Riuniti al Terminillo
La Commissione Centrale Medica del CAI e la Società Italiana di Medicina di Montagna hanno organizzato un convegno sulla salute in quota
Giancelso Agazzi
Il 24 settembre 2022 presso il Centro di Addestramento dell’Aeronautica del Terminillo si è svolto il convegno di medicina di montagna “Un percorso comune dalle Alpi all’Appennino”. A organizzarlo, la Società Italiana di Medicina di Montagna in collaborazione con la Commissione Centrale Medica del CAI. Circa una settantina i partecipanti.
Dopo i saluti di Lorenza Pratali, presidente della S.I.Me.M. (Società Italiana di Medicina di Montagna) e di Franco Finelli, presidente della Commissione Centrale Medica del CAI, ha preso la parola Annalisa Cogo dell’Università di Ferrara, che ha parlato della storia della società. Ha ricordato la spedizione all’Aconcagua del 1980 cui aveva partecipato, nel corso della quale si era verificato un caso di edema polmonare d’alta quota. La nifedipina era comparsa nei primi anni ’80. Annalisa Cogo è stata nel 1984 la più giovane presidente di OTTO (Organi Tecnici Centrali del CAI). Nel 1989 è stato organizzato il primo corso per medici di trekking e spedizioni presso il rifugio Monzino in val Veny. La commissione medica del CAI ha promosso una campagna contro il fumo di sigaretta nei rifugi e un’iniziativa per sensibilizzare i frequentatori della montagna circa le malattie d’alta quota dall’eloquente titolo “Troppo in alto, troppo in fretta”. Nel 1994 è nato il diploma di medicina di montagna organizzato dall’Università di Padova. Il 4 luglio 1999 la S.I.Me.M. è stata fondata ad Arabba.
Alessandro Ellero, geologo, è intervenuto per parlare della geologia dell’Appennino Centrale e dei rischi connessi.
Disastri…umani
Giuseppe Ottria, ricercatore presso l’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR di Pisa, è intervenuto per parlare dei disastri naturali prodotti dai comportamenti umani. Il relatore ha fatto presente la pericolosità idrogeologica, che provoca frane e alluvioni, con un impatto di tipo ambientale e sociale. Alcune aree del territorio italiano sono ad alto rischio sismico, per cui occorre essere preparati nei confronti di simile eventualità. Attualmente si assiste a precipitazioni intense e concentrate.
Spesso le frane di crollo vengono indotte da un terremoto (85%).
Il relatore ha parlato delle valanghe e del comportamento umano poco corretto (sci fuori pista). Nel corso degli ultimi venti anni In Himalaya si è verificato un aumento esponenziale di valanghe, a causa del riscaldamento globale. Il pianeta è investito da eventi climatici estremi, con i rischi conseguenti. L’uomo ha costruito insediamenti in luoghi pericolosi. È necessario migliorare le tecniche costruttive, con una adeguata legislazione, mentre un’opportuna educazione servirebbe a prevenire la maggior parte degli incidenti.
La foresta che cura
Francesco Meneguzzo, fisico del CNR di Firenze e referente del CAI per la terapia forestale, è intervenuto per parlare di questa disciplina emergente, che ha una funzione preventiva e terapeutica. Molti sono i benefici. Le foreste naturali sono in grado di regolare il clima, contribuendo al raffreddamento del pianeta. La terapia forestale è dagli anni ’80 praticata e studiata in Giappone. Si tratta di una pratica di medicina preventiva complementare, utile a combattere lo stress. Una disciplina giovane con crescente interesse scientifico. Sono stati scritti molti articoli, contenenti numerose evidenze scientifiche. Le foreste rappresentano a livello mondiale un investimento molto fruttuoso per favorire la salute delle persone, come sottolineato dai cinesi. La terapia forestale combatte l’ansia, la depressione e migliora le funzioni cognitive. I tassi di adrenalina e di cortisolo nel sangue si riducono. Le difese immunitarie vengono rinforzate, combattendo le infezioni. Il rilascio di terpeni produce effetti terapeutici sull’uomo. La terapia forestale possiede un’attività anti-ossidante, dipendente dall’esposizione.
È seguita la relazione di Silvano Landi che ha parlato degli aspetti floro-faunistici dell’Appennino Centrale. Il Terminillo presenta un aspetto dolomitico.
Avanzare camminando
Lo psichiatra Paolo Di Benedetto della Società Italiana di Montagnaterapia, ha, poi, preso la parola. Di Benedetto ha ricordato i convegni che sono stati organizzati in passato. La montagnaterapia è una metodologia che si occupa della prevenzione secondaria, della cura e della riabiitazione. Un paradigma psico-sociale per la promozione di quei processi evolutivi legati alle dimensioni trasformative della montagna. Lavora sulle dinamiche di gruppo nell’ambiente culturale e naturale della montagna, anche su pochi partecipanti coordinati tra loro, per tempi brevi o sessioni residenziali. Utilizza conoscenze e tecniche proprie delle discipline della montagna, integrate con i trattamenti medici, psicologici e/o socio-educativi già eventualmente in atto. I presupposti fondanti sono competenze cliniche e pedagogiche, formazione degli operatori e partecipazione a convegni e seminari, creazione di un team integrato e studio dei processi e degli esiti.
Il relatore ha affermato che un’anamnesi dettagliata è un importante spunto per la terapia.
Il camminare consente di “avanzare”, mutando costantemente. La montagnaterapia è un’attività riabilitativa, una metafora della vita.
Focus sulla formazione
Luigi Festi, chirurgo toracico di Varese, ha presentato il master di II livello in medicina di emergenza in montagna (“Mountain Emergency Medicine”). Il corso serve a formare medici e infermieri che si occupano di soccorso in montagna. Attualmente ci sono 15 iscritti, per la metà stranieri. Luigi Festi ed Hermann Brugger sono gli ideatori di un manuale che parla della medicina di emergenza in montagna, con oltre cento autori, che raccoglie esperienze e conoscenze provenienti da tutto il mondo.
Di incidenti, vittime, assistenza
Dopo il coffee-break si è tenuta una tavola rotonda, cui hanno partecipato alcune delle commissioni periferiche del CAI. Stefano Trinchi, uno degli organizzatori del convegno e presidente della commissione medica del CAI del Lazio, ha parlato di come si deve gestire l’assistenza alle vittime di incidenti in montagna, collaborando con i corpi dello stato. Occorre lavorare meno e lavorare meglio. Servono corsi di BLSD di qualità, insegnando ai laici le procedure di primo soccorso. Benigno Carrara della commissione medica del CAI di Bergamo ha elencato le varie iniziative, tra cui un corso di educazione sanitaria per i frequentatori della montagna, conferenze e convegni in collaborazione con la Commissione Centrale Medica del CAI e con la S.I.Me.M. Paolo Nicoli della commissione medica del CAI del Veneto ha parlato delle attività organizzate nell’ambito della montagnaterapia. Osvaldo D’Andrea della commissione medica del gruppo regionale abruzzese ha elencato alcune iniziative organizzate nell’ambito della montagnaterapia. Ester Rossini della Commissione Medica delle Valli di Lanzo ha parlato dei defibrillatori portatili presenti nei rifugi, del kit di primo soccorso e della montagnaterapia.
Il toscano Luigi Vignale ha parlato dell’attività di elisoccorso in Toscana, della giornata dell’ipertensione nei rifugi del CAI 2022 e del suo aspetto sociale inclusivo.
L’importanza della sinergia
Gian Marco Simonini del gruppo regionale del CAI Liguria-Piemonte e Valle d’Aosta, ha ringraziato la Commissione Centrale medica per l’aiuto che ha saputo fornire, creando una rete di contatti e di collaborazioni. Livio Picchetto della Commissione Regionale dell’Emilia e Romagna ha sottolineato l’importanza del confronto tra le varie commissioni mediche periferiche del CAI. Ha parlato del progetto di montagnaterapia riguardante i pazienti affetti da sclerosi multipla.
Antonella Bergamo, presidente della Commissione Medica della Società Alpinisti Trentini (SAT), ha voluto sottolineare l’importanza della collaborazione nata tra la Commissione Centrale Medica e la S.I.Me.M.. La commissione medica della SAT si è occupata della gestione dei farmaci presenti nei rifugi e ha organizzato incontri, tra i quali una serata sulle zecche. Antonella Bergamo da anni organizza un convegno di medicina di montagna in occasione del Trento Film Festival. La commissione medica della SAT vorrebbe aprire uno sportello virtuale per i soci.
Progetti futuri
Luigi Vanoni, vicepresidente della Commissione Centrale Medica del CAI, ha fatto presente la necessità di organizzare un corso di BLSD per i titolati del CAI. La Commissione Centrale Medica del CAI ha pensato a un kit di primo soccorso da utilizzare nel corso di escursioni in montagna. Il maggior numero di incidenti si verifica nel corso di escursioni facili.
Franco Finelli, presidente della Commissione Centrale Medica del CAI, ha chiuso la tavola rotonda pensando al futuro, con l’istituzione di corsi di e-learning per i frequentatori della montagna e di una serie di progetti da portare a termine, trasversali anche alle altre commissioni centrali del CAI.
La presidente della Società Italiana di Montagnaterapia, Roberta Sabbion, si è collegata online per porgere il proprio saluto ai partecipanti al convegno.
La lettura magistrale
Lo storico Stefano Morosini di Bergamo ha, poi, presentato una lettura magistrale riguardante le spedizioni extra-europee organizzate tra fine Ottocento e primi anni del Novecento. Morosini ha parlato delle spedizioni condotte da italiani, con alpinisti, guide alpine e scienziati. Paul Bert ha effettuato i primi studi in una camera ipobarica, pubblicando nel 1878 una ricerca effettuata su uomini, topi e piccoli uccelli. Il fisiologo Angelo Mosso, autore del libro “L’uomo sulle Alpi”, ha ideato e realizzato l’Osservatorio esistente al Col D’Olen a 2900 metri di quota e la capanna regina Margherita sulla punta Gnifetti nel gruppo del Monte Rosa. Alla fine dell’Ottocento incominciarono le prime spedizioni in ambienti estremi del pianeta. Il valdostano Roberto Lerco nel 1890 organizzò la prima spedizione al K2. Matthias Zurbriggen (1856-1917), guida alpina svizzera, lo accompagnò. Matthias prese parte a molte spedizioni, scalando alcune delle vette più alte della terra, dalle Alpi all’Himalaya, in America del Sud e in Nuova Zelanda. Nel 1900 salì in solitaria l’Aconcagua. Accompagnò William Martin Conway in Karakorum alla conquista del Pioneer Peak. Fanny Bullock Workman (1859-1925) fu una delle prime donne alpiniste professioniste, conquistando nel 1899 il record femminile di altezza, salendo a 6400 metri.
Nel 1909 Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, (1873-1933) effettuò un tentativo di salita al K2, salendo fino a 6200 metri, lungo lo sperone degli Abruzzi. Con lui il fotografo Vittorio Sella, che documentò l’impresa. La spedizione raggiunse la vetta del Bride Peak a 7498 metri, record di altezza.
Nel 1913-14 è stata organizzata una spedizione scientifica italiana guidata dal medico Filippo De Filippi. Aimone di Savoia, duca di Spoleto, nel 1929 organizzò una spedizione geografica nel Karakorum, in seguito fermata da Mussolini dopo l’incidente del dirigibile Italia. Nel 1938 fallì la prima spedizione americana al K2.
Nel 1938 Charlie Houston dell’American Alpine Club organizzò una spedizione al K2, che non ebbe successo. Nel 1953 vi fu un altro tentativo americano per raggiungere la vetta della montagna.
Nel 1954 il geologo Ardito Desio riuscì ad ottenere il permesso per salire la vetta del K2. La spedizione suscitò molte polemiche. Compagnoni e Lacedelli raggiunsero la vetta della montagna, dando all’Italia un grande prestigio internazionale.
Vaccino anti-Covid-19 e un ospite speciale
È seguita la presentazione di Francesco Marchiori, medico igienista, membro del direttivo della S.I.Me.M. Il relatore ha parlato di una campagna vaccinale Covid-19 avvenuta in una comunità di montagna e della sua organizzazione.
Erri De Luca è successivamente intervenuto per parlare del suo punto di vista sulla montagna. È stato intervistato da Stefano Trinchi, uno dei suoi compagni di scalata. Oltre ad essere uno scrittore prolifico, Erri è un appassionato arrampicatore. Ha affermato che le montagne appartengono a tutti e confessato di volerle frequentare per la loro bellezza. La passione per la montagna spinge gli uomini a salire verso l’alto, verso il confine con il cielo, così come un seme, piantato nella terra, tende a risalire verso la superficie, quindi, verso l’alto. L’alpinismo rappresenta secondo De Luca l’ultimo paragrafo della geografia, per poter superare i propri limiti. Esistono le paure individuali, circoscritte e misurabili. Le paure vanno combattute, sfruttando il proprio coraggio. Quest’ultimo aiuta a progredire in montagna, mettendo a dura prova le persone. Gli uomini sono minuscoli e di passaggio.
Montagna e cambiamenti climatici
Annalisa Cogo ha introdotto la sessione pomeridiana del convegno, parlando dell’ambiente montano alla luce degli attuali cambiamenti climatici.
La VO2 massimale scende progressivamente salendo in quota. Gli alpinisti di élite sfruttano meglio il volume corrente, con atti respiratori meno frequenti. La montagna è utile per la riabilitazione di alcune malattie. La relatrice ha sottolineato l’importanza di frequentare la montagna da giovani per non compromettere i volumi polmonari da adulti. Annalisa Cogo ha parlato della fisiologia e della fisiopatologia della media e alta quota, che fanno aumentare la frequenza respiratoria, la frequenza cardiaca, l’eritropoiesi (policitemia secondaria), la pressione arteriosa e la secrezione di catecolamine. Un cattivo adattamento all’alta quota produce il male acuto di montagna, l’edema cerebrale e polmonare. La relatrice ha affermato che occorrono 35.000 anni perché una popolazione si adatti alle grandi altezze.
Stress ossidativo e alta quota
Simona Mrakic Sposta, ricercatrice del CNR e segretaria della S.I.Me.M., ha parlato dello stress ossidativo nell’ipossia acuta. Sono stati misurate frequenza cardiaca, pressione arteriosa e saturazione. Dopo sei ore di esposizione si è riscontrato un incremento dei Ros (Reacting oxygen species) pari al 50-60%, con un continuo aumento nelle ore successive. Alcuni parametri sono stati dosati su campioni di saliva.
La relatrice ha, poi, parlato dello stress ossidativo e dell’infiammazione in alta quota. Ha riferito i risultati degli studi effettuati nel corso di gare di ultramaratona e di sky running, in occasione delle quali si verifica uno sbilanciamento tra anti-ossidanti e pro-ossidanti, con conseguenti danni muscolari e diminuzione delle prestazioni fisiche. Corridori di ultramaratone di età inferiore ai 45 anni hanno livelli di Ros più bassi in tutti i posti di gara. I radicali liberi sono altamente instabili e cercano di ritornare all’equilibrio sottraendo l’elettrone necessario ad altre molecole. Vengono presi elettroni da proteine, acidi nucleici e lipidi come anti-ossidanti. La generazione di Ros è inevitabile per gli organismi aerobici. Lo stress ossidativo aumenta con l’età e a seguito di un’attività fisica molto intensa. Ne conseguono, tra l’altro, aterosclerosi, neurodegenerazione e cardiopatie. Esistono alcuni marcatori plasmatici basali dello stress ossidativo che potrebbero essere correlati all’entità del danno muscolare dopo una gara di ultra-resistenza e che potrebbero anche influenzare l’evoluzione della forza muscolare in grado di quantificare lo stress ossidativo. Infiammazione e produzione di radicali liberi hanno un rapporto sinergico. Alla fine delle gare di trail running, di endurance trail e di sky running si registra la presenza di uno stato infiammatorio. Nel corso di gare più veloci i livelli di Ros sono più contenuti. I non finisherpresentano i livelli più alti di Ros. L’esercizio fisico estenuante e continuativo e la conseguente ultra-resistenza prolungata inducono la produzione di Ros e lo stress ossidativo. I corridori senior (45-53 anni) hanno mostrato livelli significativamente più elevati di perossidazione lipidica rispetto agli atleti medi (38-44 anni) e giovani (31-37 anni). Una spiegazione plausibile potrebbe essere la percentuale di grasso corporeo più alta osservata negli atleti senior, insieme alla perdita di massa muscolare rispetto agli atleti più giovani. Va considerata una integrazione di anti-ossidanti.
Dal laboratorio alle cime
Luigi Vanoni, vicepresidente della Commissione Centrale Medica del CAI, ha, poi, parlato della fisiologia e della fisiopatologia delle medie e alte quote.
Gianluigi Dorelli, specializzando dell’Università di Verona, ha presentato una relazione dal titolo “La performance in quota: dal laboratorio alla montagna”. Ha parlato della cinetica della VO2, di quanto impiega l’ossigeno per arrivare nei tessuti ed essere consumato. Le condizioni di ipossia riducono le capacità dell’esercizio, riducendo l’efficienza del sistema aerobico. La gittata cardiaca si riduce. La frequenza cardiaca correla con il consumo di ossigeno. La frequenza cardiaca rappresenta un ottimo parametro per monitorare l’intensità dell’esercizio e per stimare la VO2 in acuta e prolungata ipossia. Conoscendo le variazioni della frequenza cardiaca in laboratorio, potrebbe rappresentare uno dei sistemi migliori per gestire l’intensità dell’esercizio in condizioni di ipossia. Il trovare l’esatta intensità dell’esercizio potrebbe aiutare gli atleti che vogliono svolgere attività in montagna e i soggetti con qualche limitazione di tipo cardio-respiratorio. In più i test in laboratorio permettono di studiare le condizioni cardio-respiratorie e il controllo della sicurezza nel corso di un’esposizione all’alta quota. Considerate le irregolarità del terreno e i rapidi cambiamenti di pendenza nel corso delle attività in montagna, il monitoraggio del lavoro esterno potrebbe non essere la miglior scelta nella gestione dello sforzo.
Gianfranco Parati, dell’Università della Bicocca di Milano, ha concluso i lavori del convegno parlando degli effetti dell’ipossia ipobarica sulla pressione arteriosa in alta quota.
30.10.22