I FISIOLOGI E LA GRANDE GUERRA
Il coraggio non era la sola qualità indispensabile per essere un buon pilota, ma servivano anche resistenza, equilibrio emotivo e prestanza fisica. Agli inizi del ‘900 ricercatori illuminati approfondirono la questione.

 

Di Giancelso Agazzi

 

 

L’Italia entrò in guerra nel 1915 e nei primi tempi vennero addestrati al volo i giovani che si proponevano per questo tipo di esperienza.

Dopo due anni di conflitto vennero fatti i primi bilanci: i decessi e lo spreco di mezzi erano rilevanti e non erano dovuti solo agli attacchi del nemico né a problemi di natura meccanica o di tipo strutturale dei velivoli. Ci si rese conto che l’elemento “uomo” era fondamentale: il coraggio non era la sola qualità indispensabile per formare bravi piloti, ma occorrevano anche altre doti tra cui la resistenza, l’equilibrio emotivo, la prestanza fisica. Durante il periodo dell’addestramento, già molto dispendioso per il consumo di carburante e di olio nonché per la manutenzione dell’apparecchio, gli allievi distruggevano numerosi aerei, con quel che comportava in termini di danno economico e di perdita di uomini.

 

La scoperta del 1994

 

Nel maggio del 1994 il personale dell’Archivio Scientifico e Tecnologico dell’Università di Torino (ASTUT) ha scoperto in un locale abbandonato dell’Istituto di Fisiologia un piccolo tesoro, costituito da attrezzature scientifiche di inizio ‘900.

Tra i molti oggetti sono state ritrovate alcune complesse apparecchiature ideate per la selezione dei piloti durante la Prima Guerra Mondiale, antiche testimonianze materiali, uniche al mondo, delle origini della simulazione del volo.

Tali strumenti vennero ideati e in parte costruiti all’interno dell’Istituto di Fisiologia di Torino, rinnovato nel 1881 con l’arrivo dell’illustre fisiologo olandese Jacob Moleschott.

Agli inizi del secolo scorso l’Italia, e in particolare Torino, vantava il primato sia negli studi relativi alla fisiologia del volo sia nelle tecniche di selezione attitudinale dei futuri piloti.

Dalla fine dell’Ottocento era, infatti, attivo a Torino un importante Istituto di Fisiologia, riconosciuto anche in ambito internazionale, fondato da Jacob Moleschott e successivamente sviluppato da Angelo Mosso e Amedeo Herlitzka.

Jacob Moleschott nacque a Hertogenbosch, nel Sud dell’Olanda, il 9 agosto 1822. Compì i primi studi in Olanda, ma, poi,  si iscrisse alla Facoltà di Medicina di Heidelberg in Germania.
Nel 1856 venne chiamato a insegnare Fisiologia all’Università di Zurigo. Fu qui che conobbe Francesco De Sanctis, che era professore a Torino e teneva un corso di Letteratura Italiana al Politecnico di Zurigo. Quando, nel 1861, De Sanctis divenne ministro della Pubblica Istruzione, Moleschott venne nominato professore di Fisiologia a Torino.

Moleschott raccolse intorno a sé un’ampia schiera di collaboratori, tra i quali Angelo Mosso.
Nel 1878 venne chiamato a coprire la cattedra di Fisiologia nell’Università di Roma e lasciò ad Angelo Mosso la cattedra di Fisiologia a Torino.
Fu membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e Senatore del Regno. Morì a Roma il 20 maggio 1893.

Il medico fisiologo torinese Angelo Mosso, (1846-1910) è considerato il padre della medicina aeronautica italiana. Si laureò a Torino il 25 luglio 1870, dopodiché vinse un concorso per un posto di perfezionamento a Firenze, quindi, collaborò con il laboratorio di Carl Ludwig, illustre fisiologo di Lipsia. Qui apprese l’uso della registrazione di movimento per mezzo di cilindri rotanti e portò questa tecnica in Italia, utilizzandola per primo, poi, iniziò a collaborare con Moleschott.

Il tutto senza mai smettere di pubblicare lavori scientifici di notevole rilevanza.

Famose le sue ricerche sulla paura, sull’altitudine, sul lavoro e sulla fatica muscolare. Inventore e costruttore di molti strumenti scientifici, è ritenuto un precursore delle moderne tecnologie di Neuroimaging Funzionale (Mosso,1894).

Angelo Mosso iniziò studi sull’ipobarismo in camera a depressione ed ebbe l’idea di costruire un laboratorio sul Monte Rosa per poi effettuare test e sperimentazioni nella Capanna Regina Margherita, perfezionati in seguito, nel 1907, nell’Istituto al Col d’Olen.
Mosso dimostrò il suo valore con una notevole quantità di ricerche importanti, sui movimenti di cervello, vasi e cuore, sulla contrazione muscolare, sui meccanismi della respirazione.
Nel 1878, trasferito Moleschott a Roma, assunse l’ordinariato della cattedra di Fisiologia di Torino. Ben presto sull’Istituto di Fisiologia di Torino si accentrò l’attenzione e la stima dei fisiologi di tutto il mondo.

 

I test attitudinali per aspiranti piloti

 

Un pilota ben addestrato doveva riuscire a tollerare notevoli e rapidi sbalzi di pressione senza accusare particolari disturbi. Allo scopo nel laboratorio di Fisiologia dell’Università di Torino gli aspiranti piloti della Prima Guerra Mondiale venivano sottoposti a test attitudinali che prevedevano di rinchiuderli all’interno di una campana metallica a misura d’uomo. Una pompa meccanica consentiva di ridurre gradualmente la pressione all’interno della camera, per simulare la rarefazione dell'aria in alta quota. Si rilevavano quindi i parametri fisiologici del candidato: regolarità del respiro e frequenza cardiaca. Un chimografo, costituito da un cilindro rivestito di carta annerita da nerofumo, messo in lenta rotazione da un sistema a orologeria, registrava i parametri respiratori e circolatori.

A Torino, nell’agosto del 1917 l’Istituto di Fisiologia Umana venne militarizzato e, sfruttando le competenze acquisite in passato dagli studi di Angelo Mosso sull’adattamento dell’organismo umano in quota, nacque il laboratorio dell’Ufficio Psicofisiologico dell’Aviazione.

Venne nominato direttore l’allievo di Angelo Mosso, Amedeo Herlitzka (1872-1949) che con i suoi collaboratori mise a punto una serie di prove da effettuare sugli aspiranti piloti. Amedeo Herlitzka, fisiologo italiano, venne incaricato a Torino per l’insegnamento di Chimica Fisiologica nel 1909, successe l’anno seguente ad Angelo Mosso nella cattedra di Fisiologia. Durante la Prima Guerra Mondiale organizzò l’Istituto per l’esame psicofisiologico degli aviatori, che diresse fino al 1924. Gli fu conferita anche la direzione dell’Istituto Angelo Mosso, sul Monte Rosa.
A lui si devono importanti studi sulla fisiologia aeronautica e del lavoro. La medicina aereonautica aveva iniziato il suo processo evolutivo.

 

La nascita dell’Aviation Medical Research Board

 

L’Aviation Medical Research Board nacque nel gennaio del 1918 presso l’aeroporto di Hazelhurst a Long Island (New York) dove esisteva un laboratorio dotato di camera ipobarica. Era un gruppo di ricerca permanente che si occupava dello studio dell’efficienza fisica dei piloti, attraverso la valutazione delle condizioni ambientali e della risposta dei candidati al rifornimento di ossigeno in quota.

Il problema fondamentale nella fisiologia dell’uomo in volo è quello delle variazioni che l’organismo subisce durante il soggiorno a grandi altezze già studiate in occasione di ascensioni aerostatiche, ma specialmente in alta montagna.

Molto nota la sciagurata ascensione sull’aerostato Zenith di Tissandier, Croce-Spinelli e Silvel, i due ultimi morti a 8600 metri.

Ecco quindi la risposta alle necessità dell’esercito italiano: presso l’Università̀ di Torino vi erano le competenze necessarie e l’Istituto di Fisiologia Umana venne militarizzato per creare l’Ufficio Psico - Fisiologico dell’Aviazione - Sezione di Torino, con la finalità̀ di selezionare i futuri piloti.

ll primo passo nell’esame degli aspiranti piloti era un’accurata anamnesi.

Seguiva una minuziosa visita medica per controllare la loro condizione generale di salute, in particolare del cuore e degli organi legati alla respirazione.

Veniva, inoltre, effettuata una attenta visita oculistica volta a verificare acutezza visiva, visione crepuscolare, accomodazione, ampiezza del campo visivo e assenza di daltonismo.

Si testavano le reazioni del candidato agli sbalzi di pressione dovuti a rapide e improvvise variazioni di altitudine (decollo e atterraggio) nella campana ipobarica (fino a 10.000 metri di quota). Particolare attenzione era rivolta all’infezione luetica (venivano ricusati i candidati con manifestazioni in atto).

Escludere dal pilotaggio un giovane che abbia attitudini dubbie, anche se si esagera nella severità -scriveva Herlitzka- non porta ad alcun male, mentre l’ammetterlo può determinare la perdita sua e di altri.

 

La prova della sedia girevole

 

 

Si procedeva, poi, al test della sedia girevole, utilizzata per controllare la sensibilità vestibolare (esame otoiatrico).

Il giovane veniva bendato e fatto ruotare per alcuni secondi, quindi, con una matita doveva centrare alcuni bersagli su una tavoletta. Una seconda versione del test prevedeva che il candidato con il busto flesso in avanti e la testa sostenuta con le mani venisse sottoposto a cinque rotazioni in dieci secondi, quindi veniva valutato il tempo che gli era necessario per riportarsi con il busto eretto.

Nacque probabilmente come un riesame delle caratteristiche del simulatore “Bleriot” (carlinga di un Bleriot XI). Era composto da una parte di fusoliera Bleriot XI, da un seggiolino, una pedaliera e un volantino, e da un sostegno metallico con ruote dentate a manovella con intorno un telaio di legno basculante. Questo simulatore permetteva oltre al rollio e al beccheggio anche l’imbardata, tipici di un velivolo. Un altro simulatore di volo venne costruito con i pezzi di un Caproni, in grado di simulare molto meglio i movimenti reali di un aereo in volo, con risultati più affidabili.

Si passava, poi, a testare la percezione del corpo nello spazio con i simulatori di volo. Un ergoestesiografo, strumento ideato da Gino Galeotti (1867-1921), professore di patologia presso l’Università di Napoli, serviva a valutare la resistenza muscolare (“senso muscolare”, come riferito da Herlitzka).

I risultati di tutte le prove venivano debitamente riportati su apposite cartelle cliniche, alcune ancora conservate presso l’Archivio Storico dell’Aeronautica Militare.

Il laboratorio mise a punto strumenti per testare la prontezza dei riflessi, la vista, l’udito, l’emotività, l’apparato muscolare, l’organo dell’equilibrio, il sistema circolatorio, l’apparato respiratorio e la capacità di sopportare rapidi sbalzi di pressione.

Le misure dei tempi di reazione venivano eseguite con un cronoscopio di Hipp, che aveva la sensibilità del millesimo di secondo.

Il grado di attenzione e lo stato di emotività venivano valutati sia in condizioni di normalità sia subito dopo un evento improvviso o un grosso spavento utilizzando come parametri la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la sudorazione, il pallore, il colore della pelle e la presenza di tremori.

Per ogni candidato veniva compilata una cartella clinica con i dati anagrafici, le abitudini di vita, i risultati dei test e nell’ultima pagina, se tutto era andato per il meglio, veniva apposto un timbro con su scritto “idoneo” sotto cui il professor Herlitzka firmava. La selezione era rigorosa: quasi il 40 percento degli aspiranti piloti veniva ritenuto non adatto al volo. Dopo l’introduzione di questa selezione si evidenziò una significativa diminuzione degli incidenti aeronautici.

 Ma l'essere in buona salute, avere buon udito, ottima vista e non soffrire di vertigini non erano requisiti sufficienti per la selezione di un pilota.

Vennero così gradatamente introdotti altri parametri, legati alla psicologia comportamentale e alle reazioni psicomotorie, per valutare emotività, capacità di attenzione, capacità di sopportare e reagire correttamente allo stress.

 

 Cause di inabilità

 

Nell’elenco delle prove a cui venivano sottoposti i candidati c’erano l’esposizione nella camera ipobarica a una depressione di 400 millimetri corrispondente a 5000 metri di quota raggiunti in 15 minuti; l’esposizione a uno sbalzo pressorio relativo a una discesa da 5000 metri a zero metri di quota in dieci minuti. La raccolta successiva di urina successiva alla prova per valutare volume, peso specifico e albuminuria.

Veniva dichiarato non idoneo il candidato che durante la prova di ascesa manifestava cefalea forte, sonnolenza, cianosi, affanno o irregolarità del respiro, alterazioni del ritmo cardiaco rilevate dall’elettrocardiogramma; oppure, durante la simulazione della discesa, presentava ipoacusia grave o altri disturbi a carico dell’orecchio. Infine anche la comparsa di albuminuria costituiva un fattore di esclusione.

 

Era convinzione diffusa e corretta che Il lato medico del problema (della scelta degli uomini capaci di diventare piloti di aviazione) è molto importante, quando si pensa che, su 100 accidenti accorsi in guerra il 2% è dovuto al nemico, l’8% a deficienza dell’apparecchio e il 90% a deficienza del pilota.

Dopo aver introdotto un metodo razionale di visita, la percentuale di incidenti attribuibili all’errore umano si ridusse al 20% nel secondo anno e al 12% nel terzo anno.

 

L’aspetto psicologico

 

In Italia, in collaborazione con il frate francescano Agostino Gemelli (1878-1959), anche ufficiale medico, Amedeo Herlitzka, direttore dell’Istituto di Fisiologia di Milano, pose le fondamenta della psicologia applicata alla selezione attitudinale al pilotaggio, che furono riconosciute a livello internazionale. L’attività di Herlitzka, insieme con quella di padre Agostino Gemelli, concorse in misura significativa al riconoscimento all’Italia, durante la Prima Guerra Mondiale e nei decenni successivi, di una indiscussa leadership negli studi sulla fisiologia del volo.

Presso il Comando Supremo a Padova, il dotto frate francescano dirigeva un analogo laboratorio particolarmente dedicato in particolare ai problemi psicologici del personale di volo. «Gemelli è il padre fondatore della psicologia aeronautica che agli albori della Medicina Aeronautica e fino agli anni Trenta era considerata di fatto una branca della filosofia», spiega Paola Verde, tenente colonnello medico sperimentatore di volo dell’Aeronautica Militare in servizio presso il Reparto di Medicina Aeronautica e Spaziale del Centro Sperimentale di Volo di Pratica di Mare.

Sviluppi interessanti si sono avuti anche in Italia dato che Agostino Gemelli, nel pieno della Grande Guerra, fu incaricato dal Comando Supremo di dirigere il Laboratorio di Psicofisiologia al fine di individuare le tecniche psicofisiologiche atte a selezionare i piloti militari.

Gemelli riteneva fondamentale studiare l’homo militaris e comprenderne la psicologia nel contesto in cui viveva e operava, e decise di conseguire un brevetto di pilotaggio al fine di capire a fondo la condizione mentale e fisica in cui ci si trovava ai comandi di un velivolo.

In Italia, Padre Agostino Gemelli all’interno della sua intensa attività̀di scienziato, ma anche religioso e politico è considerato un pioniere della fisiologia e psicologia in aviazione.

Fra il 1910 e il 1914 trascorse diversi periodi di ricerca in Europa, durante i quali entrò in contatto e strinse solidi rapporti scientifici con i più̀ illustri fisiologi e neurologi del tempo (Max Verworn, Moritz Nussbaum, Emil Kraepelin) e frequentò il laboratorio di psicologia di un allievo dissidente di Wilhelm Wundt, Oskar Külpe.

In campo scientifico il contributo di padre Gemelli è fondamentale poiché́ è stato proprio lui il primo a introdurre il concetto della psicotecnica, applicata alla selezione degli aspiranti piloti.

Fu nel 1917 che al continuo verificarsi di incidenti di volo, il comando supremo del Regio Esercito istituì i primi “Gabinetti per le ricerche psicofisiologiche sull’aviazione e per le visite di controllo dei piloti” affidandone la direzione proprio a padre Gemelli, medico e cappellano militare. Il primo "Gabinetto" fu affidato ad Amedeo Herlitzka presso il Laboratorio di Fisiologia Umana dell’Università di Torino (15.000 visite). Nel 1918 furono istituiti altri "gabinetti" a Napoli (2500 visite) e a Roma (3550 visite) diretti rispettivamente da Giuseppe Gradenigo, grande pioniere dell’otorinolaringoiatria mondiale e Alberto Aggazzotti, fisiologo.

L’attività di questi piccoli centri si concluse nel 1922.

Furono più̀ di 3000 i giovani, in parte civili e in parte già arruolati, fotografati nel momento in cui a Torino si sono sottoposti ai test. Ogni immagine riportava un numero di matricola, ma, ahimé̀, non venne trovato nessun registro che ci abbia permesso di collegare questi numeri con dei dati anagrafici. Ecco perché́ ogni giovane fu identificato semplicemente con il suo numero e nessun altro dato. Venne fatto un tentativo di collegare i volti ai dati anagrafici consultando l’Archivio Storico dell’Aeronautica Militare che si trova a Roma. Sono state ritrovate e consultate le cartelle cliniche di molti giovani che si erano sottoposti ai test, ma purtroppo i numeri di matricola riportati sulle cartelle non corrispondevano a quelli che si trovavano sulle foto, quindi non era possibile collegare i volti a un nome e a un cognome.

Alberto Aggazzotti (1877-1963), laureatosi in medicina e chirurgia a Torino, dal 1915 al 1923 fu direttore dei laboratori scientifici Angelo Mosso, suo maestro, sul Monte Rosa.

Aggazzotti effettuò studi sull’uomo in alta montagna (su sé stesso, su altri esseri viventi, tra cui un orango e su embrioni di pollo).

Nei primi tempi dell’aviazione si davano a questo nuovo tipo di sport coloro che avevano incominciato lo studio dei velivoli o i cultori di altre forme di sport, specialmente l’automobilismo.

Ma quando l’aviazione iniziò a essere impiegata per la guerra su vasta scala, oltre il 30% dei militari, allontanati dal fronte per seguire i corsi di pilotaggio (sei mesi), non riusciva a conquistare il brevetto di pilota.

 

Il male degli aviatori

 

Gli aviatori, durante la discesa di quota potevano andare incontro a una serie di disturbi che coinvolgevano principalmente l’orecchio medio, mentre, durante i voli lunghi, potevano comparire disturbi neurastenici, tra cui, nei casi peggiori, stati di shock.

Il male delle altitudini durante i voli, analogo al male di montagna, fu descritto da Alfonso Borelli, fisiologo napoletano, già nel 1671 durante un’escursione all’Etna.

Successivamente venne catalogato da Alberto Aggazzotti come ipobaropatia.

Nelle ascensioni a piedi si manifesta a quote più basse perché alla depressione atmosferica si associa la fatica muscolare imposta dalla salita.

L’altezza media alla quale compare la malattia è verso i 4500 metri.

Nel corso della Grande Guerra uno degli assi più famosi dichiarò che al di sopra dei 5000 metri egli non aveva più nemmeno la forza di voltarsi per vedere se era inseguito da aeroplani nemici.

Nelle ascensioni aviatorie si registrava un aumento delle pulsazioni.

Nelle ascensioni in aeroplano la pressione del sangue presentava un andamento diverso da quello che si osserva in alta montagna: la “sistolica” tendeva ad aumentare specie nei primi 500 metri di salita, stabilizzandosi, poi, nel volo orizzontale. Durante la discesa diminuiva fino a valori più bassi di quelli di partenza.

 

Cosa accade in discesa

 

Sensazione di caldo alla testa con cerchio alle tempie, cefalea, assordamento e dolori auricolari intollerabili, stenocardia con tachicardia e a volte sincope o perdita della conoscenza, sonnolenza sono i sintomi che si potevano rilevare anche dopo l’atterraggio ed erano constatabili in tutti i neofiti quando discendevano a una velocità di tre o quattro minuti ogni 1000 metri e nei piloti allenati quando raggiungeva il minuto ogni 1000 metri.

Nel 1920 gli autori Cruchet e Moulinier misero in relazione tali fatti con un aumento della pressione sanguigna diastolica (minima).

Tuttavia, non tutti gli individui reagiscono allo stesso modo.

L’acclimatazione non rappresentava un problema per i piloti da caccia che salivano troppo in fretta per consentire al loro milieu intérieur di adattarsi alla nuova condizione.

Per quanto riguarda gli alpinisti, riescono in genere a compensare in parte la minore pressione parziale di ossigeno attraverso adattamenti fisiologici.

Una grande apatia può colpire gli aviatori in alta quota così come gli alpinisti possono diventare indifferenti ai pericoli.

Gli aviatori erano soggetti a emorragie dovute a secchezza o screpolature delle mucose causate dal freddo, all’aria priva di umidità o al vento, responsabile anche di difficoltà respiratorie.

La respirazione toracica si faceva più profonda e quella addominale più superficiale.

L’orecchio soffriva a causa delle modificazioni rapide di pressione e per le alterazioni della funzione vestibolare (orientamento tridimensionale nello spazio).

La guerra e l’aviazione furono fonti di conoscenza cui attinsero le spedizioni alpinistiche.

Non infrequenti erano tra gli aviatori i principi di congelamento o il malessere dovuto all’intenso sforzo fisico o alla permanenza in alta quota (tra i 4000 e i 5000 metri).

Le insidie da cui si dovevano guardare i piloti erano dunque molte e riguardavano non solo le armi antiaeree, i caccia nemici, i guasti del motore o di altre parti dell’aereo, ma anche l’ipossia e l’ipotermia.

Visti i limiti tecnici degli aeroplani dell’epoca, per i giovani aspiranti piloti l’arruolamento in aviazione restava di certo un atto di coraggio.

L’esperienza del volo non ebbe importanza soltanto dal punto di vista militare, ma assicurò anche risonanza emotiva, procurò piacere, suggerì narrazioni.

I piloti potevano finalmente sorvolare per la prima volta le vette altissime delle Alpi, avendo modo di trovarsi di fronte a scenari spettacolari che, poi, potevano far conoscere ad altri attraverso la testimonianza della fotografia.

 

 

 

Bibliografia

 

•      Archivio Scientifico e Tecnologico Università di Torino (ASTUT)

•      Fisiologia ed Aviazione, Amedeo Herlitzka, 31 agosto 1923

•      Dagli abissi allo spazio, ambienti e limiti umani, Guido Ferretti, Carlo Capelli, Edi-Ermes, 2008

•      Archivio Museo della Guerra di Rovereto

•      Museo delle Forze Armate di Montecchio Maggiore (Vi)

•      Museo della Guerra Bianca di Temù (Bs)

 

 

31.12.23