Il Cardiopatico in montagna

G.C. Agazzi

Molte sono le persone affette da patologie , soprattutto anziani, che, grazie ai mezzi attualmente a disposizione, hanno comunque la possibilità di andare a quote superiori ai 2500 metri. L’alta montagna è, quindi, luogo di svago non solo per soggetti sani, maanche per individui affetti da patologie croniche, tra le quali le cardiopatie. Lo stare in quota determina un fisiologico adattamento dell’organismo, che può creare problemi in particolar modo ai soggetti affetti da cardiopatie a causa della diminuzione dell’ossigeno atmosferico, conseguente al calo della pressione atmosferica. La carenza di ossigeno (ipossia) determina una serie di fisiologici adattamenti in grado di mantenere a livello dei vari organi di un adeguato apporto di ossigeno. La saturazione in ossigeno dell’emoglobina scende al di sotto del 90% a mano a mano che si sale in quota. La desaturazione interessa tutti i soggetti non acclimatati. Gli aggiustamenti cardiaci e polmonari cercano di garantire un’adeguata ossigenazione del sangue a livello dei vari apparati. Si segnala una grande variabilità interindividuale. Anchela bassa temperatura,il caldo eccessivo, la scarsa umidità o l’eccessiva umidità dell’aria, l’esercizio, e lo stress possono causare problemi. Nei soggetti cardiopatici le riserve funzionali sono più limitate. La grande variabilità e l’impossibilità di predire la rispostaadattativaindividuale alla quota dovrebbero spingere i medici a fornire corrette e utili indicazioni ai cardiopatici. A livello cardiaco si segnalano un aumento della frequenza, della contrattilità e della gittata sistolica. In seguito a ciò il lavoro cardiaco aumenta a causa dello sforzo e della maggiore richiesta di ossigeno. A livello coronarico si verificano una vasodilatazione eun conseguente aumento del flusso sanguigno. Si assiste, inoltre, a una vasocostrizione a livello dell’arteria polmonare e a una vasodilatazione a livello del circolo cerebrale. La resistenza vascolare sistemica e la pressione sanguigna tendono ad aumentare. La stimolazione del sistema cardiovascolare dovuta alla quota raggiunge il massimo nei primi giorni di esposizione. Questi adattamentifisiologici possono stressare un apparato cardiovascolare già compromesso, aggravando la situazione. Vi è una grande variabilità interindividuale nella risposta cardiovascolare all’ipossia, che puòprovocare in alcuni casi importanti conseguenze. Ecco la necessità di adeguate raccomandazioni per i singoli individui. Il problema è maggiore nel caso non vi siano state pregresse esposizioni alla quota. Tale situazione può avere particolare importanza nei pazienti cardiopatici, specie se con ridotta riserva funzionale.

L’incidenza di malattie delle coronarie è più bassa tra le persone che vivono per tutta la vita ad alta quota, anche se si devono considerate, comunque, alcune variabili quali età, genetica, fumo, esercizio, dieta, e migrazione a quote più basse.

Il salire in quota può essere un fattore stressante il cuore, ma lo è meno dell’esercizio fisico. Alcuni ricercatori hanno trovato che individui affetti da coronaropatia ben compensati a livello del mare stanno bene ad una quota moderata dopo alcuni giorni di acclimatazione. L’attività non deve essere esagerata. Alcuni studi effettuati su soggetti selezionati indicano che l’esposizionee l’esercizio a quote tra i 3000 e i 3500 metri sono abbastanza sicuri se la malattia coronarica è stabile e se vi è una sufficiente capacità da parte dell’organismodi tollerare l’esercizio. È bene che l’allenamento incominci prima di andare in quota, in modo graduale. Quote oltre i 4500 metri sono sconsigliate a causa della notevole carenza di ossigeno. Occorre, comunque, sempre un’attenta valutazione clinica da parte di un cardiologo. Il collegamento tra stress e malattia cardiaca è ben dimostrato. Vale la pena ricordare l’episodio dell’ alpinista americano Conrad Anker che a 54 anni venne colpito da un attacco cardiaco mentre si trovava a oltre seimila metri durante un’ascensione in Nepal. Sceso al campo base,venne soccorso da un elicottero e trasportato in ospedale. Fortunatamente l’alpinista non ebbe gravi conseguenze. Il medico americano Erik Swenson dell’università di Washington a Seattle fa presente che in quota il rischio aumenta. Il sangue, infatti, è più denso a causa dell’aumento dei globuli rossi, scorre con meno facilità e tende a coagulare di più. Lo squilibrio ormonale causato dall’alta quota (adrenalina e glucocorticoidi) può causare un restringimento dei vasi arteriosi e alterazioni della glicemia. Nel 1994 il ricercatore austriaco Martin Burtsher effettuò uno studio per valutare il rischio di morte improvvisa in montagna nel periodo tra il 1985 e il 1991 nelle Alpi Austriache su soggetti con più di 34 anni di età. Il rischio non risultò aumentato negli individuii che praticavano attività in montagna in modo regolare, effettuando un adeguato acclimatamento.Una moderata altitudine non pare rappresentare un rischio aggiuntivo per i pazienti coronaropaticiin condizioni cliniche stabili. Non vi sono ragioni per vietare un soggiorno in montagna ad un paziente affetto da cardiopatia coronarica stabile ed una tolleranza all’esercizio ragionevolmentebuona. Unaattenta valutazione prima dell’esposizione alla quota può minimizzare il rischio ed evidenziare eventuali controindicazioni all’alta quota che possono essere valutate con l’aiuto di medici esperti. Un tempo il medico era abbastanza intransigente nei confronti dei cardiopatici rispetto ad un soggiorno alpino, concedendo ben poco alla attività fisica.In campo medico non si conosceva molto a tal proposito e, perciò, i cardiologi erano restii nel consigliare ai loro pazienti un soggiorno in montagna, specie per quanto riguardal’attività fisica . Ora si è scoperto che in talune situazioni la montagna può essere salutareo addirittura indicata. Per certi versi si trattadella caduta di un tabù che in passato condizionava molto la vita del cardiopatico. Un tempo si tendeva ad escludere, mentre ora si tende ad includere i pazienti cardiopatici, ricorrendo all’utilizzo della cosiddetta montagnaterapia, ovvero la montagna che cura e fornisce benessere. Coloro che hanno subito un intervento al cuorepossono iniziare o continuare a frequentare l’ambiente alpino fino ad una quota compresa tra 2500-3000 metri al termine della convalescenza e della fase riabilitativa. Per quote superiori va effettuato un attento esame clinico e strumentale al fine di valutarel’idoneità di ogni soggetto . E’ indispensabile effettuare un appropriato programma riabilitativo prima di riprendere l’attività fisica.Va scelta una tipologia di attività fisica adeguata per intensità, durata, e frequenza. È bene evitare passaggi particolarmente esposti e vie attrezzate che richiedono un elevato impegno muscolare di tipo isometrico e rappresentano un intenso stimolo emotivo. I soggetti chehanno subito un trapianto cardiaco ( circa 50 mila al mondo) possono ritornare in montagna. Va sottolineato che il cuore dei trapiantati è denervato , ovvero privo di quelle innervazioni che regolano il funzionamento dell’organo, che sono state asportate nel corso dell’intervento di trapianto. Di conseguenza un cuore trapiantato presenta unaminore performance.E’ bene che il cardiopatico effettui escursioni non da solo. L’attività fisica in montagna deve essere praticata da un cardiopatico solo quando si trova in buone condizioni di salute, usando il buon senso. La terapia medica consigliata non deve mai essere sospesa ed i farmaci devono venire assunti conmetodicità.

Controindicazioni per i soggetti affetti da malattie cardiovascolari assolute alle medie quote ( 1800-3000 metri) sono: infarto miocardio recente, angina instabile, scompenso cardiaco congestizio, gravi valvulopatie, aritmie ventricolari di grado elevato, cardiopatie congenite cianogene o con ipertensione polmonare, arteriopatie periferiche sintomatiche, ipertensione arteriosa grave o non ben controllata.

L’ipertensione è una malattia abbastanza diffusa che colpisce il 15-25%della popolazione, con un incremento correlato all’età del soggetto.Gli effetti della quota sulla pressione arteriosa dipendono da molti fattori: la durata dell’esposizione, il grado di ipossia (carenza di ossigeno), fattori genetici e dietetici, ed esposizione al freddo. La pressione arteriosa aumenta nel corso della prima o seconda settimana di soggiorno in alta quota. I soggetti ipertesi manifestano una maggior risposta ipertensiva rispetto ai normotesi. È raccomandato e prudente effettuare delle misurazionidella pressione arteriosa in quota nei soggetti ipertesi. La prevalenza del respiro periodico in alta quota può provocare nei soggetti ipertesi un’ importante stimolazione simpatica nel corso del sonno, aumentando il rischio di una esagerata risposta ipertensiva, di un’ipertensione polmonaree di anomalie del ritmo cardiaco. Nei soggetti normotesi si è rilevato in quota un incremento notturno della pressione arteriosa. L’iperteso può frequentare la montagnafino a 3000 metri (media quota) solo se in terapia ed in uno buon stato di compenso. Oltre i 3000 metri ogni caso rappresenta una realtà a sé e deve essere studiato attentamente. Salendo in quota anche la terapia antipertensiva può subire modificazioni, dal momento che la risposta dell’organismo allo stress causato dall’altitudine, allo stress fisico e talvolta emotivo, e al freddoportano ad un incremento della pressione arteriosa. Attualmente il Prof. Gianfranco Parati cardiologo del Centro Auxologico dell’Università della Bicocca di Milano sta effettuando studi riguardanti l’ipertensione in alta montagna, raccogliendo dati interessanti.

E’ bene limitare l’attività fisica nei primi giorni di soggiorno in montagna ed evitare gli sforzi nelle due ore seguenti i pasti o in condizioni climatiche non buone, ovvero con troppo freddo o troppo caldo. Occorre adottare un corretto stile di vita ed un’alimentazione sana quali idonee forme di prevenzione, controllando il peso corporeo, evitando il fumo e l’eccesso di alcolici.

Il Centro Cardiologico Monzino, primo ospedale in Italia dedicato alla cura dell’apparato cardiovascolareha indicato alcune regole da consigliare ai cardiopatici. Fondamentale non fumare e fare molta attività fisica. Non va bene fare attività fisica intensa quando non si è in forma. Non va bene ignorare il russamento che indica un maggior rischio di malattie cardiache. Occorre prestare attenzione alla salute della bocca. Serve molto sapere controllare stress, aggressività e depressione. È importante stare a contatto con gli altri. Non si deve bere troppi alcolici. Anche l’uso del sale va ridotto, evitando, perciò, i prodotti troppo ricchi di sale. Non si deve mangiare troppo carne rossa. Vanno consumate frutta e verdura in abbondanza. Il sovrappeso è certamente uno dei maggiori fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Vanno evitati i cibi ipercalorici durante la normale vita quotidiana. Non si deve mai pensare che i problemi di cuore “non colpiranno me”. Non si deve mai aspettare, ma si deve fare prevenzione, correggendo i fattori di rischio in modo precoce. Non si devono mai sospendere l’assunzione delle medicine o assumerle in modo irregolare. Non si devono mai ignorare i sintomi fisici, cercando di intervenire il più velocemente possibile se necessario. Quindi occorre fare molta attenzione alla salute del proprio cuore. A tal fine ai cardiopatici che vogliono frequentare la montagna a quote inferiori ai 3000 metri si raccomanda di sottoporsi ad una adeguata valutazione clinica in grado di definire la gravità della malattia, il grado di compromissione funzionale, il rischio di complicanze e l’adeguatezza della terapia. I pazienti vanno valutati, informati e consigliati dal medico che deve conoscere la medicina di montagna.

Andrea Ponchia nell’ambito della Società Italiana di Medicina di Montagna ha messo a punto delle indicazioni comportamentali per i cardiopatici che vogliono continuarea frequentare la montagna con una certa sicurezza. Per finire, l’uso del buon senso va sempre bene.