Medicina di Montagna: ha trent’anni il corso di perfezionamento

 

Lo scorso settembre si è svolto a Sesto Pusteria un convegno per festeggiare una ricorrenza importante: da trent’anni l’Università di Padova organizza un corso post laurea rivolto ai sanitari che desiderano approfondire la conoscenza di questa disciplina relativamente nuova

 

 

Andrea Ponchia ha preso la parola, salutando i partecipanti, facendo presente che il corso ha segnato l’inizio della medicina di montagna in Italia. Ha avuto origine dalla Commissione Centrale Medica del CAI, per iniziativa di Corrado Angelini, Annalisa Cogo, Andrea Ponchia e Marco Zaccaria. Tito Berti, allora preside della facoltà di medicina di Padova, ha voluto creare il corso, divenendone il primo direttore, con l’intento di fornire una formazione ad ampio spettro a tutti i sanitari appassionati di quella che sarebbe appunto diventata anche ufficialmente la “medicina di montagna”. Si sono stabilite convenzioni con il CAI, con la provincia di Bolzano e con il comando delle Truppe Alpine.

Nel 1999 è nata ad Arabba la Società Italiana di questa nuova disciplina. Presenti al battesimo i maggiori esperti di medicina di montagna, tra i quali Paolo Cerretelli, Pietro Enrico Di Prampero, Marco Maggiorini, Bruno Durrer, Pietro Segantini, Franz Berghold. Secondo direttore del corso è stato Corrado Angelini. Grazie alla sua intraprendenza sono stati organizzati quattro corsi avanzati di medicina di montagna. Elena Pegoraro è stata direttrice del corso prima di Andrea Ermolao, professore associato e direttore della Scuola di Specialità in Medicina dello Sport e dell’Esercizio dell’Università di Padova, che ha dato una grossa spinta per promuovere il conseguimento di questo diploma anche presso altre figure sanitarie.

Sono, poi, intervenuti Corrado Angelini e Andrea Ermolao per far presente che l’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano è stato ultimamente di grande supporto all’iniziativa accanto al collegio delle guide alpine. Il corso è stato accreditato dall’UIAA e si è avvicinato alla medicina di emergenza in montagna oltre che alla parte più scientifica.

Francesca Battista, ricercatrice dell’Università degli studi di Padova, è stata la prima relatrice con una presentazione dal titolo “Impatto ambientale sul rischio cardiovascolare”. L’esposizione cronica all’inquinamento influisce in modo negativo su tutto l’organismo umano. L’esposoma, che è l’insieme dei fattori ambientali a cui si è esposti dalla nascita fino alla morte, è un’entità dinamica cui nessuno può sottrarsi. L’inquinamento non è altro che il rilascio nell’ambiente di materiale tossico, prodotto dalle attività dell’uomo e dall’effetto dei cambiamenti climatici in atto (inquinamento dell’aria, metalli, sostanze chimiche). Nel 2019 si sono registrati nel mondo nove milioni di morti causate dall’inquinamento, specie nelle zone asiatiche e africane. Pare che l’inquinamento abbia prodotto e produca più vittime della recente pandemia. Il 61,9% del danno all’organismo è rappresentato dalle malattie cardiovascolari: 31,7% cardiopatie ischemiche, 27,7% stroke. Il rischio cardiovascolare dovuto all’inquinamento tende a essere sottovalutato. Il meccanismo che determina le cardiopatie è complesso e, a volte, di difficile interpretazione. Le malattie metaboliche sono connesse con l’inquinamento, provocate dai cosiddetti interferenti endocrini. L’effetto di sostanze esogene altera alcune funzioni del sistema endocrino, causando danni. L’esposizione a queste sostanze può fare aumentare il rischio di alterazioni dell’apparato riproduttivo, deficit cognitivi, malattie metaboliche e neoplasie. Gli interferenti endocrini (EDCs) sono sostanze chimiche di ampio utilizzo in grado di alterare il fisiologico funzionamento del sistema endocrino, con conseguente danno per la salute umana e animale, specialmente nei primi anni della vita. Molti EDCs sono lipofilici, quindi favoriscono obesità e diabete. Il Brunek Study, partito nell’estate del 1990, ha arruolato circa 1000 persone con lo scopo di studiare il rischio individuale e le malattie che dipendono dall’età e quindi dal tempo di esposizione. È previsto un follow up a lungo termine, ogni cinque anni. Il prossimo si svolgerà dal novembre 2023 al maggio 2024.

Non è consigliato effettuare attività fisica nei luoghi inquinati a causa dell’esposizione ai microparticolati, mentre è opportuno indossare una maschera N95. Per contrastare gli effetti nocivi dell’inquinamento, è importante seguire un corretto stile di vita e praticare la montagna che permette di respirare un’aria più pulita, di allentare lo stress, di fare attività fisica, a tutto vantaggio della qualità del sonno. Esistono App che indicano la quantità di particolato presente nell’aria.

Marco Vecchiato dell’Unità di Medicina dello Sport dell’Università di Padova, ha parlato dei “Rischi e benefici dell’esercizio fisico in montagna”. Il rischio di malattie causate dall’alta quota esiste di solito oltre i 2000 metri, ma alcuni individui affetti da malattie croniche possono essere in pericolo anche a quote inferiori. Il male acuto di montagna colpisce il 22-53% dei viaggiatori tra 1850 e 4240 metri di altitudine. Tra le emergenze che possono mettere in pericolo la vita l’edema cerebrale d’alta quota (1% dei viaggiatori oltre i 4500 metri) e l’edema polmonare d’alta quota, (10% dei viaggiatori oltre i 4500 metri). L’alta quota può causare effetti negativi sulla funzione cognitiva. Occorre essere prudenti quando si praticano attività rischiose per loro caratteristica nelle prime 24-36 ore anche a quote inferiori a 3500 metri. La VO2 aumenta linearmente quando il carico trasportato aumenta. Incremento di circa il 20% quando si trasporta un peso che corrisponde al 10% del peso corporeo. È consigliato fare soste per consentire il recupero. Lo zaino non dovrebbe pesare più del 10-15% del proprio corpo. Ci si deve proteggere in modo adeguato dai raggi solari (occhiali e creme protettive). L’utilizzo dei bastoncini offre benefici, facilitando equilibrio e stabilità del corpo. Alcuni olii essenziali presenti in natura possiedono proprietà antinfiammatorie. I raggi solari stimolano la produzione di vitamina D e di NO, entrambi con un ruolo nella regolazione del sistema immunitario. Pazienti affetti da broncopatia cronica ostruttiva (BPCO) con ridotto scambio dei gas a livello polmonare, ridotta forza muscolare e modesta-moderata ipertensione polmonare presentano una riduzione di circa il 54% della capacità nel compiere un esercizio fisico a causa dell’ipossiemia arteriosa e della desaturazione. Un’attività fisica submassimale è di solito ben tollerata, monitorando la SpO2 e valutando l’utilizzo di ossigeno supplementare. I pazienti asmatici che vanno in montagna presentano una riduzione dei fenomeni allergici. La minore esposizione agli allergeni determina un calo del rilascio di istamina da parte dei basofili e delle IgE specifiche. L’esercizio può indurre un broncospasmo, in particolare in caso di freddo e di aria secca. I pazienti affetti da asma poco controllato devono evitare l’esposizione all’alta quota. In generale gli asmatici devono seguire vari accorgimenti tra cui proteggere naso e bocca ed effettuare a intervalli regolari la spirometria, per controllare la risposta al trattamento farmacologico. Anche nel caso della BPCO va valutata un’attività fisica di tipo submassimale, monitorando la SpO2 e considerando l’utilizzo di ossigeno supplementare. Per quanto riguarda i pazienti cardiopatici, esistono raccomandazioni redatte da un gruppo internazionale di esperti. I pazienti devono aspettare 6-12 mesi dall’incidente al cuore prima di andare in montagna. Vanno valutate eventuali comorbidità e l’adeguatezza della terapia. Si deve salire in modo graduale. Una volta in quota l’attività fisica deve essere moderata. Per quanto riguarda i diabetici l’altitudine può fare aumentare il rischio di ipoglicemia in quanto pare possa favorire la risposta all’insulina. I diabetici di tipo 1 e 2 bene controllati possono prendere parte con successo a trekking in alta quota se non esistono complicanze di tipo micro e macrovascolare. Per far diminuire il rischio di artropatie e di osteoartriti è opportuno l’utilizzo dei bastoncini che danno maggior stabilità al corpo.

Maria Vittoria Schiaffino della Divisione di Genetica e Biologia Cellulare dell’Istituto Scientifico Ospedale San Raffaele di Milano, ha parlato di “Gestione del diabete di tipo 1 durante l’attività alpinistica”. L’esercizio fisico ha molteplici effetti positivi tra cui l’aumento della sensibilità all’insulina (durante e dopo l’esercizio), la riduzione del glucosio plasmatico, del rischio cardiovascolare, della pressione sanguigna, del grasso corporeo, la perdita di peso, il mantenimento della massa muscolare.

Attualmente molti sono i sistemi di monitoraggio della glicemia, tra cui dispositivi in continuo (time range), tramite sensori posizionati sulla pelle e lettori. Ci sono, inoltre, strumenti che somministrano l’insulina e microinfusori collegati ai sensori.

A meno che non siano controindicati da uno scarso controllo della glicemia e/o da assenza di compliance, l’American Diabetes Association raccomanda regolare esercizio aerobico da moderato a vigoroso, oltre all’allenamento di flessibilità ed equilibrio.

Le risposte della glicemia all’attività fisica nelle persone con diabete sono molto variabili in base al tipo e ai tempi e richiedono aggiustamenti. Esiste una variabilità personale. Sono necessari controlli frequenti della glicemia per regolare l’assunzione di carboidrati e/o la dose di insulina, al fine di mantenere l’equilibrio glicemico durante e dopo l’esercizio. L’attività aerobica a intensità medio-bassa fa diminuire la glicemia (durante e dopo). Qualsiasi tipo di esercizio molto faticoso o stressante per troppo caldo o freddo, o situazioni di tipo emotivo fanno aumentare la glicemia anziché farla diminuire. Lo stesso vale per ogni esercizio svolto in concomitanza di patologie infettive e non. Occorre acquisire una graduale e progressiva consapevolezza riguardo l’effetto delle diverse attività in montagna sull’andamento della glicemia e sul fabbisogno insulinico (boli e correzioni). È bene saper gestire le situazioni difficili in autonomia, con autocontrollo e programmazione. Si deve sempre cercare di evitare le ipoglicemie, magari mantenendo la glicemia più alta (con adeguata scorta di liquidi al seguito per evitare la disidratazione). È bene avere sempre con sé strumenti di monitoraggio e insulina in uso e per ascensioni lunghe/remote anche di backup, nonché una quantità adeguata di carboidrati e acqua; eventualmente glucagone iniettabile (1 mg,). Oltre all’esercizio tenere conto dell’alimentazione, eventualmente portando con sé alimenti a contenuto noto di carboidrati. È normale, dato il numero di variabili in gioco durante una salita, che la glicemia non sia sempre prevedibile, malgrado l’esperienza acquisita, e che una persona con diabete la debba quindi monitorare con costanza ed eventualmente correggere, se necessario con soste addizionali. “Preferirei dunque riferirmi al diabete come ad una condizione di vita che ti costringe a regole e ritmi di vita precisi, ma acquisendo ampi margini di conoscenza e di autogestione, non ci sono limiti ai nostri sogni. Dietro ad ogni salita che mi ha impegnato, si celano innumerevoli errori, fermi e ripartenze, cambi di strategie e tanta, tanta gradualità e perseveranza “(Marco Peruffo, alpinista diabetico).

Lorenza Pratali, cardiologa, ricercatrice dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr di Pisa e presidente della Società Italiana di Medicina di Montagna, ha presentato la relazione dal titolo “La cardiopatia ischemica cronica è una controindicazione alla frequentazione dell’alta quota?”. La relatrice ha illustrato uno studio effettuato in ipossia simulata. La ricerca è stata condotta sulla cima dell’Aiguille du Midi (3842 metri), in Francia, con lo scopo di valutare la funzione endoteliale, che si altera in condizioni di ipossia. Nei soggetti sani l’estrazione dell’ossigeno e il flusso coronarico aumentano in quota. Il flusso coronarico è, invece, ridotto nei soggetti coronaropatici cronici. Si è trattato di un progetto europeo Resamont 2. Scopo dello studio la valutazione della riserva contrattile come possibile indice di suscettibilità, la valutazione del doppio prodotto e della frazione di eiezione all’ipossia nel paziente cardiopatico ischemico confrontato con soggetti apparentemente sani. Sono stati reclutati 70 volontari frequentatori dell’alta quota (>2500 metri slm) afferenti all’Ambulatorio di Medicina di Montagna di Aosta (un gruppo di controllo e un gruppo di soggetti coronaropatici). Il primo giorno i soggetti sono stati studiati ad Aosta (583 metri) (studio basale e studio con ipossia simulata), il secondo giorno sono saliti all’Aiguille du Midi (3842 metri) (studio in ipossia ipobarica dopo 4 ore), il terzo giorno, sempre all’Aiguille du Midi, (studio in ipossia ipobarica dopo un giorno e una notte di permanenza in alta quota).

Sulla base dei dati raccolti non sembrano sussistere particolari controindicazioni all’esercizio e alla permanenza in quota, almeno fino a 4500 metri slm per pazienti con coronaropatia e/o pregressa cardiopatia ischemica a basso rischio (CCS 0-1) e con eco-stress da sforzo negativo in normossia.

Raccomandazioni pratiche per pazienti cardiopatici: in caso di rischio basso (Low risk 0-I) l’attività fisica ordinaria non causa angina; l’angina si presenta per sforzi intensi, rapidi o prolungati. In caso di rischio moderato (moderate risk II) è indicata una lieve limitazione nell’attività ordinaria. Si ha angina camminando velocemente o salendo le scale rapidamente; camminando in salita; camminando o salendo le scale dopo i pasti; se ci si espone al freddo, al vento o per emozioni; oppure ancora solo nelle prime ore dopo il risveglio. Si ha angina camminando per oltre 300 metri in piano o salendo più di un piano di scale a passo normale e in condizioni normali. In caso di rischio moderato (moderate risk III): importante limitazione dell’attività fisica ordinaria. Si ha angina camminando per 150-300 metri in piano o salendo un piano di scale a passo normale e in condizioni normali.

In caso di rischio alto (high risk IV): impossibilità di svolgere qualunque attività fisica in assenza di dolore toracico. Si può avere angina a riposo.

Sara Faggian, dottoranda presso l’Università degli studi di Padova, ha parlato della “Valutazione funzionale dell’arrampicata sportiva: determinanti della performance”. La relatrice ha illustrato i principali test specifici per valutare la forza, la potenza e l’endurance muscolari, la flessibilità e l’equilibrio nonché le caratteristiche antropometriche degli arrampicatori. Ha presentato un protocollo funzionale evidence based.

Giovanni Zaccaria, guida alpina, è intervenuto con la presentazione dal titolo “La montagna ci offre la cornice…tocca a noi inventare la storia che va con essa”. Il relatore ha parlato dell’equipaggiamento e dei materiali che si devono utilizzare nella pratica degli sport in ambiente alpino.

James Lieberman, anestesista della Washington University di Seattle, past president della Wilderness Medical Society, ha presentato una relazione dal titolo “The Wilderness Safety Pause: What Do Doug Thompkins, The Swiss Cheese Model, and “PEEPS” have in common?”.James vive tra Sun Valley, Idaho e Cortina d’Ampezzo ed è un entusiasta dell’outdoor. Il medico statunitense da poco scomparso, Thom (Thomas) Hornbein è stato il suo mentore. Lieberman ha ricordato la scomparsa a 72 anni di Douglas Tompkins, avvenuta martedì 8 dicembre 2015. Fu il creatore dei popolari marchi di abbigliamento North Face e Patagonia. Tompkins è morto in seguito a un incidente in kayak in Patagonia, una regione a Sud del Cile: stava navigando con altri cinque amici nel lago General Carrera quando le loro imbarcazioni si sono ribaltate. Tompkins è deceduto in ospedale diverse ore dopo l’incidente per ipotermia, a causa del tempo passato in acqua, sotto i 4 gradi, in attesa dei soccorsi. “Never stop exploring” era stato il suo slogan. Era nato il 20 marzo 1943 in Ohio e aveva brevemente vissuto a New York prima di trasferirsi a Millbrook, nello stesso stato. Aveva iniziato a fare sport all’aria aperta a 12 anni: soprattutto arrampicata e sci. A 17 anni aveva abbandonato gli studi, incominciando a lavorare ad Aspen, in Colorado, mettendo da parte i soldi per andare a sciare prima sulle Alpi, in Europa e poi sulle Ande. L’”ecomilionario” si è dedicato alla protezione dell’ambiente e agli sport all’aria aperta. Nel ricordare la figura di Tompkins, Lieberman ha fatto presente la situazione di esposizione al rischio che ha provocato la sua scomparsa.  Situazioni nelle quali sono importanti la sicurezza e il pre-check sono il rafting sul fiume, il trekking, lo scuba e i viaggi. Il relatore ha fatto un paragone tra l’aviazione e la medicina, sottolineando l’importanza dell’addestramento mediante l’utilizzo della simulazione in entrambi i campi. L’esperienza permette di prendere in modo rapido decisioni sia in volo che in medicina. Ha citato il modello Swiss Cheese: ogni fetta di formaggio costituisce un sistema di sicurezza, progettato per rilevare gli errori. Lieberman ha parlato dei PEEPS: persona (P), ambiente (E), abbigliamento(E), partner (P) e scenario (S).

Paolo Emilio Adami, Medical Manager of the Health and Science Department at World Athletics -Monaco, Principato di Monaco, ha parlato in remoto di “Condizioni climatiche e rischi clinici associati al trail e al mountain running”.  Il trail running è cresciuto del 231% negli ultimi dieci anni. Le corse stanno diventando sempre più lunghe. Quelle di cinque chilometri rappresentavano dieci anni fa il 75%, mentre ora sono il 45%. I piccoli eventi sono cresciuti del 629% nel corso degli ultimi dieci anni, mentre le corse più lunghe sono aumentate in modo incredibile nello stesso periodo. La differenza di velocità tra uomini e donne diminuisce con l’aumentare della distanza e a distanze superiori ai 300 chilometri le donne sono più veloci. L’età media dei partecipanti è di 39,5 anni. La presenza delle donne è cresciuta dal 13% nel 1997 al 46% nel 2022. Lo scorso mese di giugno si sono disputato a Innsbruck, in Austria, i Campionati Mondiali di Mountain Trail Running, corse su sentieri in montagna (Vertical 1000 metri, Trail Short 45 chilometri, Trail Long 87 chilometri e Mountain Classic 10 chilometri). Tra i fattori ambientali che influenzano il rischio in queste gare: temperatura, variazioni di altitudine, condizioni climatiche estreme o rapidamente variabili, esposizione solare, pollini e inquinamento. Tra le condizioni climatiche ottimali per la corsa di resistenza: temperatura tra 10 e 14°C, bassa umidità, assenza di vento, leggera radiazione solare, bassi livelli di inquinamento (O3, NO2, PMs, pollini). Tra le principali patologie associate al Mountain e Trail Running: colpo di calore e ipotermia, iponatremia da esercizio e disidratazione, rabdomiolisi da sforzo e insufficienza renale cronica, disturbi gastroenterici, sincope da sforzo, lesioni e traumi muscoloscheletrici, mal di montagna, patologie dermatologiche. Tra le conseguenze dell’esercizio a elevate temperature: ridotto volume di plasma da sudorazione (ripercussioni sulla funzionalità cardiovascolare), aumento del flusso ematico cutaneo (riduzione del flusso ematico a muscoli e altri organi), aumento della frequenza cardiaca a ogni carico di lavoro, ridotto pH (acidosi) a carichi di lavoro più bassi, aumento della temperatura del core(effetto enzimatico). La sudorazione, meccanismo fisiologico molto efficace, aiuta a dissipare il calore metabolico. Gli effetti della temperatura durante l’esercizio sono sistemici e influenzano la fatica. L’iponatremia da esercizio fisico (EAH) è caratterizzata da una concentrazione di sodio ematico inferiore a 135 mEq/Litro durante o nelle 24 ore successive a un esercizio fisico prolungato. L’incidenza di iponatremia è stata stimata fino al 51% nelle ultramaratone di 161 chilometri. È più frequente negli atleti amatoriali, in soggetti più lenti, oppure in eventi di lunga distanza. Tra i sintomi principali: confusione mentale, affaticamento, debolezza, irritabilità, capogiro, mal di testa, nausea, ridotta produzione di urina. Nell’EAH presunta o minima si verificano: restrizione di consumo di liquidi isotonici o ipotonici fino a produzione di urine, consumo orale di liquidi ipertonici, se possibile. Nell’EAH moderata o con encefalopatia se non è possibile il consumo orale di liquidi, vanno somministrati in bolo 100 mL. i.v. di soluzione salina ipertonica al 3%, infusi in 60 secondi, ripetendo l’infusione ogni dieci minuti per altre due volte, finché non compaiono miglioramenti clinici. In caso di disidratazione gli atleti di élite possono avere una perdita di peso anche maggiore dell’8%, senza sintomi rilevanti o conseguenze avverse. La riduzione del peso corporeo del 3-5% non deve essere considerata un problema. È bene ricordare il peso corporeo del giorno prima della gara e monitorare il colore dell’urina. Prediligere sempre la reidratazione orale quando possibile. Raccomandazioni per l’idratazione: bere in base alla sete, non bere eccessivamente, bere eccessivamente (overdrink) è più pericoloso della disidratazione, ogni atleta è unico e con bisogni idrici diversi, calcolare la quantità di fluidi persi mediante la sudorazione, per corse più lunghe di un’ora utilizzare una combinazione di acqua e bevande ipertoniche, non utilizzare FANS nei giorni prima o durante la gara. Come conseguenza della rabdomiolisi causata dagli elevati livelli di CK serica e mioglobina a seguito dell’esercizio di resistenza può comparire un’insufficienza renale acuta. Concentrazioni di CK serica uguali o superiori a 20,000 U/L sono comuni in ultramaratoneti. Tra i fattori di rischio: stress termico da calore, disidratazione, problemi renali misconosciuti, utilizzo di FANS prima e durante la corsa, alti livelli di competitività, allenamento non adeguato. I disturbi gastroenterici includono: nausea, vomito, crampi addominali e diarrea. Sono estremamente frequenti e tra le cause principali di interruzione delle corse. Nausea e vomito sono spesso dovuti a una gastro-paresi indotta dall’esercizio, associati a un’eccessiva introduzione di liquidi che rimangono nello stomaco, provocando fastidio. Gastro-enteriti infettive possono predisporre all’insorgenza di colpo di calore. In conclusione si devono studiare le condizioni meteorologiche ed educare gli atleti sull’importanza di controllare il passo e il ruolo della fatica.

Wolfgang Schobersberger dell’University Hospital di Innsbruck e UMIT Tirol, ha parlato di “Trail Run World Championships 2023 Innsbruck/Stubai: From the complex medical management to new study results”. Nel corso di queste gare è stato effettuato uno studio per definire la termoregolazione individuale e le risposte del sistema cardiovascolare in un gruppo di atleti di mountain/trail running e per indagare il sistema emostatico, in particolare la fibrinolisi e i marcatori di infiammazione e per misurare la temperatura del core (telemetric pill), la temperatura della pelle e monitorare l’attività cardiaca (ecg). Non vanno mai sottovalutate le condizioni ambientali (vento, freddo, calore, ipossia). Anche la preparazione della medicalizzazione e del soccorso nel corso di queste gare sono molto importanti.

È seguita la lettura magistrale di Hermann Brugger, vicedirettore dell’Institute of Mountain Emergency Medicine- European Academy Eurac Research di Bolzano, dal titolo “Trent’anni di Medicina d’Emergenza in Montagna: dagli aneddoti alla scienza”.  Notevole è la differenza tra i soccorsi che avvengono nei centri abitati rispetto a quelli che si verificano in montagna. Negli anni sono state effettuate ricerche sui fattori ambientali che influenzano la sopravvivenza. In passato non esistevano data base sulle valanghe. Brugger si è recato in Svizzera per chiedere dati sugli incidenti in valanga, realizzando il primo studio sulla sopravvivenza nei travolti in valanga. L’utilizzo dell’Artva ha ridotto la mortalità dal 70% al 55%. L’utilizzo dell’Airbag ha dimezzato la percentuale di mortalità: dal 22% all’11%. Il medico svizzero Bruno Durrer si è dimostrato molto interessato alla ricerca, ideando i primi algoritmi per il trattamento delle vittime di valanghe e nel trattamento dei pazienti ipotermici. Dal 2009 l’Institute of Mountain Emergency Medicine dell’Eurac di Bolzano sta portando avanti la ricerca. Il primo collaboratore è stato Giacomo Strapazzon dell’Università di Padova, attuale direttore, con 27 ricercatori. Nel gennaio del 2010 sono stati effettuati studi su maiali anestetizzati con nove test pubblicati sulla rivista internazionale Resuscitation. Nel settembre 2011 è stato effettuato uno studio sul nervo ottico dell’uomo sulla cima dell’Ortles a 3800 metri di quota. Nel marzo del 2014 è stata realizzata una ricerca sulla densità della neve. Nel marzo del 2023 è stato effettuato uno studio su un dispositivo norvegese molto interessante che evita l’accumulo di CO2 in una cavità d’aria nei travolti da valanga. Sono state effettuate ricerche sulla sindrome da sospensione. L’Istituto partecipa all’International Alpine Trauma Registry con la raccolta di 400 casi. Brugger ha voluto sottolineare l’importanza della riproducibilità della ricerca sul campo. Brugger è stato l’ideatore del simulatore TerraXCube, una camera climatica e ipobarica (+40°C-60°C) che si trova presso la sede dell’Eurac di Bolzano. Nel novembre 2019 i due alpinisti Simone Moro e Tamara Lunger sono stati sottoposti a test nel simulatore, a una quota di 7800 metri. Alcuni piloti di elicottero sono stati testati fino a 5000 metri di quota. Un gruppo di pazienti cardiopatici è stato studiato a 3500 metri di quota. Brugger ha affermato che, a partire dagli anni ’90, si è verificata una crescita molto rapida di pubblicazioni riguardanti la medicina di montagna. Nel mese di luglio 2016 il medico statunitense Paul Auerbach ha visitato l’Eurac a Bolzano. Nel giugno del 2012 è stato effettuato un corso di training sul ghiacciaio per giovani medici nepalesi. Brugger ha concluso la sua esposizione affermando che “bisognerebbe capovolgere il mondo per cambiare qualcosa”.

Ha concluso il convegno James Lieberman per parlare della Wilderness Medical Society, un’associazione non profit, nata per unire la passione e la professionalità, attraverso la formazione, promovendo, incoraggiando, sostenendo le attività volte a migliorare le conoscenze scientifiche dei soci e del pubblico in generale in un ambiente selvaggio (wild).

 

15.10.23