installare presso l’arrivo della Sky Way a Punta Helbronner a 3462 metri, nel massiccio del Monte Bianco, a fine 2019 la postazione Keito K9 per il controllo cardiorespiratorio più alta del mondo in grado di misurare oltre alla pressione arteriosa anche altri parametri. L’apparecchiatura, sostenuta dalla Fondazione Ieo-CCM (Istituto Europeo di Oncologia e Centro Cardiologico Monzino), permette a qualsiasi frequentatore dell’impianto di risalita, alpinista, escursionista o semplice turista, di misurarsi gratuitamente e in autonomia alcuni parametri essenziali a monitorare la reazione dell’organismo all’alta quota: peso, altezza, percentuale di massa magra e grassa, indice di massa corporea, pressione arteriosa, frequenza cardiaca e saturazione di ossigeno nel sangue. Dai dati raccolti in 1141 misurazioni risulta che si sta meglio d’inverno e che le donne giovani e magre si trovano nelle condizioni migliori.

Agostoni ha ricordato che salendo in alta quota aumenta la frequenza cardiaca, diminuiscono le resistenze vascolari, aumenta la gittata cardiaca (all’inizio). Il tono del sistema simpatico aumenta salendo in quota.

Si possono verificare episodi di apnee centrali, più frequenti nei maschi.

A parità di altitudine cambia la pressione barometrica, e viceversa, infatti la terra non è piatta.

Tra le popolazioni che vivono in alta quota, gli Sherpa si sono adattati, mentre le popolazioni che vivono sulle Ande hanno sviluppato la malattia cronica di montagna o malattia di Monge dal momento che non si sono adeguate nel tempo, andando incontro a poliglobulia, circolazione cerebrale difficile, ipoventilazione, insonnia, stato di confusione, bassa prestazione fisica, dolori ossei e disturbi a carico dell’apparato cardiovascolare. Tutti i sintomi scompaiono se si scende a bassa quota. Il relatore ha fatto presente che i pazienti ipertesi devono fare attenzione nel salire in alta quota e ha consigliato di consultare le linee-guida messe a punto dal gruppo del professor Gianfranco Parati. Agostoni ha concluso affermando che non devono andare in quota i malati respiratori, gli ipertesi polmonari e quelli affetti da shunt cardiaci destri e sinistri.

Giacomo Strapazzon ha, poi, parlato della medicina di montagna sul territorio. Neve, valanghe, ipotermia, vento, sole possono mettere in pericolo i frequentatori della montagna. I rischi sono presenti sia d’estate sia d’inverno. Va considerata la presenza di malattie croniche preesistenti. Con l’avvento dei cambiamenti climatici è diventato più difficile interpretare le variazioni del manto nevoso. Alcune vie non sono più accessibili a causa di tali modificazioni ambientali, come per esempio nel massiccio del Monte Bianco dove il 30% non sono più percorribili come prima.

Strapazzon ha parlato dei 25 anni della Società Italiana di Medicina di Montagna (SIMeM). La Società è stata fondata da alcuni membri della Commissione Centrale Medica del CAI ad Arabba il 3 luglio del 1999. Tra gli scopi la prevenzione, la promozione della ricerca e della salute in montagna. Esiste la rivista scientifica “High Altitude Medicine & Biology” che è l’organo ufficiale dell’International Society of Mountain Medicine (ISMM).

Il relatore ha affrontato, poi, il tema degli incidenti causati dal distacco di valanghe, dei consigli da dare per prevenirli, di come praticare l’autosoccorso. Ha parlato del Lake Louise Score, uno strumento valido per monitorare il nostro stato di salute quando si sale in alta quota, un campanello di allarme che aiuta nel prevenire e curare il male acuto di montagna (AMS). Occorre imparare ad osservarsi, ad acclimatarsi bene e a scendere fin dalla prima di avvisaglia di malessere.

Strapazzon ha continuato con il tema degli ambulatori di medicina di montagna presenti in Italia, del test di Richalet, messo a punto per studiare i soggetti sani che si espongono all’ipossia, per poter predire la comparsa dell’AMS.

Presso l’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna di Bolzano dell’Eurac esiste TerraXCube, un simulatore in grado di riprodurre indoor climi estremi (quota, temperatura, pioggia, neve, vento), per valutare fino a che punto un individuo può spingersi.

La commissione medica dell’UIAA ha messo a punto linee-guida per le patologie neurologiche e le cardiopatie per pazienti che vogliono andare in montagna, stabilendo controindicazioni assolute o relative. Non tutti i farmaci in quota hanno la stessa efficacia.

Da 7 anni viene organizzata la giornata dell’ipertensione arteriosa nei rifugi del CAI che vede coinvolte la Commissione Centrale Medica del CAI, la SIMeM e la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa. L’iniziativa ha lo scopo di fare prevenzione e di aiutare la ricerca mediante un questionario anonimo per la raccolta di dati sui frequentatori della montagna.

Il progetto europeo Resamont ha promosso l’utilizzo della telemedicina, riducendo il numero di interventi di soccorso in montagna.

È stato steso il Decalogo Estate 2023 con alcuni consigli per chi frequenta la montagna.