Gravidanza e montagna: relazione pericolosa?

È consentito alle donne incinte recarsi in alta quota? Si, ma con alcune cautele.

Vietati gli eccessi, a partire da quelli relativi all’altitudine. E nello zaino va messo prima di tutto il buon senso

Giancelso Agazzi

 

Si raccomanda in genere alla donna in gravidanza fisiologica di effettuare una regolare attività fisica, adeguando l’intensità, la durata e la frequenza dell’esercizio alla propria particolare condizione, in modo da non creare problemi al feto.

L’ipossia ipobarica della gravidanza in alta quota costituisce una situazione complessa dove la madre e il feto interagiscono a diversi livelli.

I ginecologi consigliano in genere alle gravide di non superare i 2700 metri di quota.

L’altitudine riduce la quantità di ossigeno nel sangue arterioso e può causare uno stato di ipossia sia nella madre sia nel feto. Le donne che non hanno malattie e che non hanno una gravidanza a rischio possono, comunque, superare i 2700 metri. Viene raccomandato un periodo di acclimatamento di due o tre giorni a 1600 metri qualora si abbia l’intenzione di soggiornare a 2500 metri. L’adattamento materno comprende una variazione della ventilazione, della capacità di trasportare l’ossigeno e della funzione cardio-vascolare. La funzione della placenta è ottimizzata.

Il metabolismo materno “istruisce” il feto a fronteggiare la limitata disponibilità di ossigeno. Se si intende programmare una attività intensa in altitudine, occorre procedere con cautela, specie se non si è adeguatamente allenate ed abituate al tipo di ambiente. Si raccomanda di effettuare un dislivello di 700 metri in alcuni giorni, quindi in modo graduale. La gravidanza non influenza di solito la frequenza delle malattie causate dalla quota, tuttavia, queste ultime possono mettere in pericolo la vita del feto. I farmaci utilizzati per la profilassi ed il trattamento di codeste malattie, come l’acetazolamide (diamox) o altri sulfamidici, sono controindicati durante il primo trimestre di gravidanza dal momento che possono causare danni o sofferenza sia all’embrione sia al feto. Nel corso dell’ultimo trimestre esiste, invece, un aumentato rischio di ittero neonatale. I sintomi del male acuto di montagna (MAM) tra i quali mal di testa, nausea e insonnia, possono spesso essere confusi con quelli causati dalla gravidanza. Comunque sia, nel caso in cui comparissero, è bene ritornare a bassa quota e consultare un medico. La donna gravida non dovrebbe dormire oltre i 3300 metri di quota. Il male acuto di montagna è probabilmente un po’ meno frequente durante la gravidanza a causa dell’iperventilazione.

 L’esposizione della donna gravida all’ipossia in alta quota porta all’acclimatazione che cerca di preservare il feto. I rischi connessi all’attività fisica intensa durante la gravidanza che potrebbero creare problemi al feto sono la riduzione del flusso di sangue alla placenta, seguito da ipossia fetale, ipertermia fetale e riduzione dell’apporto di glucosio. Il feto utilizza alcuni meccanismi di compensazione per poter sopravvivere a brevi periodi di ipossia. L’esercizio fisico in alta quota può provocare un maggiore stress per il feto a causa di una diminuita ossigenazione. I pochi dati che esistono in letteratura circa l’esercizio fisico in alta quota nelle donne gravide suggeriscono che non vadano incontro a grossi pericoli. Va detto, però, che sono state osservate anormalità a breve termine della frequenza cardiaca del feto e complicazioni a carico della madre. Uno studio effettuato dagli obstetrical care provider del Colorado ha evidenziato che un travaglio pretermine e incidenti di tipo emorragico rappresentano le più frequenti complicanze della gravidanza. La disidratazione conseguente a un’attività fisica intensa prima dell’acclimatazione e la pratica di attività fisica con alto rischio di traumi sono eventualità in grado di aumentare il pericolo di complicanze gravidiche. Gli aborti spontanei sono più frequenti in Etiopia e in Tadjikistan, mentre sono rari nelle Ande. Di fatto, nel primo trimestre di gravidanza, esiste un rischio aumentato di aborto spontaneo. Le donne che hanno già avuto un aborto nel corso del primo trimestre di gravidanza o che, per qualunque altra ragione, presentano il pericolo di interruzione spontanea della gravidanza non dovrebbero salire in quota in quest’epoca. L’aumento del rischio di un aborto spontaneo in altitudine è sospettato ma non provato.  Nel secondo trimestre, soggiorni brevi, da poche ore ad alcuni giorni, senza effettuare una attività fisica impegnativa, non espongono a rischi specifici in caso di gravidanza fisiologica a quote fino a 2500 metri. È noto che il tasso di complicazioni legate alla gravidanza aumenta nelle donne che vivono per lungo tempo (più settimane) al di sopra di 2500 metri. Le donne incinte che presentano fattori di rischio per aborto, un ritardo di crescita intra-uterina, ipertensione arteriosa, anemia, malattie cardio-polmonari o sono grandi fumatrici dovrebbero evitare qualsiasi soggiorno in altitudine anche di breve durata a quote che superano i 2500 metri. Quando un soggiorno prolungato in quota è inevitabile, alle future madri sono consigliate visite specialistiche regolari, allo scopo di scoprire eventuali complicanze o per poter porre rimedio a qualsiasi situazione di emergenza. Le patologie legate alla gravidanza sono più frequenti in altitudine, in particolare tra le donne non acclimatate. Il principale rischio è rappresentato dalla pre-eclampsia, che può portare a un’eclampsia, a un ematoma retro-placentare e, nel peggiore dei casi, alla morte del feto. Ciò giustifica un’attenta sorveglianza (pressione arteriosa, dosaggio della proteinuria) e un’ecografia-doppler dopo la ventesima settimana di gestazione. Una ipertensione arteriosa pre-esistente, degli antecedenti o dei fattori di rischio di pre-eclampsia rappresentano controindicazioni a un soggiorno in alta quota.

È molto importante che la gravida si idrati in modo adeguato poiché l’iperventilazione e l’ambiente secco dell’alta quota aumentano il rischio di disidratazione. L’ipertermia influisce in modo negativo sullo sviluppo fetale, in particolare sul sistema nervoso. Nel primo trimestre l’attività fisica è raccomandata durante l’estate nelle ore meno calde della giornata, sempre prestando attenzione a reintegrare i liquidi.

La gravida deve assumere regolarmente, nell’arco della giornata, piccoli pasti invece dei tre pasti tradizionali, per rendere meno impegnativa la digestione, quindi il passaggio all’alta quota. È bene conoscere l’esistenza di strutture sanitarie raggiungibili rapidamente in caso di necessità.

 

In alta quota neonati più leggeri

 

La riduzione del peso corporeo presentato dal bambino alla nascita con l’aumentare dell’altitudine, come noto da tempo, è legato a un ritardo della crescita intrauterina nel terzo trimestre di gravidanza e non a un parto pretermine (prima della trentottesima settimana). Di solito è di 100 grammi ogni 1000 metri di altezza e può essere osservato a partire da 1500 metri. Varia a seconda del periodo in cui le popolazioni si sono stabilite in quota: più marcata in Colorado, intermedia nelle Ande e assente tra i Tibetani. Le popolazioni che si sono stabilite più di recente in alta quota, come quelle del Colorado, di origine europea, o quelle cinesi di origine Han, in Tibet, meglio comprendono i rischi legati alla gravidanza o al parto in altitudine.

Il ritardo della crescita intrauterina è stato attribuito ad un aumento dell’ipossia fetale, come testimonia l’incremento dell’emoglobina nel sangue del cordone ombelicale, segno di un potenziamento sia dell’eritropoiesi fetale sia dell’emoglobina fetale, la quale possiede un’affinità per l’ossigeno maggiore rispetto a quella degli adulti. Molti altri meccanismi di compensazione permettono di ridurre l’ipossia fetale, agendo sulla madre: l’iperventilazione consente di migliorare la SaO2 materna. L’azione del progesterone aumenterebbe la risposta ventilatoria allo stimolo dell’anidride carbonica.

In Perù e in Colorado la riduzione del peso alla nascita è correlata all’iperventilazione materna. Tale meccanismo non ha luogo nei Tibetani. L’assenza del ritardo della crescita uterina potrebbe essere legata in parte ad una maggiore ridistribuzione del flusso sanguigno pelvico verso le arterie uterine. Inoltre, in altitudine la vasodilatazione è meno marcata e il debito sanguigno, alla fine della gravidanza, è minore; l’indice placentare (rapporto tra peso della placenta e peso alla nascita) è aumentato e la morfologia della placenta è diversa. Il volume placentare totale è costante, ma il volume dei villi e lo spazio tra i villi sono ridotti, permettendo di migliorare l’apporto di ossigeno. Nelle Ande queste caratteristiche sono più marcate nelle donne di origine indiana rispetto a quelle di origine europea. Lo stimolo causato dall’ipossia potrebbe spiegare la maggior densità dei capillari.

La maggior parte degli studi su donne incinte in altitudine sono stati effettuati su gravide residenti in quota. Pochi sono gli studi effettuati su donne gravide che vivono sul livello mare e che si recano in altitudine per qualche giorno. Ecco perché la maggior parte delle raccomandazioni sono state estrapolate dagli studi fatti sulle donne native. Durante la gravidanza, come ovvio sia, il perimetro addominale ed il peso corporeo aumentano. Il cambio del baricentro e la lassità articolare possono predisporre alla caduta ed ai traumi, con potenziale rischio di distacco di placenta, per esempio, quando si scia, e conseguente aumentato rischio potenziale per il feto.

 Non esistono studi specifici riguardanti la pratica dell’arrampicata e dello sci-alpinismo nelle gravide. L’imbragatura non dovrebbe mai comprimere l’utero, ma dovrebbe adattarsi al corpo in maniera opportuna.

A una quota moderata (1800-2200 metri) alcune prove da sforzo effettuate nel terzo trimestre di gravidanza hanno evidenziato in un piccolo numero di donne “fisiologiche” che esercizi fisici di breve durata e modesta intensità sembrano non danneggiare il feto. Il pericolo di un esercizio fisico intenso o prolungato consiste nel fatto che il sangue viene sottratto dal flusso utero-placentare a favore dei muscoli, aprendo la strada al rischio di ipossia fetale.

 

DA SAPERE

 

·       I vestiti e le imbragature di una donna incinta dovrebbero avere sistemi di chiusura facili da aprire

·       Possono essere utilizzare bottiglie a collo largo, a forma di imbuto, per permettere di urinare in piedi in tenda, senza dover uscire all’esterno

·       L’esercizio fisico in gravidanza è controindicato in caso di:

 ipertensione arteriosa, pregressi due o più aborti spontanei, rottura delle membrane, sanguinamento, pregresso parto pretermine, ritardo di crescita intrauterina, anemia, diabete, obesità importante, gravidanza multipla, tabagismo.

·       In caso di infezione delle via urinarie o vaginale, è necessario affrontare o proseguire le cure del caso anche durante il trekking o qualunque altra spedizione.

·       Tenere in considerazione i rischi legati al viaggio: lontananza da strutture sanitarie, malattie infettive (per esempio, diarrea, malaria, dengue, epatiti), eventuali conseguenze legate all’assunzione di farmaci utilizzati in profilassi o controindicati (per esempio antimalarici, chinolonici, sulfamidici).

 

DA RICORDARE

·       In gravidanza il rischio ipossico è basso per le donne che intendono intraprendere un trekking all’inizio della gravidanza

 

La gravidanza non è una malattia, ma questo non deve suggerire alcun eccesso.

Il buon senso deve essere il criterio guida per tutta la sua durata.

 

22.01.23

 

 

 

 

 

 

Bibliografia:

 

Med Biol 1999;474:65-77.

 doi: 10.1007/978-1-4615-4711-2_5.

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“Médecine de Montagne”, 5éme Édition,Jean-Paul Richalet, Jean-Pierre Herry, Elsevier Masson, 2017

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“Fisiologia applicata allo sport”, William McArdle, Frank I. Katch, Victor L. Katch, 2009, Casa Editrice Ambrosiana

“Medicina di Montagna”, I manuali del Club Alpino Italiano, Prima edizione, ottobre 2009