La Cisa-Icar si incontra a Montreux

Nell’ottobre 2022 si è riunita la commissione medica dell’associazione internazionale per il soccorso in montagna. Presenti circa quaranta tra medici e paramedici provenienti da tutto il mondo.

 

Dal 12 al 15 ottobre 2022 ha avuto luogo presso il Centro Congressi di Montreux, in Svizzera, la riunione autunnale della commissione medica della Cisa-Icar.

Presente una quarantina tra medici e paramedici, provenienti da Argentina, Bulgaria, Croazia, Serbia, Italia, Francia, Svizzera, Germania, Austria, Slovenia, Giappone, Nuova Zelanda, Islanda, Spagna, Cile, Canada, Usa, Inghilterra, Norvegia, Svezia, Polonia, Repubblica Ceca.

Dopo i saluti dell’inglese John Ellerton, presidente della commissione, ha preso la parola Sven Christjan Skaiaa dell’Air Ambulance, Royal Norwegian Air Force 300 Sqqn, dell’Oslo Hospital University, per parlare di “Development and implementation of medical operative workflow in SAR and HEMS”. Le missioni sono state effettuate con un elicottero Sea King MK 43B fino al 2020 e, poi, con un AW101. Ogni parte della Norvegia può essere raggiunta in 90/70 minuti di volo. Esistono cinque basi militari e tre civili. In circa 15 minuti gli equipaggi sono pronti per il decollo. Gli interventi sono per il 20% per il SAR e per l’80% per eliambulanza. Il verricello viene utilizzato nel 20% delle missioni, utilizzando una long line di 400 metri. Il relatore ha descritto il tipo di sacco medico utilizzato nelle missioni di soccorso e l’organizzazione all’interno dell’elicottero, descrivendo i ruoli di ognuno (pilota, medico, soccorritori). Importanti la cultura dell’addestramento (effettuato anche con simulazioni), la cooperazione nel team di soccorso per migliorare la performance dei soccorsi, l’utilizzo degli indicatori di qualità.

Mathieu Pasquier dell’Emergency Departement of Lausanne University Hospital ha parlato dell’ “On-site treatment of avalanche victims”.  Il relatore ha illustrato le raccomandazioni messe a punto dalla Commissione medica della Cisa-Icar nel 2022 e descritto alcuni casi selezionati di incidenti in valanga.

Mario Milani, del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS) e della Scuola Nazionale Medica per l’Emergenza ad alto rischio in ambiente ostile (SNaMed), ha presentato un’analisi retrospettiva degli incidenti accaduti tra i soccorritori in Italia nel corso di 21 anni di attività: “Occupational accidents among search and rescue providers during mountain rescue operations and training events”. Scopo dello studio è stata una valutazione dell’epidemiologia, dei meccanismi, del tipo, della gravità e delle relative conseguenze degli incidenti di origine occupazionale tra gli operatori. Il data base del CNSAS comprende qualsiasi incidente che ha attivato l’assicurazione e che ha determinato la sospensione dall’attività di soccorso. Gli incidenti analizzati si sono verificati tra il 1999 e il 2019 in Italia, sia nel corso di missioni di soccorso sia durante esercitazioni. È stato, quindi, effettuato un confronto tra le due circostanze. Si sono registrati 784 incidenti, con una media di 37,3 per anno. Il 42% degli incidenti si è verificato nel corso di operazioni di soccorso, mentre il 59% è accaduto durante le esercitazioni. Nel 96% dei casi si è trattato di un trauma, mentre solo nel 4% la causa è stata di tipo medico o ambientale. Nel 94% dei casi le lesioni sono state modeste, mentre incidenti mortali si sono verificati nel 2% dei casi.

Il canadese Alec Ritchie, medico del North Shore Rescue e della Physician Ski Patrol di Whistler, ha parlato di “Epidemiology of emergency medical search and rescue in the North Shore mountains of Vancouver, British Columbia, Canada, from 1995 to 2020”. L’area in oggetto include tre comprensori sciistici e due parchi provinciali. Lo studio epidemiologico è stato effettuato su un arco di 25 anni, con 2078 interventi, dei quali 848 (41%) classificati di tipo medico. L’età media delle persone soccorse è stata di 35 anni, per il 65% di sesso maschile. Gli interventi sono stati per il 54% (489) per traumi, per il 41% (371) per altre cause non traumatiche e per il 3% (25) per il recupero di corpi. Sono stati richiesti interventi per soccorrere escursionisti (53%), cicloescursionisti (10%). Per quanto riguarda gli incidenti non provocati da traumi, le prime tre cause sono state l’ipotermia (25%), le malattie mentali (25%) e le cardiopatie (11%). Il 49% degli incidenti ha richiesto il ricovero in ospedale. Non è sempre stato possibile un confronto delle diagnosi effettuate nella fase pre-ospedaliera, rispetto a quelle formulate in ospedale. Dallo studio è emerso che molte sono le persone poco esperte che frequentano la montagna in quelle zone del Canada. Notevole anche il numero di persone annegate, visto la presenza di numerosi laghi, fiumi, e dell’oceano. In conclusione è opportuna un’attenta raccolta dei dati, con una continua evoluzione della tecnologia (gps, cartografia, software, telefoni portatili) e delle operazioni degli elicotteri (long line, volo notturno) e della formazione e dell’educazione degli operatori, in collaborazione con i membri della Cisa-Icar.

Urs Pietsch del Bergwacht ha parlato della formazione degli operatori del soccorso in Germania, con accenno ai vari medical devices, agli zaini da soccorso, all’equipaggiamento in dotazione ai team di soccorso e a un manuale contenente la regolamentazione circa l’utilizzo dei dispositivi medici.

Evelien Cools del Departement of Acute Care dell’University Hospitals of Geneva, e Beat Walpoth, emeritus University Hospital of Geneva, hanno parlato dell’”Hypothermic cardiac arrest”. Si tratta di una situazione stressante. I relatori hanno parlato dei vari stadi dell’ipotermia accidentale, secondo la classificazione svizzera (Durrer, 2003, Brown, 2012). Ogni stadio clinico è associato a una stima della temperatura centrale del corpo. È stata effettuata una review retrospettiva della letteratura esistente circa i casi di pazienti ipotermici ricoverati presso gli ospedali di Ginevra tra il 1994 e il 2016. Criteri di inclusione un’età superiore a 18 anni, una temperatura centrale corporea (core) inferiore a 35°C. Criteri di esclusione: arresto cardiaco e potenziali confounders (patologie concomitanti e intossicazioni). Per distinguere un arresto cardiaco dovuto all’ipotermia (HCA) dalla morte occorre valutare la presenza di morte sicura (corpo congelato, o presenza di lesioni letali), fare attenzione alla presenza di segni non attendibili di morte: pupille fisse e dilatate, apparente rigor mortis, conseguente presenza di lividi, la temperatura corporea che non deve essere utilizzata per determinare la morte. Risultati positivi si possono avere nel caso di ipotermia indotta a 4,2°C e di ipotermia accidentale a 11,8°C. In caso di arresto cardiaco ipotermico associato ad annegamento occorre iniziare la rianimazione con cinque ventilazioni facendo inspirare ossigeno al 100%, se possibile. Va continuata l’ALS finché il paziente è stato riscaldato e l’asistolia è continuata per oltre 20 minuti. La rianimazione cardio-polmonare non va effettuata nel caso sia avvenuta una immersione senza un air pocket per oltre 90 minuti e non si conosca la temperatura dell’acqua. La probabilità di sopravvivenza va valutata utilizzando l’HOPE score

(https://www.hypothermiascore.org/). Per quanto riguarda i progetti futuri, si deve pensare all’addestramento del personale sanitario, dei first responders, dei laici (“Don’t give up! Non smettere!).

I relatori hanno presentato l’International Hypothermia Registry, con alcuni risultati conseguiti. Hanno acceso al registro 51 centri (per l’80% inattivi). In totale sono stati registrati 240 casi di ipotermia da parte di undici centri: Innsbruck University, Hôpitaux de Mont Blanc (Chamonix et Sallanches), Centre Hospitalier Universitaire, Grenoble, Murnau Trauma Center, Bergamo Hospital, Red Cross Hospital Bernate, John Paul II Hospital, Krakow, University Hospital, Insel, Bern, University Hospitals, Geneva, mountain Rescue, Cumbria, Denver Health. Uno studio realizzato su 73 persone in arresto cardiaco ipotermico ha evidenziato una percentuale di sopravvivenza del 36%, con una percentuale di maschi del 75%. Nel 68% dei casi gli incidenti si sono verificati in montagna (valanghe, asfissia). In 128 persone ipotermiche con circolo conservato si è registrata una percentuale di sopravvivenza del 95%. Si è verificata un’alta percentuale di traumi concomitanti nei pazienti non in arresto cardiaco. Nei pazienti non in arresto cardiaco la temperatura corporea era di 30°C, nei pazienti in ARC era, invece, di 25°C. I valori di potassio, lattato e alterata coagulazione erano più elevati nei pazienti in HCA. La percentuale di sopravvivenza in ospedale nei soggetti non in arresto cardiaco è stata del 95% e del 36% in quelli in HCA.  Nel post rewarming resuscitation si sono verificate le seguenti complicanze (danno di membrana, ipotermia): sei edemi polmonari, 2 polmoniti, 2 ARDS, tre pneumotoraci, 1 aritmia cardiaca, una pericardite, 3 casi di anuria, 2 casi di ematuria, 9 casi di disfunzioni a carico del sistema nervoso. L’utilizzo dell’ECMO (Extra-corporeal membrane oxygenation- assisted) determina un miglioramento della sopravvivenza nei pazienti ipotermici in arresto cardiocircolatorio (20%). Il ROSC è comparso in 32 soggetti (54,2%). La velocità del riscaldamento condiziona l’attivazione dell’infiammazione, lo stress ossidativo, l’attivazione microgliale e il flusso cerebrale. Un riscaldamento troppo veloce aumenta la risposta infiammatoria e condiziona il recupero del sistema nervoso dopo un arresto circolatorio ipotermico.

Il medico inglese Mike Green e la scozzese Naomi Dodds hanno presentato la relazione dal titolo “Is it safe for mountain rescue to walk a cold casualty or Swiss stage 1 hypotermic casualty off the mountains- a case series?”. L’American Wilderness Medicine Society ha pubblicato le raccomandazioni raccolte nella letteratura, riviste nel 2019, riguardanti il trattamento dell’ipotermia allo stadio 1. Una volta che il paziente viene protetto da un’ulteriore perdita di calore, con a disposizione un’adeguata riserva di energia, il metodo più efficace per permettere alla persona un buon recupero consiste nel farla camminare, con le dovute precauzioni rispetto al freddo. La deambulazione incrementa, infatti, il flusso ematico da e verso le gambe, fa diminuire la pressione arteriosa ed evita la comparsa dell’after drop. I relatori hanno citato l’esempio di un incidente accaduto a tre escursionisti esperti che si sono persi nel Cairngorms National Park il 12 ottobre 2017 alle 20 e ritrovati dai soccorritori all’una di notte.

Roman Schniepp e Boris Buck, della Ludwig-Maximillians University di Munich e del Martin Flugrettung of Heli Austria, hanno parlato di “In-ear composite vital sign monitoring in alpine rescue scenarios”. I relatori hanno presentato un ear sensor device, leggero (<7 grammi) e piccolo, wearable, in grado di monitorare in continuo la temperatura del corpo e altri segni vitali (frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, SpO2) nei casi di ipotermia in terapia intensiva e in emergenza. Il progetto è nato in collaborazione con l’Università di Munich.

Giacomo Strapazzon, direttore dell’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano, ha parlato del progetto Med SENS, riguardante l’ipotermia di tipo accidentale, aprendo una discussione.

Allison Sheets della Mountin Rescue Association del Colorado, presidente della MRA, ha parlato di “Stress injury in SAR, ICAR Medcom Recommendations”. Tra le raccomandazioni della commissione medica della Cisa-Icar quattro “anchor” di resilienza: il saper riconoscere lo stress in noi stessi, la cultura del team, il trattamento dello stress sul terreno e il prepararsi a incidenti maggiori. Molti dei dati vengono estrapolati dai disastri, dalla guerra, dalla polizia urbana, dai vigili del fuoco e dai servizi medici di emergenza (EMS). I soccorritori di montagna sono esposti a un notevole, costante stress nel corso del loro lavoro. L’efficacia dellamaggior parte degli interventi non è conosciuta. Occorre saper selezionare, addestrare e preparare i team alla resilienza. Importante il debriefing, il monitoraggio e il sapersi muovere seguendo le necessità del team, costruendo la comunicazione e identificando le risorse. I fondamenti del first aid psicologico sono: la sicurezza, la calma, la comunicazione, la speranza e l’impegno. Si deve fare una pre-pianificazione degli incidenti e devono essere identificati eventi potenzialmente traumatici dal punto di vista psicologico. Va capito il ciclo dello stress e il suo recupero. Va pianificato il peggiore scenario. Occorre consapevolezza sulla scena, capire il meccanismo dell’incidente, sapere osservare e fornire supporto pratico. Si dovrebbe approntare un piano per una cura continua, che va dalla prime ore fino alla risoluzione del problema (giorni o settimane).

Peter Paal della commissione medica della Cisa-Icar e Claudio Artoni, vicepresidente della commissione valanghe della Cisa-Icar, hanno illustrato il progetto AvaLife, ideato per i laici, un approccio multidisciplinare, supportato da dati raccolti da incidenti o da test realizzati sul terreno, con l’intento di ottimizzare le possibilità di sopravvivenza nel soccorso prestato a travolti da valanga. Negli incidenti causati da una valanga il tempo di intervento è critico ai fini della sopravvivenza, così è molto importante standardizzare le fasi del primo intervento ai fini del recupero degli infortunati.

Gerold Biner, pilota di Air Zermatt e past president della Cisa-Icar, ha presentato “The past, present and future of mountain rescue”. Negli anni ’50 Hermann Geiger, “il pilota dei ghiacciai”, è stato tra i pionieri del soccorso in montagna a Sion, servendosi di piccoli aerei che atterravano sul terreno innevato in alta quota. Negli anni ’60 hanno fatto la comparsa i primi elicotteri. La tecnologia è andata evolvendosi in modo graduale, con l’avvento di nuovi strumenti sempre più sofisticati. Sono stati curati anche gli aspetti legali del soccorso e della ricerca in montagna. Il sistema Recco si è rivelato molto utile se montato sugli elicotteri per la ricerca dei travolti da valanga. Anche la conoscenza ha avuto modo di crescere negli anni. Gli elicotteri possono volare con qualsiasi condizione meteo. Si è sviluppato il volo notturno. È nato l’”Ice Bird Project” che ha come scopo la misura dello spessore del ghiaccio dell’Artico, tramite mezzi aerei.

Da alcuni anni è stato introdotto l’uso dei droni nel soccorso e nella ricerca in montagna, in grado di ridurre i rischi per i soccorritori e diminuire i costi.

Sono comparsi i libri “Homo sapiens” e “Homo deus” di Yuval Noah Harari, storico e scrittore israeliano, che parla della storia dell’umanità e del suo futuro. È stato inventato un sistema che permette all’uomo di volare e raggiungere il luogo di un incidente.

Servono formazione, addestramento e leader capaci e preparati. È importante saper lavorare in squadra (team work), inventando nuove strategie per il soccorso in montagna.

Océane Vibert, direttrice de La Chamoniarde, ha parlato del progetto “The Oxy Pack: working towards new mountain rescue strategies”. Il Peloton de Gendarmerie de Haute Montagne (PGHM) è nato nel 1958 e si occupa del soccorso nel massiccio del Monte Bianco. La Chamoniarde è un’organizzazione non profit nata nel 1948 che si occupa di soccorso in montagna e di prevenzione del rischio e che cerca di riunire tutte le entità che si interessano di operazioni di soccorso e di ricerca in ambiente alpino. Fornisce gratuitamente informazioni a escursionisti, alpinisti, cicloescursionisti, sciatori e sci-alpinisti, sviluppando sicurezza e prevenzione. Collabora con il PGHM con l’intento di innovare attrezzature tecniche. L’Oxy Pack è un progetto nato in seguito al salvataggio di due alpinisti sul Monte Bianco di Courmayeur.  Prevede di ottimizzare l’uso dell’ossigeno durante un soccorso in alta quota, per permettere alle vittime di un incidente di camminare in modo efficiente. Vengono usate bombole leggere, ricaricabili, sicure per il trasporto in elicottero, dotate di maschere di tipo himalayano, manegevoli e utilizzabili oltre i 3800 metri di quota. A 4000 metri la VO2 Massimale è ridotta del 25%. Il processo di acclimatazione richiede diversi giorni, varia da individuo a individuo, e non può essere mantenuto per 365 giorni all’anno.

Laura McGladrey dello StressTrauma Adversity Research and Treatment Center della Colorado University ha parlato di “Innovations in managing the increase in SAR Operational Stress”. La relatrice ha affermato che non sempre si può variare lo stress cui sono sottoposti i team di soccorso, ma si può cercare di aumentare la loro capacità di combattere gli stressor attraverso la consapevolezza e gli strumenti specifici del soccorso. I quattro “anchor”: saper riconoscere lo stress in noi stessi, la cultura del team, trattare lo stress sul terreno e prepararsi per incidenti maggiori. I “resilience team”sono gruppi di nicchia che si trovano all’interno di un’organizzazione, che si occupano del benessere fisico e mentale del team. Sanno riconoscere i danni causati dallo stress sulle persone e conoscono le risorse disponibili.

Uno dei rappresentanti del Bavarian Mountain Rescue ha parlato dell’evoluzione e della rivoluzione in atto nel soccorso in montagna, dell’importanza del lavoro di squadra e dello scambio di conoscenze, delle esercitazioni di simulazione e dell’uso delle piattaforme. Con queste ultime è molto facile comunicare e confrontarsi, rimovendo ogni tipo di barriera.

Hermann Brugger, vicedirettore dell’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano, ha parlato della storia della ricerca scientifica nel campo dell’ipotermia.

Lo svizzero Marcel Meier ha parlato dell’utilizzo dei cani da ricerca in valanga e della loro incredibile abilità. Grazie al suo olfatto, il cane è in grado di ricercare le vittime di una valanga. Gli oggetti presenti sulla superficie nevosa non disturbano il cane, che lavora in sintonia e in completa fiducia in ogni situazione (buio, cattivo tempo) con il proprio conduttore

 

8.01.23.