MEDICINA DI MONTAGNA: L’OTTAVO CONGRESSO INTERNAZIONALE NELLO UTAH

NEL PIENO DELLA SCORSA ESTATE LA ISMM E LA WMS HANNO ORGANIZZATO A SNOWBIRD L’ORMAI CONSUETO CONVEGNO ANNUALE PER PARLARE DEGLI ULTIMI STUDI RELATIVI A UNA BRANCA DELLA MEDICINA CHE STA SUSCITANDO SEMPRE PIÙ INTERESSE A LIVELLO MONDIALE

Di Giancelso Agazzi

 

Dal 28 luglio al 1° agosto 2024 si è tenuto a Snowbird nell’Utah (USA) il Congresso Internazionale di Medicina di Montagna organizzato dalla International Society for Mountain Medicine (ISMM) e dalla Wilderness Medical Society (WMS).

Hermann Brugger, vice-direttore dell’Istituto di Medicina di Emergenza dell’Eurac di Bolzano, ha parlato di “Beyond the limits-Mountain Medicine pushing the Extreme”. Brugger ha illustrato il caso di un alpinista austriaco che nel 2016, caduto in un crepaccio per dieci metri, è sopravvissuto seduto su un blocco di ghiaccio a una temperatura ambiente di 0° C. Ha riportato un modesto stato di ipotermia, fratture costali e alcuni graffi, con un GCS 15. Si tratta della più lunga sopravvivenza in crepaccio descritta. Lo stato di disidratazione era più importante dell’ipotermia. L’infortunato si è nutrito di cioccolato e biscotti.

Brugger ha descritto il caso di tre donne sopravvissute per 37 giorni in una stalla, sepolta da una valanga nel 1755 a Bergemoletto in Italia, nutrendosi di latte e carne di capra e di acqua di fusione.

Nel 1999 una radiologa norvegese di 29 anni è stata vittima di un arresto cardiaco, durato 40 minuti, dopo essere caduta in un fiume ghiacciato, con una temperatura corporea di 13.7° C. Dopo 120 minuti di CPR il cuore ha ricominciato a battere. Trasportata in elicottero all’ospedale di Tromso e sottoposta a riscaldamento con ECLS, la donna è stata dimessa in buone condizioni di salute. Il relatore ha parlato del caso più estremo di ipotermia del core irreversibile indotta nel 1961 nel corso di un intervento di neurochirurgia (4.2° C) per la rimozione di metastasi cerebrali, che non ha avuto conseguenze. Brugger si è chiesto quali possano essere i limiti. Ha parlato dell’evoluzione della termoregolazione nell’uomo: dalla poikilo ed eterotermia all’omotermia.  Gli animali poikilotermici ed eterotermici sono in grado di variare la temperatura corporea, adattandosi allo stress ambientale per sopravvivere. Durante la fase di ibernazione la temperatura di alcuni animali si abbassa, la frequenza cardiaca diminuisce e il respiro è poco profondo. La termoregolazione dei mammiferi e degli umani è in grado di mantenere stabile la temperatura interna del corpo in rapporto alla temperatura dell’ambiente in cui vivono. Il cambiamento da poikilotermici a omeotermi ha fatto enormemente avanzare l’evoluzione dell’uomo. Dall’ibernazione all’ipotermia accidentale: la diminuzione della temperatura corporea conduce ad uno stato di diminuita attività fisiologica con un incremento della tolleranza del cervello e dei tessuti all’ipossia. Brugger ha descritto la differenza tra arresto cardiaco normotermico e ipotermico. Nel primo la CPR deve essere continua, le defibrillazioni non hanno limite, i farmaci vengono somministrati come da protocollo, la prognosi non è buona. L’arresto cardiaco ipotermico è causato dall’ipotermia, la CPR può essere continua, ritardata o intermittente, al di sotto di 30° C di temperatura corporea si possono effettuare solo tre defibrillazioni, non si possono somministrare farmaci, la prognosi è migliore. L’età del paziente, la presenza di testimoni, il tempo trascorso dall’arresto cardiaco, la presenza di midriasi o di pupille fisse e dilatate non sono che non suggeriscono di sospendere la CPR. Importante l’utilizzo dell’HOPE score per valutare la possibilità di sopravvivenza dei pazienti, prima di procedere al riscaldamento del corpo. Un paziente ipotermico non va dichiarato morto finché non sia stato riscaldato senza ottenere risultato.

 

Due casi clinici di Brugger

 

 Brugger ha illustrato due casi clinici: un uomo di 31 anni ipotermico sulla parete Sud della Marmolada dopo un temporale, in arresto cardiaco con 26° C di temperatura corporea, ricoverato in ospedale dopo quattro ore di CPR e cinque ore di ACLS, dimesso senza sequele. È stato, poi, descritto il caso del Ratschings (Glaitner Hochjoch a 2400 metri) del 28 febbraio 2024 con tre sciatori sepolti da una valanga (1-4 metri) per circa quattro ore. I soccorritori dovrebbero considerare la prognosi alquanto infausta di soggetti sepolti per più di 60 minuti in arresto cardiaco non testimoniato e in asistolia. Brugger ha, poi, parlato della ricerca effettuata sui soggetti travolti da valanga come lo studio “Triple H”, realizzato nel 2009 nell’Ötztal, Austria, su maiali anestetizzati, sepolti nella neve, e interrotto a causa delle polemiche da parte degli animalisti. Nel 2014 a 3800 metri sull’Ortler è stato effettuato uno studio sul diametro del nervo ottico in soggetti esposti a ipossia ipobarica. Tra gli altri studi vanno citati quello del 2016 a Cervinia a 2800 metri, e la ricerca sulla densità della neve condotto nelle Dolomiti nel 2014. Nel 2023 è stato realizzato lo studio “Sherplasma Trial EBC” a 5500 metri. Nel corso di studi in ambiente vi possono essere confounder esterni come temperature esterne estreme, variazioni della temperatura, della pressione barometrica, dell’umidità, precipitazioni e radiazioni UV. Nella medicina di emergenza in montagna esistono la ricerca di base e la ricerca applicata. Tra i fattori logistici i lunghi tempi di trasporto, il trasporto su terreno difficile, la carenza di mano d’opera umana, la carenza o l’inefficienza degli strumenti e dei farmaci. Tra i fattori ambientali: caldo, freddo, pioggia, neve, vento e altitudine estrema. “Dati non riproducibili non sono significativi per la scienza” (Karl Popper, “The logic of scientific discovery”, 1934). Infine Brugger ha parlato del simulatore Terra X Cube presente presso l’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano dove si possono riprodurre climi estremi.

 

L’esperto delle grotte

 

Y. Barragan ha presentato una relazione dal titolo “Challenges of caving expedition”. La speleologia si occupa dello studio o dell’esplorazione delle grotte. Esistono vari tipi di grotte: vulcaniche, di ghiaccio, carsiche/di calcare, inondate di acqua. Nelle grotte si possono incontrare varie forme di vita e varie formazioni. Alcuni astronauti hanno esplorato grotte per prepararsi alle missioni spaziali. Varie sono le discipline coinvolte dalla speleologia: geologia, idrologia, biologia, archeologia, antropologia, topografia e la tecnologia in genere. Le grotte si trovano in ogni stato degli USA (44.000 mappate in 48 stati contigui). Per organizzare una spedizione di tipo speleologico occorre pensare a cibo, strumenti per la comunicazione, tende e ripari vari, materiale sanitario. Il tutto deve essere protetto in appositi contenitori in grado di riparare dall’acqua e dall’umidità. Cruciale è la strategia da mettere in campo in caso di un’emergenza medica, sfruttando tutte le risorse disponibili. In grotta si può andare incontro all’ipotermia. Una pentola contenente cibo lasciato aperto per dieci giorni in una grotta viene attaccata dai funghi. L’istoplasmosi è una malattia causata da un fungo (Histoplasma capsulatum) che vive nelle grotte soprattutto dove si trovano gli escrementi di pipistrelli o di uccelli. Fondamentale è il sapere affrontare e prima ancora prevedere i rischi.  www.caverescue.eu, www.caves.org, www.uis-speleo.org

 

Diving e incidenti

 

Kirsten Hornbeak ha, poi, parlato di “Overview of diving medicine”. Esistono vari tipi di diving: Scuba diving, umbilical diving, rebreather diving, commercial saturation diving, free diving. Negli USA si verificano 50-80 decessi all’anno dovuti a Scuba diving, metà dei quali di origine cardiaca (infarto del miocardio o aritmie varie negli anziani). Il diving è un’attività sportiva abbastanza sicura (500 incidenti non mortali su un milione di subacquei pari allo 0,05%), più sicura dell’arrampicata, dello sci e della motoslitta. Gli incidenti si possono verificare durante la discesa, il soggiorno sul fondo e la risalita o subito dopo. Quasi tutti gli incidenti sono dovuti ai cambiamenti di pressione che alteranol’equilibrio dei gas. I liquidi non sono compressibili, mentre i gas lo sono. Durante la discesa si verifica un improvviso incremento della pressione sul corpo. I gas che riempiono le cavità corporee vengono compressi nel tentativo di compensare l’aumentata pressione esterna dell’acqua e possono determinare un fenomeno chiamato “squeeze” (compressione), che provoca dolore. Possono comparire barotrauma dell’orecchio, barotrauma oculare, “mask squeeze”, barodontalgie, “sinus barotrauma”. Tra le emergenze che si possono verificare sul fondo: problemi cardiaci, malfunzionamento dell’equipaggiamento o del sistema di erogazione dei gas, stato di ansia, edema polmonare da immersione, contaminazione dei gas, narcosi da azoto, tossicità da ossigeno, ipercapnia. Esistono i barotraumi da risalita, tra i quali l’”Alternobaric facial paralysis” (paralisi di Bell), pneumotorace, pneumomediastino, enfisema sottocutaneo, formazione di bolle (embolie gassose), malattia da decompressione. In caso di emergenze durante un’immersione si deve tirar fuori dall’acqua il paziente, rimuovere l’acqua dalle vie aeree, somministrare ossigeno se necessario, iniziare CPR nei pazienti in arresto cardiaco, asciugare il corpo del paziente e riscaldarlo, idratare il corpo, praticare il trattamento iperbarico seguendo le apposite tabelle.

 

Il criterio del “Go slow, go fast”

 

John Elletron, presidente della Commissione Medica della Cisa-Ikar, ha parlato di “2024 WMS changes at the Front End of MR”. È stato creato un piccolo gruppo di lavoro, coordinato da Ellerton. Il relatore ha parlato di “Go slow, go fast”. La catena del soccorso non può essere interrotta ai fini della sopravvivenza. A proposito del riscaldamento del pianeta Ellerton ha sottolineato l’importanza della conoscenza del colpo di calore (Heat stroke), per il quale i soccorritori devono essere preparati. È stata specificata l’importanza del decision making (saper prendere la decisione giusta) e dei protocolli da mettere in pratica. Di fondamentale importanza è la gestione dello stress, prima, durante e dopo ogni missione. Infine ci si deve sempre aggiornare nel campo della tecnologia e della medicina di emergenza in montagna.

 

Parola d’ordine pianificare

 

Santosh Baniya, medico nepalese appartenente alla Mountain Medicine Society of Nepal, ha parlato di “Clinical experiences; working as a mountain medic in Nepal”. Il primo compito di un medico di montagna o di spedizione è valutare, identificare e dare la priorità e trattare malattie acute e incidenti sul campo e nel corso di una spedizione. Ci si deve prendere cura dello stato fisico e mentale prima, durante e dopo una spedizione o un trekking.  Tra le varie responsabilità: pianificare il profilo della salita, la geografia e l’analisi delle condizioni meteorologiche. Il medico si deve occupare del materiale sanitario, dei farmaci necessari per una spedizione e del piano di assicurazioni per ciascun componente. Deve analizzare l’anamnesi di ogni partecipante, verificando l’eventuale esistenza di malattie croniche o pregresse e organizzando screening pre-spedizione. Il medico deve occuparsi anche delle vaccinazioni necessarie. Deve fare prevenzione circa gli eventuali incidenti o malattie ed essere in grado di trattarle. Deve saper supportare i soggetti che hanno subito eventi traumatici, curandoli e aiutandoli dal punto di vista psicologico. Tra gli eventi più comuni: patologie causate dall’alta quota, patologie da caldo o da freddo, oftalmia da neve, disturbi a carico dell’apparato gastro-enterico (diarrea del viaggiatore), problemi respiratori (infezioni delle vie aeree), morsi o punture di animali, malattie infettive (malaria, dengue), vesciche ai piedi.

 

Il trasporto aereo sanitario in Australia

 

L’australiana Laura Appleton, medico del Flying Doctors Service (RFDS) (Wetern Australia) ha presentato una relazione dal titolo “An elective in retrieval medicine”. La relatrice ha parlato del sistema di trasporto aereo sanitario attivo in Australia. John Flynn fu l’ideatore nel 1928 di un servizio di trasporto pazienti nel 1928 nel vasto territorio australiano. Così venne creato l’Australian Inland Mission Aerial Medical Service che divenne, poi, l’RFDS. Attualmente esistono nell’Australia Occidentale cinque basi: Port Hedland, Broome, Perth, Kalgoorlie e Meekatharra. Nel corso del trasporto aereo di un paziente sono indispensabili alcuni fattori: lo spazio (CPR), mancanza di tutte le risorse necessarie, buone condizioni atmosferiche. Salendo in quota la pressione parziale di ossigeno di riduce. La cabina degli aerei è pressurizzata (meno di 3000 metri). In alcune patologie ciò può costituire un problema: pneumotorace, ostruzioni intestinali, distress respiratorio, anemia severa, emorragie importanti. In tali situazioni si deve pressurizzare la cabina a una quota più bassa o si deve volare più in basso. In caso di traumi della colonna vertebrale o di fratture instabili è opportuno volare lontano dalle turbolenze. Vanno evitati i fulmini nel corso di un temporale. La relatrice ha descritto una serie di casi clinici. Importanti sono la logistica e la pianificazione.

 

Errare è umano…

 

Jeff Thurman, medico dell’emergenza, ha parlato dei “Climbing accidents: a review of common climbing errors”. Il relatore ha preso in considerazione il ruolo dell’errore umano negli incidenti durante l’arrampicata, effettuando una review delle principali cause. Ha analizzato le migliori norme per l’arrampicata e la risk mitigation. Tra il 2012 e il 2022 si sono verificati 1960 incidenti. Molti incidenti avvengono a causa di una disattenzione di chi fa sicurezza o per problemi di comunicazione tra i componenti di una cordata.

 

Distorsioni di caviglia: è questo l’infortunio più frequente

 

Barbara Brandon, medico, ha parlato di “When is it more than an ankle sprain?”. Obiettivo della presentazione: discutere del meccanismo e dell’attuale trattamento delle distorsioni di caviglia, descrivere la connessione tra le varie strutture del corpo implicate nel movimento (catena cinetica) associata a una prolungata tendenza della caviglia a cedere, identificare le distorsioni con aumentato rischio di sviluppare una instabilità cronica nella fase acuta. Circa due milioni di distorsioni di caviglia si verificano ogni anno negli USA. Si tratta della più comune lesione di tipo muscolo-scheletrico. Tra una popolazione fisicamente attiva il 73% avviene nel corso di attività sportive; meno del 50% dei pazienti ricorre a cure. Il 40-42% sviluppa una instabilità cronica della caviglia. Possono verificarsi lesioni dei legamenti talo-fibulare anteriore e calcaneo-fibulare di primo, secondo e terzo grado. A seguito di una distorsione si possono verificare alterazioni della postura indotte dalla necessità di mantenere l’equilibrio o di limitare il dolore.

 

L’importanza delle calzature

 

Kevin R. Scott, medico dell’emergenza del Geisinger Valley Medical Center, ha presentato una relazione dal titolo “Trail running: finding your fit for the terrain”. Obiettivi: descrivere l’anatomia delle calzature per trail running, evitare errori nella scelta delle calzature, inclusi quelli relativi alla misura, considerare le caratteristiche del terreno. Vanno valutati durata, respirabilità, sostegno, drenaggio e protezione. Importante è anche non lesinare sul costo, a favore della qualità.

 

La diagnosi di edema polmonare d’alta quota (HAPE)

 

Christine Ebert-Santos e Sean Finnegan, medici della Ebert Family Clinic in Frisco, Colorado, hanno parlato di “Differentiating pneumonia & HAPE in children”. La diagnosi di edema polmonare d’alta quota (HAPE) può essere facile per personale sanitario esperto che normalmente vive in montagna. I sanitari che ruotano nei reparti di emergenza in altitudine diagnosticano una polmonite in un bambino con ipossia e alterazioni radiografiche del torace. Le relatrici hanno cercato di evidenziare i fattori che possono aiutare nella diagnosi, evitando inutili trattamenti con antibiotici (Frisco Score). Le due relatrici hanno ideato il Frisco Score per fare diagnosi differenziale tra HAPE e polmonite. Uno score uguale o superiore a due suggerisce una diagnosi di HAPE. La polmonite è un’infezione del parenchima polmonare dovuto a batteri, virus o funghi. Determina una risposta infiammatoria locale o sistemica. L’edema polmonare d’alta quota (HAPE) è un edema non cardiogenico dovuto a un’ipossia secondaria a diminuita presenza di ossigeno nell’aria in altitudine. Esistono tre tipi di HAPE: quello classico (C-HAPE) che colpisce chi vive sul livello del mare e si reca in alta quota, quello da “rientro” (R-HAPE) che riguarda coloro che risiedono in alta quota e che scendono più in basso e che, poi, rientrano in altitudine e, infine, quello che colpisce coloro che risiedono (HA-HAPE) in alta quota, senza muoversi. HAPE e polmonite possono presentare gli stessi sintomi: respiro ridotto, tosse, fatica e malessere. Perché si verificano errori? Per la mancanza di famigliarità, per la sintomatologia che è simile, per concetti fuorvianti (miti). Tra le variabili prive di significato: gender, età, frequenza cardiaca, temperatura corporea. Tra le variabili significative (Frisco Score): frequenza respiratoria, giorni di malattia, saturazione in ossigeno, quadro radiografico del torace. Il Frisco Score, un nuovo strumento per diagnosticare l’HAPE, ha una sensibilità del 75% e una specificità del 100%.  Una diminuzione della saturazione dell’ossigeno, un incremento della frequenza respiratoria e la radiografia del torace portano a una diagnosi di HAPE nella popolazione studiata. Il quadro radiologico polmonare e la prolungata durata della malattia suggeriscono la presenza di una polmonite. Frequenza cardiaca, temperatura corporea, età e sesso non sono associati a entrambe le diagnosi. Polmonite e HAPE esprimono quadri radiologici con alterazioni minime, focali, bilaterali e diffuse. Non va escluso un HAPE solo in base al quadro radiologico. È importante misurare la saturazione dell’ossigeno iniziale e la frequenza respiratoria del paziente.

 

Ricordando Marguerite Meta Brevoort

 

Bili Bierling, giornalista di alpinismo e collaboratrice dell’Himalayan Database, ha presentato una relazione dal titolo “It’s high time for women”. Bili ha lavorato con Miss Elizabeth Hawley (1923-2018) fino al 2004 per realizzare l’Himalayan Database. La relatrice ha ricordato Marguerite Meta Brevoort (1825-1876), una famosa alpinista americana, zia dell’alpinista W.A.B. Coolidge. Fu la prima donna a salire il Cervino il 5 settembre 1871. Lucy Walker (1835-1916) iniziò a salire sulle montagne quando il suo medico la consigliò di andarci per combattere i reumatismi. Fu la prima donna a salire sul Cervino lungo la cresta dell’Hörnli il 22 luglio del 1871. Realizzò 98 spedizioni. La prima spedizione di sole donne in Himalaya avvenne nel 1955. Da allora vennero organizzate 45 spedizioni di donne. Famosa fu quella all’Annapurna 1 di Ariene Blum nel 1978. Molte spedizioni femminili utilizzarono gli Sherpa. La prima spedizione a utilizzare tutte donne fu quella al Cholatse nel 2022. L’alpinista polacca Wanda Rutkiewicz nel 1973, salendo lungo la via Messner/Hiebeler effettuò la seconda ascensione femminile dell’Eiger. Nel 1975 salì per prima sul Gasherbrum III. Nel 1978 fu la terza donna sull’Everest. Nel 1985 con Anna Czerwinska e Krystyna Palmowska fu la prima donna a raggiungere la vetta del K2. Nel 1992 perse la vita sul Kangchenjunga. Salì su otto Ottomila. Alison Hargreaves nel 1993 fu la prima donna a raggiungere la vetta del Cervino in solitaria lungo la parete Nord. Fu la prima donna a scalare in solitaria le sei grandi pareti Nord delle Alpi nel corso di una sola stagione. Fu la seconda donna a raggiungere la vetta dell’Everest senza l’ausilio di ossigeno supplementare. Morì sul K2 nel mese di giugno 1995. Ines Papert fu una vera alpinista. Non salì su montagne di ottomila metri, ma fu la prima donna a salire in solitaria sul Linku Chuli Shar in Nepal. Pensava che uomini e donne fossero uguali. Kristin Harila ha scalato i quattordici ottomila in tre mesi e un giorno. Gerlinde Kaltenbrunner ha scalato i quattordici ottomila senza Sherpa e senza ossigeno supplementare in tredici anni, tre mesi e 17 giorni, finendo nel 2011. Edurne Pasaban ha salito i quattordici ottomila in otto anni, undici mesi e 25 giorni, finendo nel 2010. Nives Meroi è salita sui quattordici ottomila in compagnia del marito Romano Benet in diciotto anni, nove mesi e 27 giorni, finendo nel 2017. Tutte le montagne sono condannate a passare attraverso tre stadi: un picco inaccessibile, la più dura salita nelle Alpi, un giorno facile per una signora… (Alfred Frederick Mummery, 1896).

 

AMS nelle donne

 

Mia Derstine, medico di emergenza specializzata in medicina di montagna, appartenente al gruppo di lavoro della commissione medica dell’UIAA, ha parlato di “AMS/ HACE in women – what we need to know”. Obiettivo della presentazione: una review su AMS/HACE, le differenze riguardanti l’assetto ormonale e un aggiornamento della letteratura esistente. La classificazione dell’altitudine è la seguente: alta (2500 metri), molto alta (3500 metri) ed estrema (5500 metri). Alcune città del mondo si trovano in quota: Denver (1609 m.), Cuzco (3291 m.), La Paz (3639 m.), Lhasa (3650 m.), Addis Abeba (2354 m.) e Snow Bird (2468 m.). Il mal di testa d’alta quota (HAH) compare a oltre 2400 metri, entro 24 ore dall’ascesa, frontale o bilaterale. Peggiora con lo sfinimento e con la tosse e risponde ai farmaci antinfiammatori non steroidei (NSAID). L’AMS (male acuto di montagna) compare oltre 2400 metri, spesso entro 6-10 ore dall’ascesa. Tra i sintomi, mal di testa, anoressia, nausea, debolezza o vertigine. Acclimatazione, velocità di ascesa e precedenti di AMS sono fattori modificanti. L’HACE (edema cerebrale d’alta quota) insorge oltre i 3000 metri, con encefalopatia, atassia, assenza di deficit neurologici di tipo focale. Spesso è associato a HAPE (edema polmonare d’alta quota). Tra gli ormoni sessuali gli estrogeni incrementano il flusso sanguigno a livello cerebrale, il progesterone stimola la respirazione e il testosterone aumenta l’eritropoiesi e la VO2 Max.  I dati a disposizione sono pochi. Il pretrattamento con medrossiprogesterone non riduce l’AMS sia negli uomini sia nelle donne. Non vi sono differenze per quanto riguarda il rischio di AMS nelle donne che assumono contraccettivi ormonali. Il ciclo mestruale non influenza l’incidenza di AMS. Le donne non presentano maggior rischio di AMS/HACE.

Per quanto riguarda la review della letteratura esistono centinaia di studi (6.333 sulle donne e 11.487 sugli uomini). In conclusione, non si segnala un aumentato rischio di AMS tra le donne a qualsiasi età. Non vi è un effetto legato al ciclo mestruale. Occorre raccogliere più dati per le donne che utilizzano OCP.  I dati riguardanti l’HACE sono scarsi: servono più studi. È raccomandato salire 300-500 metri al giorno quando ci si trova oltre i 3000 metri di quota. Il trattamento dell’AMS/HACE severi prevede una rapida discesa.

 

Le tre minacce in alta quota

 

Il ricercatore canadese Steve Roy ha parlato di “Introduction to high altitude, review of significant new literature in high altitude medicine, high altitude and mental health”. Il relatore ha illustrato le tre più importanti patologie acute causate dall’alta quota, analizzandole in modo diverso rispetto agli schemi tradizionali, attraverso pochi principi essenziali della fisiologia: la risposta ventilatoria ipossica, la risposta del rene all’altitudine, la vasocostrizione a livello polmonare, la distruzione indotta dall’ipossia della barriera emato-encefalica.

 

Il soccorso oltre i 5000 metri

 

John Ellerton, presidente della commissione medica della Cisa-Ikar, ha parlato di “Rescue at extreme altitude”. Il relatore ha illustrato il position paper, documento che è stato realizzato da un gruppo di esperti da lui diretto a proposito dei soccorsi che vengono effettuati a oltre 5000 metri in molte regioni montagnose del mondo, raccontando la storia, gli aspetti etici e fisiologici oltre, naturalmente, alle problematiche legate al soccorso in ambienti estremi.

 

A proposito di medicina d’alta quota: una review

 

Andrew M. Luks, medico della Division of Pulmonary Critical Care & Sleep Medicine, University of Washington, Seattle, ha presentato una relazione dal titolo “Update on High Altitude Medicine”. Scopo dell’intervento è stato di effettuare una review della letteratura riguardante la medicina d’alta quota. In particolare si è concentrato sulla prevenzione dell’HAPE con acetazolamide, sulle alterazioni della coagulazione durante l’esposizione all’alta quota, sulla valutazione dell’attività fisica, sullo screening mediante ecografia dei polmoni e su quanto accade durante il soggiorno in alta quota nei soggetti affetti da malattie polmonari. L’incidenza dell’HAPE dopo assunzione di acetazolamide è del 43%, di gran lunga maggiore rispetto all’utilizzo di nifedipina, tadalafil e desametasone. Tra i dati più interessanti emersi quello riguardante gli individui suscettibili all’HAPE per i quali non è indicato l’impiego dell’acetazolamide: per loro è meglio salire lentamente e assumere nifedipina o tadalafil. La comparsa all’ecografia polmonare di comet tail è presente in individui asintomatici e non è necessariamente indice di alterato scambio di gas. Serve per valutare individui affetti da sintomi respiratori. Le persone colpite da malattie polmonari non gravi devono monitorare i sintomi e controllare l’ossimetria, assumendo sempre i farmaci adatti al loro caso, prevedendo la possibilità di accedere all’impiego di ossigeno supplementare, se necessario.

 

Disturbi dell’umore e decadimento cognitivo: l’attività fisica come prevenzione

 

Katharina Hüfner del Department of Sport Psychiatry, Psycotherapy and Psychosomatics and Med. Psychology, Medical University of Innsbruck, ha presentato una relazione dal titolo “High altitude and mental health”. Nel mondo intero i disturbi della mente colpiscono un individuo su cinque in un anno. Tra i disturbi più comuni la depressione e l’ansia. L’attività fisica le previene entrambe, favorisce i processi cognitivi, riduce il rischio che peggiorino, anche in caso di malattia di Alzheimer, nonché migliora il sonno e la qualità della vita. I rischi sono minimi se si parte in modo graduale, come affermato anche dall’OMS nelle linee guida del 2020. L’esercizio fisico in ambiente alpino ha un effetto positivo oltre che sulla salute mentale, sulla resilienza. Venti minuti di esposizione in un ambiente naturale determina una dimostrabile riduzione di cortisolo nelle persone sane. La natura emette suoni che riducono lo stress, e immergersi in essa, osservando quanto circonda, produce un miglioramento dell’umore sia nelle persone sane sia in quelle affette da malattie mentali, come è possibile affermare, nonostante esistano poche informazioni basate su un’evidenza scientifica riguardanti lo stato di salute mentale in alta quota. Risulta difficile tentare di identificare i sintomi di malattia mentale in alta quota. Lo stato di ipossia condiziona la risposta allo stress a vari livelli. Tra i sintomi di psicosi dovuta all’alta quota: senso di insoddisfazione, allucinazioni, disturbi della parola. Gli episodi con psicosi sono reversibili, però espongono al rischio di rimanere vittime di un infortunio. Nel corso di uno studio effettuato su 97 alpinisti tramite un questionario, singoli sintomi di psicosi in assenza di disturbi di tipo psicotico sono stati identificati nel 10-20% dei soggetti, a seconda del sistema di accertamento utilizzato. È stato evidenziato un aumentato rischio di incidenti negli individui con singoli sintomi di psicosi. In conclusione la psicosi è rara negli alpinisti bene acclimatati nel corso di spedizioni organizzate. Sintomi difficili da inquadrare di psicosi, perché lievi, si sono verificati in una significativa popolazione di alpinisti. La relatrice ha illustrato i due studi effettuati nel simulatore Terra X Cube dell’Eurac a Bolzano su 48 persone dell’elisoccorso in montagna (HEMS) per studiare l’effetto di una salita rapida (circa 20 minuti) in ipossia ipobarica, sul livello del mare e a 5000 metri senza cabina pressurizzata.  È stato studiato l’effetto della quota sul tempo medio di reazione. La riduzione di capacità cognitiva può causare incidenti. La somministrazione di ossigeno è efficace nel rendere reversibili gli effetti dell’ipossia.

 

Alta quota e cuore

 

Benjamin D. Levine dell’Institute for Exercise and Environmental Medicine and UT Southwestern del Texas (www.texashealth.org/IEEM) e William (Bill) Cornwell della Colorado University di Denver hanno parlato di “Athletes in altitude”, in particolare dell’effetto acuto dell’altitudine sulla prestazione, della performance del ventricolo destro durante un esercizio prolungato in altitudine e dell’acclimatazione all’alta quota per l’attività fisica sul livello del mare. La VO2 Massimale è molto bassa sulla vetta dell’Everest, ma diminuisce anche in piccoli aumenti di altitudine negli atleti di endurance. L’effetto della dipende dalla distanza e dall’intensità dell’evento. La performance negli sport di endurance dipende ampiamente dalla capacità aerobica (VO2). L’acclimatazione si realizza in minuti tramite la risposta ventilatoria e neuroormonale (incremento della frequenza respiratoria, attivazione del simpatico), in ore attraverso l’incremento della frequenza e della portata cardiaca e la diminuzione del volume plasmatico e in giorni, settimane, mesi e anni a livello metabolico (alterato utilizzo dei substrati) e a livello ematologico (aumento precoce dell’ematocrito e incremento della massa dei globuli rossi più tardi nel tempo). La carenza di ferro danneggia la risposta dell’eritropoiesi in alta quota. Sono stati citati 624 studi che dimostrano che il metodo “Living high-training low” migliora la prestazione atletica sul livello del mare nei maschi e nelle femmine appartenenti a runners di elite. La variazione individuale in risposta all’allenamento in altitudine compare in 628 lavori scientifici. L’allontanamento dall’altitudine che induce l’incremento dei globuli rossi elimina i benefici della performance. Non si deve poltrire tutto il giorno quando si è in quota per allenarsi. Un minimo di tre, preferibilmente quattro settimane di esposizione all’altitudine (2000-2500 metri) per almeno 12-14 ore al giorno è necessario per massimizzare l’incremento della VO2 Massimale e della performance dell’endurance in seguito all’allenamento in quota. L’utilizzo della pratica del “Living high-training low” con interval training è molto importante. Le due componenti dell’acclimatazione all’altitudine e del low training sono essenziali. L’”altitude training” non è magico: i training camp migliorano l’atleta; la possibilità di successo è più alta se l’atleta è bene allenato e se si alimenta bene (scorte di ferro).

Il ventricolo destro non è un tipo di conduttura passiva; contribuisce alla performance cardiovascolare nel corso dell’esercizio attraverso le fasi del ciclo cardiaco. Possiede una sostanziale riserva contrattile ed aumenta in modo significativo la contrattilità durante l’esercizio. L’esercizio fisico prolungato porta a una disfunzione del ventricolo destro dovuta sostanzialmente a un aumentato post-carico del ventricolo stesso, che si risolve nello spazio di pochi giorni. Malgrado l’incremento del post-carico dovuto all’ipossia, il ventricolo destro va incontro a un aumento della contrattilità per la necessità di incrementare il flusso sanguigno.

 

Immersioni in altitudine

 

K. Hornbeak ha parlato di “Diving at altitude”. Le immersioni in alta quota richiedono tabelle di decompressione differenti rispetto a quelle che si utilizzano sul livello del mare a causa della riduzione della pressione barometrica. Occorre predisporre un planning per questo tipo di immersioni in quota, diverse rispetto a quelle che avvengono sul livello del mare. Serve acclimatarsi. Può verificarsi un edema polmonare da immersione (Swimming-induced pulmonary edema, SIPE), soprattutto nei soggetti giovani. Si tratta di un edema polmonare emodinamico la cui fisiopatologia è poco nota.  Nel corso delle immersioni si verifica un aumento della diuresi. L’aumento di quest’ultima è comune in coloro che effettuano immersioni. L’immersione insieme alla temperatura dell’acqua determina una vasocostrizione soprattutto a livello della pelle e dei tessuti superficiali del corpo, ma anche dei muscoli delle braccia e delle gambe. Ne risulta un aumento del volume sanguigno che viene mandato agli organi (cuore, polmoni e grandi vasi). L’ormone che controlla la produzione di urina a livello renale è l’ormone antidiuretico (ADH). L’aumento del flusso sanguigno blocca la produzione di ADH e permette una maggiore produzione di urina, riducendo il flusso di sangue a livello centrale.  Il praticare immersioni in altitudine fa aumentare il rischio di malattia da decompressione.

 

L’attività del Medical Center dell’Aconcagua

 

Roxana Pronce, dottoressa dell’emergenza argentina di Mendoza, direttrice di Extreme Medicine Aconcagua e guida alpina, ha parlato di “High Altitude Medicine on Mount Aconcagua”. La relatrice dirige da quindici anni il Medical Center “Extreme Medicine” dell’Aconcagua Provincial Park. Ogni anno circa 100.000 persone visitano il Parco e 3400 tentano di salire sulla vetta dell’Aconcagua. Due sono le vie di accesso: Horcones Ravine e Punta de Vacas Ravine. I medical centers (Confluencia, Plaza de Mulas, Plaza Argentina) sono collocati nei differenti campi base e vengono allestiti all’inizio della stagione (da novembre a marzo). Il team è costituito da 32 medici. I campi sono supportati da elicotteri e da muli. Al Nido de Condores si trova il medical center più alto del mondo (5500 metri), punto di partenza per la ricerca di infortunati e per le operazioni di soccorso, situato nel rifugio dei Rangers. Tutti gli alpinisti che passano dal campo base vengono sottoposti a un controllo medico che ha per scopo la prevenzione delle malattie d’alta quota e la valutazione di eventuali malattie croniche pregresse che potrebbero avere un impatto negativo sui pazienti che si espongono all’alta quota. Il Medical Center funziona tutto il giorno per sette giorni per qualsiasi emergenza. Esiste la possibilità di comunicare via radio (VHF: 142.800) in ogni settore dell’Aconcagua. Il Medical Center effettua circa 7300 visite mediche nell’arco di una stagione. Viene utilizzato il Lake Louise Score per valutare l’AMS. La percentuale di incidenti è dello 0.077%, che avvengono per lo più oltre i 6000 metri. La percentuale di incidenti è 3.1 volte superiore a quella riscontrata sul Kilimanjaro (0.023%), 4.4 inferiore a quella del Denali (0.31%) e 11 volte inferiore a quella dell’Everest (0.8%). In conclusione la Extreme Medicine ha cambiato il paradigma della medicina di montagna aggiungendo standard internazionali non previsti in precedenza. Si è costituito un gruppo di lavoro interdisciplinare che collabora con i team di soccorso, con i Rangers del Parco, con l’elisoccorso e con tutti gli stakeholders dell’Aconcagua, con l’intento di rendere la montagna più sicura e più accessibile.

 

Problemi psichici dei soccorritori

 

Sean Lawler, Supervisory Special Agent Tactics/Firearmas Instructor, ha parlato di “PFA & Prevention of Depressive Symptons in the Wilderness Medicine Provider”. L’87% dei soccorritori paramedici ha sperimentato uno stato di stress critico, il 37% ha meditato il suicidio, mentre il 6.6% ha tentato il suicidio. Il 28.8% dei resident physician hanno sofferto di depressione. Il 79% ha sofferto di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e di stress cronico collegato al lavoro. Nel corso della pandemia il 69% dei medici è stato colpito da depressione, mentre il 13% ha pensato al suicidio. Si è in presenza di depressione maggiore quando per due settimane di seguito persistono cinque o più dei seguenti sintomi: umore nero per la maggior parte del giorno, perdita di interesse o di piacere per le attività svolte, perdita significativa di peso, insonnia o ipersonnia. Possono, inoltre, essere presenti i seguenti sintomi: agitazione o ritardo psicomotorio, fatica o perdita di energia, demotivazione, senso di colpa, indecisione, diminuita capacità di concentrazione, pensiero di morte o idee suicidarie, mancanza di iniziativa. Tutti i soccorritori rischiano di subire un danno causato da stress di tipo occupazionale nell’effettuare il proprio dovere; nessuno ne è immune. Il 70% dei giovani tra i tredici e i diciannove anni afferma che la depressione e l’ansia sono problemi diffusi tra i coetanei.  La depressione rappresenta la prima causa di malattia e di disabilità nel mondo intero (WHO, 2017). La percentuale di depressione è passata dall’8.5% in epoca pre-pandemica, al 27.8% nel 2020, al 32.8% nel 2022, colpendo un adulto su tre (in forma più o meno grave). L’80% dei veterani di guerra del Vietnam ha riportato sintomi di sindrome post-traumatica da stress (PTSD) 20-25 anni dopo. Una elevata frequenza cardiaca a riposo persiste per oltre una settimana dopo un evento. La sindrome di Selye è una sindrome generale di adattamento, una risposta dell’organismo che avviene in seguito ad effetti prolungati dovuti a uno stato di stress fisico, mentale, ambientale o sociale. Sintomi di alterato equilibrio (dysregulation) sono: ipervigilanza, tensione muscolare, dolore alla schiena, aumentata frequenza cardiaca, stato di sofferenza cronica,  alterazione dell’appetito e del peso corporeo, attacchi di panico, insonnia, diminuita concentrazione, annebbiamento del cervello, perdita dell’autocontrollo, autocritica, pensieri suicidari, eccessiva preoccupazione, depressione, fluttuazioni dell’umore, apatia, perdita di interesse per la vita, dipendenze, atteggiamenti di tipo ossessivo/compulsivo, difficoltà nel gestire le relazioni, atteggiamento auto-distruttivo. Uno stato di chronic dysregulation porta a una condizione di infiammazione cronica che apre la strada al rischio di sviluppare malattie, nonché all’ansia e alla depressione. La guarigione avviene quando il cervello percepisce la salvezza. Alcuni batteri contenuti nell’intestino (microbiota) producono circa il 90% della serotonina presente nel corpo. La deprivazione di sonno danneggia la funzione esecutiva. L’insonnia rappresenta il predittore più importante di depressione. Il cortisolo uccide i neuroni nell’ippocampo e danneggia la superproduzione di dendriti legata alla depressione. Il BDNF (fattore neurotrofico derivante dal cervello) agisce sui geni favorendo la produzione di neurotrasmettitori e riparando i neuroni. L’esercizio è tanto efficace quanto una cura. Un regolare esercizio aiuta nell’evitare la depressione, aiuta a recuperare più in fretta, diminuisce la probabilità di una ricaduta. La resilienza psicologica deve essere sviluppata prima che una crisi incominci.

William Binder, medico dell’emergenza della Warren Alpert Medical School, Brown University, ha parlato della rivista Wilderness & Environmental Medicine”, descrivendone la storia e le caratteristiche.

Jason Williams, paramedico statunitense, ha parlato di “History and development of DiMM”, raccontando la storia del diploma internazionale di medicina di montagna nel corso degli anni.

 

Sessi in quota

 

Jacqueline Pichler Hefti, pneumologa della Swiss Sport Clinic, specialista in medicina dello sport, ha parlato di “Does sex make a difference to HAPE susceptibility and performance?” Le alpiniste che sono salite sull’Everest sono state tra il 1953 e il 1989 in media 2.5, tra il 1990 e il 2005 in media 24.8 e tra il 2006 e il 2019 in media 52.7. Nel 2020 le donne iscritte al Club Alpino Svizzero erano il 39.5% mentre gli uomini erano il 59.8%, mentre nel 2021 le donne erano 40.2% e gli uomini il 59.8%. In letteratura esistono studi realizzati su gravidanza, menopausa, contraccezione, alimentazione, lesioni da freddo e mortalità, differenza legata al sesso riguardante l’AMS. L’HAPE è un edema non cardiogenico causato da un’aumentata permeabilità a livello polmonare, che compare oltre i 2500-3000 metri. Ha una prevalenza che varia dallo 0.2% al 6% a 4500 metri, dal 15% a 5500 metri. L’AMS può essere presente, ma l’HAPE può verificarsi senza un pregresso AMS. Un eccessivo non omogeneo incremento della pressione capillare porta a un danno a livello dei piccoli vasi sanguigni. Studi effettuati su casi di HAPE hanno incluso 54 donne e 398 uomini. Uno studio effettuato a 2928 metri di quota in un comprensorio sciistico in Colorado (USA) ha evidenziato una SpO2 media del 74% con rantoli nell’85% dei casi e con infiltrati polmonari nell’88%. Ha colpito il 16% delle donne e l’84% degli uomini. L’84% dei casi di HAPE negli uomini può riflettere una loro aumentata suscettibilità nei confronti del disturbo. Un’analisi retrospettiva effettuata su 46 soggetti colpiti da HAPE tra il 1975 e il 1982 a 2500 metri di quota in comprensori sciistici in Colorado (USA) a 2500 metri ha evidenziato che il 7% delle donne (3) è stato colpito da HACE (edema cerebrale d’alta quota), contro il 93% (43) degli uomini. Le donne hanno presentato un rischio di sviluppare un HAPE tredici volte inferiore rispetto agli uomini. Uno studio effettuato tra il 1980 e il 1982 ha dimostrato una maggiore incidenza di HAPE tra gli uomini (10/100.000 per gli uomini e 0.74/100.00 per le donne). Il razionale: gli ormoni sessuali femminili attenuano la vasocostrizione ipossica polmonare, esiste una differenza legata al sesso nella risposta ventilatoria ipossica. La maggior parte degli studi scientifici sono stati realizzati negli uomini. Esiste un comportamento differente da parte di uomini e donne nei confronti dei rischi. Più uomini sono esposti all’ipossia ipobarica e la maggior parte degli studi viene effettuato su uomini. Uno studio realizzato nel 2013 nel corso di una spedizione all’Himlung Himal (7126 m.) in Nepal su 39 soggetti (18 donne e 21 uomini), con età media 45.5 anni, ha effettuato test cardio-polmonari oltre 6022 metri di quota. I summiter avevano una VO2 Max maggiore. La desaturazione nel corso del massimo esercizio di oltre il 14% a 4800 metri è stata in grado di predire la comparsa di AMS. Una VO2 Max al di sotto di 49 ml/min/Kg a 5500 metri era associata a una possibilità di insuccesso nel raggiungere la vetta pari all’83%. Le donne avevano una VO2 Max di 43.6 ml/min/Kg sul livello del mare e di 25.3 ml/min/Kg a 6022 metri. Non è stata riscontrata una differenza legata al sesso circa i valori di VO2 Max in altitudine. Il 52.4% dei maschi ha raggiunto la vetta, contro il 22.2% delle femmine. Gli uomini risultano più colpiti da HAPE. Non si possono tirare conclusioni riguardanti la prevalenza e l’incidenza di HAPE in rapporto alle differenze tra i sessi. Si dovrebbero utilizzare raccomandazioni per la prevenzione e il trattamento dell’HAPE nei due sessi.

Alison Rosier, psicologa, membro della commissione medica dell’UIAA, ha parlato di “Can psychology help explain sex differences in mountain medicine?”. Le donne alpiniste in genere scelgono come meta montagne più sicure. Conoscono meglio sé stesse? Esistono tra i due sessi differenze di tipo individuale o culturale? I maschi si prendono più rischi, soprattutto in condizioni di stress nel mondo reale (gioco d’azzardo, fumo, sesso non sicuro, uso illegale di droghe). Le donne sono più riluttanti di fronte ai rischi, ma la cosa può essere molto discutibile.

 

Contraccezione ormonale, gravidanza e alta quota

 

Linda E. Keyes, medico della Colorado University, ha parlato di “Cycle control and contraception at altitude”. Sono stati identificati 17 studi su 7165 articoli potenzialmente utili. Non vi sono articoli riguardanti l’efficacia della contraccezione nel corso di brevi periodi di soggiorno in alta quota. Gli attuali studi non mostrano vantaggi o svantaggi per le donne che assumono la contraccezione ormonale per quanto riguarda l’acclimatazione o l’AMS. L’uso della contraccezione ormonale in alta quota è comune e sicuro per la soppressione delle mestruazioni. Deve iniziare almeno tre mesi prima di una spedizione. Una potenziale preoccupazione circa la contraccezione ormonale contenente estrogeni è rappresentato dall’aumento del rischio trombotico in ipossia ipobarica. La quota e le condizioni ad essa correlate possono alterare il ciclo mestruale. La commissione medica dell’UIAA ha messo a punto alcune raccomandazioni dal titolo “Hormonal contraception and menstrual cycle control at high altitude: a scoping review-UIAA medical commission recommendations”.

In un secondo intervento, la dottoressa Keyes ha, poi, parlato di “Pregnancy and mountain travel”. Le donne in gravidanza viaggiano in alta quota e, a tal proposito, sono richieste delle opportune raccomandazioni. In genere un soggiorno di breve durata in alta quota è sicuro per una donna in gravidanza senza complicanze. In letteratura esistono pochi dati riguardanti la sicurezza per donne gravide che frequentano l’alta quota. Esistono benefici circa l’esercizio fisico e l’esposizione all’alta quota per le donne gravide. Le donne che risiedono sul livello del mare non dovrebbero praticare attività fisica oltre i 2500 metri. Le attuali raccomandazioni di alcune società scientifiche sono troppo prudenti e inconsistenti. Restrizioni non basate su evidenze all’esposizione all’alta quota possono comportare conseguenze negative per la salute delle donne gravide dal punto di vista fisico, sociale, mentale ed economico. I dati al momento disponibili suggeriscono che i rischi riguardanti un viaggio in alta quota per una donna in stato di gravidanza sono bassi. L’esposizione all’altitudine è probabilmente sicura in gravidanze non complicate. Le cadute rappresentano le più comuni cause di trauma in donne gravide. Nel primo trimestre il rischio è basso a causa della posizione dell’utero, mentre nel 2°-3° trimestre il rischio è maggiore. La relatrice non ha raccomandato restrizioni di tipo assoluto, ma prudenza e stretto self-monitoring. Opportuna un’acclimatazione adeguata prima di affrontare l’alta quota. Tra le complicanze della gravidanza: aborto, gravidanza ectopica, sanguinamento del primo e del secondo trimestre, travaglio pre-termine, ipertensione. Occorrono studi prospettici per meglio conoscere i rischi e i benefici riguardanti la frequentazione della montagna e l’esercizio fisico in altitudine nel corso di una gravidanza. Il rischio di aborto nel corso di attività in montagna varia dal 10 al 47%, mentre la percentuale di mortalità per la madre è del 5%. Altri rischi sono dovuti a traumi, freddo, caldo, fulmini, difficoltà ad accedere a ospedali.

 

Le linee guida dell’UIAA e dell’IKAR

 

George Rodway, PhD, past president della Commissione Medica dell’UIAA, ha parlato di “Union Internationale des Associations d’Alpinisme (UIAA) MedCom Recommendations: addressing the (lay) Climbing Community”. La Commissione Medica ha avuto un ruolo importante nell’organizzazione dell’International Mountain Sports Training Course, svoltosi a Bariloche, Argentina, nell’aprile 2024. Le commissioni mediche dell’UIAA e dell’Ikar hanno realizzato linee guida per la comunità laica del soccorso. La commissione medica dell’UIAA cura la prevenzione degli incidenti e delle malattie in montagna, mentre quella della Ikar si occupa della gestione degli incidenti e delle malattie in ambiente alpino. La commissione medica dell’UIAA fornisce consigli di carattere generale, planning per le spedizioni alpinistiche, indicazioni riguardanti la vita in alta quota, le malattie infettive, i bambini e le donne, l’utilizzo di farmaci. Gruppi di lavoro producono documenti che vengono sottoposti a verifica da parte dei vari membri della commissione medica. Successivamente ogni documento approvato viene tradotto nelle principali lingue del mondo e pubblicato sul sito web.

 

L’ossigeno supplementare nella storia dell’alpinismo

 

Peter Hackett, medico e alpinista della School of Medicine della Colorado University, ha tenuto una lettura magistrale riguardante l’utilizzo dell’ossigeno supplementare nel corso della storia dell’alpinismo. Ha esordito ricordando l’episodio della mongolfiera Zenith del 1875. Ha ricordato l’alpinista Annie Smith Peck (1850-1935) regina delle arrampicatrici di quel tempo e il libro scritto da Hannah Kimberley “A woman’s place is at the top” che parla della sua biografia. Il relatore ha citato la spedizione al monte Sorata in Bolivia nel 1903. Nel 1904 è stato inventato un sistema (pneumatogen apparatus) in grado, mediante l’utilizzo di speciali cartucce rigeneranti di superossido di potassio e sodio, dando luogo alla formazione di ossigeno e rimovendo l’anidride carbonica (sistema a circuito chiuso). Alexander Kellas (1868-1921) prese parte a otto spedizioni in Himalaya tra il 1907 e il 1921. Fu il primo ad effettuare ricerche volte a studiare l’utilità dell’ossigeno oltre i 6000 metri, mediante un sistema in grado di produrlo, eliminando l’anidride carbonica. Fu il primo a scoprire il valore dei Bothias, addestrando squadre di Sherpa per affrontare salite oltre i 7000 metri. Kellas valutò la possibilità di salire sull’Everest. Predisse che la vetta dell’Everest può essere raggiunta senza l’utilizzo di ossigeno, ipotizzando un campo a 7800 metri, con una velocità di salita di 100 metri/ora da 7600 metri di quota. Progettò un sistema per generare ossigeno, rimovendo l’anidride carbonica. George Ingle Fitch nel 1922 fu il primo a superare la barriera degli 8000 metri sull’Everest, stabilendo un nuovo record terrestre in altitudine.

Charlie Houston (1913-2009) primo salitore nel 1934 del Mount Foraker in Alaska, organizzò due spedizioni al K2 (1938, 1953). Nel corso dell’Operation Everest 1947 quattro alpinisti soggiornarono a 8850 metri per oltre 33 giorni. Nel 1952 nel corso di una spedizione svizzera all’Everest Tenzing Norgay e Raymond Lambert bivaccarono a 8400 metri, salendo fino a 8595 metri, usando un sistema chiuso per il recupero dell’ossigeno. Bordillons e Evans effettuarono un tentativo per raggiungere la vetta, fermandosi a 8595 metri lungo la cresta Sud-Est. Alla spedizione presero parte nove alpinisti e 14 Sherpa d’alta quota e vennero utilizzati 20.000 litri di ossigeno con 4570 chilogrammi di materiali. Nel 1953 la spedizione inglese all’Everest era composta da 12 alpinisti, 28 Sherpa d’alta quota con un utilizzo di 193.000 litri di ossigeno, con 7615 chilogrammi di materiali. Pugh affermò che ci vollero trent’anni per convincere gli alpinisti circa la necessità di utilizzare l’ossigeno per salire l’Everest. Erano, infatti, estremamente ansiosi di scalarlo con i propri mezzi e non erano convinti dell’uso dell’ossigeno. Hackett ha ricordato la figura di Tom Hornbein (1930-2023), medico e alpinista americano, che nel 1963 raggiunse la vetta dell’Everest, salendo lungo la cresta Ovest. Il volume delle bombole di ossigeno utilizzate nel 1922 era di due litri, con un peso di 2.6 chilogrammi piene. Nel 2007 il volume era di quattro litri con un peso di 3.27 chilogrammi, mentre nel 2023 il volume era di quattro litri e un peso di 3.9 chilogrammi. L’attuale uso dell’ossigeno prevede un circuito aperto dotato di reservoir, da utilizzare oltre i 7000 metri di quota, con un contenuto di 1200 litri per bombola. Si utilizzano 1-2 lpm per dormire e 2.4 o sei lpm per arrampicare. La durata di una bombola è la seguente: un lpm 20 ore, 2 lpm dieci ore, 4 lpm 5 ore, sei lpm 3.25 ore. Per salire sull’Everest servono da quattro a dieci bombole di ossigeno. Qualcuno utilizza l’ossigeno su montagne più basse (Kilimanjaro, Aconcagua). Due alpinisti non acclimatati sono stati trasportati in elicottero da Mendoza al campo 2 dell’Aconcagua (5565 metri) al mattino. Hanno utilizzato acetazolamide e ossigeno all’arrivo. Dal campo 2 alla vetta (6960 metri) lo stesso giorno e ritorno a Mendoza in elicottero.

Nel 1978 Reinhold Messner e Peter Habeler hanno salito l’Everest senza ossigeno supplementare.

Molte delle morti degli alpinisti avviene nella “Death Zone” (DZ) oltre 8000 metri. Tra i meccanismi responsabili di morte nella DZ: ipossia estrema, sonno frammentato, disfunzioni polmonari, HAPE e HACE, scarse alimentazione e idratazione, ipotermia, sfinimento, disfunzioni del cervello, apatia. Tra gli effetti dell’ossigeno: aumentata saturazione arteriosa, protezione degli organi, aumentata velocità di salita (2-3 volte), ridotta fatica, maggior recupero, ridotto deterioramento fisico, migliore qualità del sonno, minor rischio di ipotermia e di congelamenti. Tra il 1954 e il 2024 i lowlanders che sono saliti sull’Everest sono stati 5733 (72.5% di successo) con l’ossigeno e 166 (3.7% di successo) senza ausilio di ossigeno. Tra i primi vi sono stati 117 morti (64 nella fase di discesa) e 75 (15 in fase di discesa) nel gruppo senza utilizzo di ossigeno. Quali consigli fornire ai partecipanti a una spedizione all’Everest? Essere sani e preparati fisicamente. Esperienza su montagne di 6-7000 metri e la salita di un ottomila. Raccomandare l’uso dell’ossigeno al di sopra dei 7000 metri. Meglio effettuare una pre-acclimatazione. Verificare di avere a disposizione un equipaggiamento per l’ossigeno ottimale e di qualità. Monitorare, se possibile, SpO2 e frequenza cardiaca. Essere informati circa le patologie d’alta quota. Avere con sé il desametasone e sapere se e quando si deve tornare indietro.

 

6.10.24