ARRAMPICATA: PRO E CONTRO

A maggio si è svolto a Trento un convegno per discutere con gli addetti ai lavori di cura e prevenzione delle patologie a cui espongono le scalate

 

Sabato 4 maggio 2024, la Società Italiana di Medicina di Montagna (SIMeM) in collaborazione con il Trento Film Festival 2024 e la SAT (Società Alpinisti Tridentini) ha organizzato, nella sala Nones del palazzo Benvenuti a Trento, il consueto convegno di medicina di montagna intitolato “I climb, i care: esperienza, prevenzione e cura nell’arrampicata”. Hanno moderato il convegno Stefano Trinchi della SIMeM e Benedetta Siniscalchi della Commissione Medica della SAT.

Dopo i saluti del vicepresidente della SIMeM Luigi Festi, sono iniziati i lavori.

Prima relatrice Lorenza Pratali, past-president della SIMeM e cardiologa del CNR di Pisa, che ha presentato una relazione dal titolo “Nel cuore dell’arrampicata. Adattamenti cardiovascolari nella pratica dell’arrampicata”. I cardiomiociti si adattano all’arrampicata. Si tratta di un tipo di attività sportiva in parte dinamica e in parte statica (forza esplosiva). Il cuore va incontro a un’ipertrofia fisiologica. L’arrampicata può avvenire indoor (boulder, speed, lead) o outdoor (mono o multi tiro). Non esistono lavori riguardanti l’ecocardiografia negli arrampicatori. È stato eseguito uno studio mediante l’applicazione di un catetere nell’arteria femorale in ragazzi che praticano il boulder. Si è notato un incremento della pressione arteriosa del 40-67%. Sono stati misurati valori pressori di 270/150 mm Hg. Anche la frequenza cardiaca aumenta. Il massimo consumo di ossigeno (VO2 Max) è inferiore rispetto alla corsa. Vi è una diminuzione di circa il 45% rispetto al tapis roulanto alla bicicletta. Va considerato anche l’aspetto psicologico dell’arrampicata: la paura o lo stato d’ansia. Lo stress psicologico fa aumentare la frequenza cardiaca. L’arrampicata genera, invece, benessere anche emotivo.

 

Questione di pelle

 

Antonella Bergamo, presidente della commissione medica della SAT ha presentato una relazione dal titolo “La pelle in arrampicata: se trattata bene dura più a lungo”. Nel corso dell’arrampicata la pelle va incontro una certa usura e costituisce una protezione naturale. L’arrampicata comporta una notevole esfoliazione che spesso si associa ad abrasioni. La comparsa di callosità sulle mani o sui piedi degli arrampicatori rappresenta un meccanismo di difesa della pelle. I polpastrelli delle mani si consumano, causando fastidi e dolori. La pelle è un organo che si rigenera in continuazione. L’epidermide presenta sei strati (dallo strato basale a quello corneo), è come un palazzo a più piani. Il ciclo delle cellule dell’epidermide è di 28 giorni. Il pH dell’epidermide è più acido in periferia. Si verifica una continua perdita di acqua (perspiratio cutanea), circa 500 ml/die, che mantiene la temperatura interna stabile. La pelle è in grado di produrre una barriera idratante che la difende da batteri e da agenti esterni. Grazie alla sua composizione chimica leggermente acida è in grado di mantenere costante il pH cutaneo e, neutralizzando le sostanze alcaline, di prevenire la colonizzazione da parte di organismi patogeni. Vi è un film (sottile pellicola) idrolipidico che ricopre tutto il corpo, che mantiene l’elasticità della pelle e idrata in superficie lo strato corneo dell’epidermide. I calli si formano in genere dal momento che si utilizzano scarpe d’arrampicata molto strette o poco comode, espressione di una difesa esterna della pelle. Sono un ispessimento dello strato corneo causato da vesciche o da bolle. Sono di colore giallastro, hanno una forma tondeggiante e una superficie rigida. Le ragadi sono taglietti lineari molto fastidiosi, dolorosi che si possono formare sulle dita, che possono sanguinare, che si possono infettare, e che possono aumentare di dimensione e approfondirsi. Sono favorite da stress meccanico, in particolare da sfregamenti. Spesso recidivano. Importante è detergere la parte lesa con acqua e sapone e disinfettare. Un gel a base di argento possiede un effetto antimicrobico. Utili gli impacchi con creme emollienti, rigeneranti, usando guanti di cotone.

Nel corso dell’arrampicata possono avvenire traumi o infezioni. Il dolore è una costante. Può comparire l’occhio di pernice, chiamato anche tiloma. Colpisce soprattutto i piedi. È un ispessimento cutaneo circoscritto allo strato corneo dell’epidermide, di consistenza dura e doloroso al tatto, cha causa difficoltà nel camminare. È dovuto a uno sfregamento eccessivo.

Anche le unghie dei piedi possono andare incontro a microtraumi, a infiammazioni o a micosi. Può verificarsi il “piede d’atleta”, causato da un fungo. Vi può essere un dolore al tallone provocato dalla scarpetta d’arrampicata. Il morbo di Haglung è un’osteocondrosi caratterizzata dalla comparsa di una protuberanza ossea sul retro del tallone (calcagno), dove si inserisce il tendine di Achille. Causa forti dolori che compromettono l’attività sportiva.

Il sole può causare danni alla pelle degli arrampicatori. Può determinare mutazioni cellulari che si manifestano nel tempo con la formazione di cheratosi attiniche, epiteliomi basocellulari, epiteliomi spinocellulari o melanomi. Si deve cercare di non esporsi troppo lungo al sole, soprattutto nelle ore più calde. È necessario applicare regolarmente più volte al giorno una crema solare con fattore di protezione molto alto, prestando attenzione alle principali zone foto-esposte: viso, orecchie, labbra, mani e cuoio capelluto in caso di calvizie. Si devono scegliere solo prodotti solari con il bollino UVA. La protezione solare non basta. Si devono indossare sempre gli occhiali da sole e cappello o bandana. Altri problemi possono essere causati dalle processionarie o dal morso di zecca, che può trasmettere malattie infettive come la borreliosi (morbo di Lyme) o la TBE. Occorre saper riconoscere gli aracnidi e, nell’eventualità in cui si venga morsi, essere in grado di ricordare quando è avvenuto.

 

Climber: dove si fa male

 

Ha, poi, preso la parola Kelios Bonetti, ortopedico dell’ospedale di Sondalo, con una presentazione dal titolo “L’infiammazione del climber: cos’è, perché e come gestirla?”. L’arrampicata presenta un tasso di infortuni di circa 4,2 per 1000 ore di attività. Gli infortuni alle dite occupano il 57% del totale, con le lesioni alle pulegge che fanno da padrone, oltre a tenosinoviti, lesioni della cartilagine e capsuliti. Seguono, poi, le lesioni della spalla, che rappresentano il 17% del totale, poi, vengono quelle del gomito. Gli infortuni da sovraccarico sono provocati da stress ripetitivo senza un recupero sufficiente e si localizzano soprattutto alle mani e ai piedi, causando tendinopatie. Le infiammazioni nell’arrampicatore sono molto frequenti e, in genere, male trattate. Per il 29,54% degli arrampicatori è normale avere dolori provocati da una lesione o da un’infiammazione.  Quest’ultima determina gonfiore, dolore e una vasodilatazione, con un incremento del trasporto di sangue. Il sintomo dolore rappresenta un campanello d’allarme, che avvisa della presenza di un problema. Il relatore ha sottolineato che non si devono assumere farmaci antinfiammatori o antidolorifici perché l’infiammazione è molto utile per i processi di riparazione. Esiste il rischio di una cronicizzazione dovuta alla mancata riparazione a sua volta legata a un rallentamento del metabolismo. Si possono verificare rotture delle pulegge tendinosiche. Occorre fare riposare le parti danneggiate e l’immobilizzazione a volte può servire. Vi può essere un alto rischio di rigidità. È utile tenere l’arto sollevato per facilitare l’allontanamento dei cataboliti, ridurre l’edema e migliorare il ritorno linfatico.  Si può applicare ghiaccio a livello locale a cicli, non a diretto contatto con la cute per evitare di danneggiarla.  La durata dell’applicazione dipende dal sito. I farmaci antinfiammatori possono essere somministrati dopo la fase acuta, con oculatezza, sotto consiglio/controllo medico. La protezione con nastro per i sei mesi successivi va fatta nella gestione della puleggia tendinea della mano anche se non si avverte dolore.  Il cortisone non va somministrato in caso di danni alla mano. È importante che venga fatta una corretta diagnosi. La riserva funzionale è bassa nell’arrampicata. Nel caso non vi sia una restitutio ad integrum sono possibili recidive. Tra i fattori di rischio salire per primo, magari restando più tempo attaccato a un appiglio, vie lunghe con gradi bassi meno impattanti rispetto a vie ad alto grado, storia di infortuni passati, carico di allenamento. Vi è, poi, la questione dell’età: i soggetti anziani hanno più esperienza, ma più anni di sovraccarichi, mentre i giovani vanno incontro a un maggior rischio di sovraccarico nella fase di crescita, al di sotto di 14-16 ann. La difficoltà di un’arrampicata si valuta applicando una particolare formula che tiene conto di alcune variabili tra cui il grado e la velocità di ascensione. La forza di handgrip può essere indicativa della capacità di gestire le sollecitazioni durante un’arrampicata. Una buona forza di handgrippotrebbe contribuire a prevenire le tendinopatie e a migliorare la stabilità nelle prese. È, tuttavia, essenziale considerare anche altri fattori, come la tecnica di arrampicata e la corretta periodizzazione dell’allenamento, esame posturale e tecnica. Per ridurre gli infortuni da sovraccarico vanno effettuati esercizi di tenuta. Tra le strategie da adottare per la prevenzione: esercizi eccentrici, forza a catena chiusa, controllo del volume di allenamento, programmazione adeguata.

 

I consigli del fisioterapista

 

Il fisioterapista Livio Zerbini è intervenuto per parlare di “Riabilitazione e prevenzione degli infortuni dell’arrampicata”. Si registrano 4,2 infortuni per mille ore di attività (livello medio/basso). I più colpiti sono gli arti superiori, seguiti da spalla e gomiti. Gli infortuni sono causati da eventi traumatici o da sovraccarico. La tempistica del recupero dipende da molti fattori. Occorre aspettare i tempi biologici necessari alla riparazione dei tessuti danneggiati. La mano dell’arrampicatore deve sopportare un carico molto importante. Lo stress che colpisce i tendini può causare una lesione. L’articolazione colpita deve essere protetta per i sei mesi successivi. Nella ripresa dell’attività va rispettata la gestione del carico. Con l’aumento delle difficoltà si assiste a un aumento dello stress. Il carico dell’allenamento va valutato in base al volume del lavoro e all’intensità dell’arrampicata. La scala di Borg serve a valutare la percezione della fatica nel corso di uno sforzo. Un novizio percepisce meno la fatica rispetto a un arrampicatore esperto. Vanno studiati e valutati il carico allenante e il carico medio mensile. Va capito come gestire i carichi, evitando una scorretta calibrazione. Una tendinite trascurata può trasformarsi in tendinosi. L’utilizzo di un dinamometro serve a valutare l’handgrip. Chi ha più forza va meno incontro a infortuni. Se il fisico è bene preparato può assorbire carichi molto importanti.

 

Il parere del veterano

 

È seguito l’intervento di Rolando Larcher, top climber e protagonista del mondo dell’arrampicata italiana da oltre 40 anni, che ha parlato della sua esperienza iniziata nel lontano 1981. Il relatore ha sottolineato l’importanza della consapevolezza che si sviluppa con il mestiere. L’arrampicata, dopo tanti anni, fa parte della sua persona. Importante il ruolo dell’arrampicata di tipo esplorativo. Larcher ha rivolto un messaggio ai giovani che saranno i protagonisti del futuro.

 

Bambini in montagna

 

Antonello Venga, membro della Commissione Centrale Medica del CAI ha parlato di “Fa bene scalare? I bambini e l’arrampicata”. Il bambino nel suo sviluppo passa dal gattonare alla stazione eretta utilizzando gli arti superiori, soddisfacendo il bisogno di movimento e accrescendo le sue capacità motorie. Tende ad andare oltre, cercando di intuire dove poter passare. Nel gioco imita la manipolazione, procedendo per tentativi ed errori. Arrampicare è un movimento istintivo; per questo motivo è praticabile come attività sportiva anche sin dalla tenera età. Ogni individuo che si trovi in età evolutiva o in periodi successivi vive all’interno di un sistema di relazioni tra aree diverse: cognitiva, sociale, motivazionale, emotiva, psicosomatica, affettiva, ludico-sportiva. L’interazione tra queste aree concorre a definire la crescita fisica e psicologica dell’individuo. La conoscenza degli stadi dello sviluppo intellettivo permette di tarare programmi ed esecuzione di esercizi in modo da evitare situazioni di pericolo. Dall’età di tre anni è innato l’istinto di arrampicare. I quattro anni rappresentano l’età per l’avvio in una palestra attrezzata e dedicata. Dai sette anni, essendoci una maggiore consapevolezza dell’altezza, si può passare all’attività outdoor. Dai sette agli undici anni l’arrampicata può diventare lo sport eletto poiché il bambino migliora la condizione motoria, acquisendo il movimento verticale ed è più incline al rispetto dei principi di sicurezza. È consigliato iniziare con il bouldering di altezza limitata, con tanti piccoli massi di colore diverso in base al livello del percorso, senza uso di imbragatura, con eventuale caduta protetta da materassi imbottiti. In alternativa si possono attrezzare pareti in palestra sino a cinque-sei metri di altezza con prese vicine, a formare una scaletta o prese colorate con superficie ruvida e diverse dimensioni contrassegnate da numeri e segni matematici, per favorire l’apprendimento. Si può lasciar cadere il bambino da queste modeste altezze, assicurandolo a una corda con un adulto e indossando un’imbragatura adatta. Il bouldering si rivela un inizio sicuro: i bambini già dai quattro anni possono comprendere le istruzioni e possono risolvere situazioni problematiche (problem solving), Così possono acquisire consapevolezza della situazione per decidere il percorso adatto, migliorare le capacità cognitive, sviluppare la memoria e la concentrazione, diventando più resistenti e abituandosi a cadere. Il bambino sviluppa le attività motorie, si diverte e apprezza il mondo verticale. Si creano percorsi affrontando sempre nuove situazioni anche di instabilità, migliorando sicurezza e autostima. Il bambino è libero di muoversi seguendo il proprio istinto, si può stimolare mediante obiettivi da raggiungere (un oggetto da prendere nel tratto di arrampicata).  Il bambino tocca, manipola e, quindi, si relaziona con sé stesso, compiendo movimenti accompagnati da strategie che lo fanno adattare a quanto sta praticando. La variazione dei movimenti in base a circostanze e situazioni differenti favorisce la creatività, rafforzando motivazioni ed emozioni. L’attività motoria permette sia di esercitarsi, manifestando competenze e capacità, sia di correggere eventuali errori con approccio diverso in ambito sportivo. All’età consigliata si passa dall’arrampicata outdoor, con pareti di facile accessibilità e più vie di livello abbordabile. Va scelto un sito di arrampicata da raggiungere in breve tempo e senza fatica, affinché l’avvicinamento non sia stancante. Bisogna equipaggiarsi in modo adeguato all’ambiente outdoor: scarpe comode, casco, imbragatura idonea all’età, sacchetto con magnesite. Può essere opportuno portare libri o giocattoli con cui impegnare il bambino quando è in fase di riposo. Dal gioco è possibile passar facilmente alla didattica e alla preparazione fisica. L’istruttore deve cercare una perfetta simbiosi tra esperienza corporea e percezione mentale. Devono essere valorizzati strumenti in grado di dare serenità e naturalezza nei movimenti. Il bambino ora conosce doti e limiti, prende confidenza con le emozioni e supera le paure. L’istruttore, il formatore o l’allenatore devono evitare che gli errori si ripetano nel corso dell’attività.  Una specializzazione precoce è controindicata nella formazione. L’abilità non deve essere acquisita mediante pressione, minacce o paure, che generano insicurezza. Il bambino non deve essere motivato come un adulto. Il genitore iperprotegge il proprio figlio e, allo stesso tempo lo costringe ad allenarsi. A volte si aspetta che sia un vincitore, ne limita l’indipendenza. L’adulto bada alla performance, mentre il bambino preferisce il divertimento. L’arrampicata è anche riabilitazione, cercando di rieducare un organismo che è stato offeso.  Rende possibile progressi riabilitativi in piccoli pazienti affetti da problemi motori. Dalla ricerca, ricorrendo all’uso di sensori, che sono in grado di monitorare la distribuzione di forza nel tempo e nello spazio durante l’attività, si è appreso che arrampicare fa bene. In conclusione migliora il tono muscolare, il sistema cardiovascolare, l’apparato respiratorio e il sistema propriocettivo. Il bambino non ha capacità di resistenza a lavori prolungati, ed è dotato di scarsa coordinazione motoria, con conseguenti aumentato dispendio energetico e affaticamento.

 

Lo strano caso della sindrome da sospensione

 

Simon Rauch, ricercatore dell’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano, ha parlato di “Sindrome da sospensione. Mito o realtà?”. Ha citato il caso di una donna che, scendendo con il parapendio, è rimasta impigliata tra degli alberi. È andata in arresto cardiaco. Soccorsa è stata rianimata e ha ripreso conoscenza dopo due minuti. Si è parlato per la prima volta di questa sindrome negli anni ’70 in occasione di un convegno di medicina di montagna organizzato a Innsbruk il 18 novembre 1972. Casi di sindrome da sospensione possono verificarsi nella pratica del canyoning, nell’arrampicata e anche nel mondo del lavoro. Si tratta di un evento raro della cui incidenza nella letteratura scientifica si trova molto poco. Il sangue si accumula nelle vene degli arti inferiori. Meno sangue arriva al cuore che pompa a vuoto.

È stato effettuato uno studio su 20 arrampicatori, che sono stati sospesi per 60 minuti a una corda in due volte: prima, arrampicata e sospensione, poi, solo sospensione. È stata effettuata una valutazione del macrocircolo mediante ecografia di una vena della coscia. Sono stati monitorati in continuo frequenza e gettata cardiache. Il 30% degli arrampicatori è andato incontro a una pre-sincope, in media dopo 45 minuti. Il caso più veloce si è verificato dopo 15 minuti.

È stato osservato che il sangue rimane fermo e si accumula negli arti inferiori (pooling venoso), non riuscendo a raggiungere il cuore e a perfondere il cervello. Nel corso della pre-sincope la frequenza cardiaca cala. Vi è una brusca diminuzione della pressione e della gittata cardiaca. Il tempo di sviluppo della pre-sincope è molto variabile ed è improvviso. Il meccanismo è simile a quello di una sincope vaso-vagale.

Per prevenire la sindrome si deve essere bene idratati, utilizzare imbraghi confortevoli (con imbottiture), prevenire il venous pooling tramite un movimento attivo degli arti, sollevare le gambe in posizione orizzontale, allertare precocemente i soccorsi, trattandosi di una patologia tempo dipendente, porre il paziente in posizione supina, iniziare la PCR (potrebbe verificarsi un arresto cardiaco).

 

Consapevolezza=sicurezza

 

Caterina Mazzalai, istruttrice della Scuola Graffer della SAT, ha parlato di “Consapevolezza dei pericoli: gestione del rischio per la riduzione degli infortuni”.

Le prime scuole del CAI sono nate negli anni ’30. Esistono attualmente più di 200 scuole sezionali del CAI. Vengono organizzati circa 800 corsi con 15-16.000 allievi all’anno. Gli istruttori del CAI sono tutti volontari che operano per passione. Vengono promossi alpinismo, sci-alpinismo e arrampicata.

Il rischio zero in montagna non esiste. Occorre aver consapevolezza dei pericoli cui si può andare incontro. Caldo, freddo, vento, caduta sassi, valanghe, zecche, grandine, temporali costituiscono minacce per chi frequenta la montagna. I pericoli oggettivi spesso sono sottovalutati. Tra quelli soggettivi la distrazione e l’impreparazione. La preparazione tecnica e l’allenamento sono molto importanti nell’arrampicata, riducendo il numero degli incidenti. L’effettuazione di manovre corrette aiuta a ridurre il numero degli infortuni in montagna. Anche la compagnia deve essere giusta, allo stesso livello, garantendo una maggiore sicurezza alla cordata.

Spesso i social condizionano a causa dello spirito di emulazione che si viene a creare. Bisogna saper programmare le attività.  

La tecnica va appresa in modo graduale. In ambiente i gradi di difficoltà sono diversi rispetto alla falesia. Vanno consultati i bollettini nivo-meteo, le relazioni delle vie, consapevoli dei rischi cui si può andare incontro. Si deve saper scegliere e rinunciare se necessario.

 

Emozioni verticali

 

Maria Chiara Pavesi, psicologa della commissione medica della SAT e del CNSAS, ha parlato di “Emozioni verticali, sentirle per viverle”. Si deve imparare a dialogare con le emozioni. I climber raggiungono uno stato di fusione con l’arrampicata, con il gesto, con la roccia. Il “flow” (una condizione emotiva di appagamento) permette di rimanere collegati a ciò che si sta facendo.

Siamo abituati a raccontare le nostre emozioni. Esiste il razionale ed esistono le emozioni. L’emozione è una spinta che abbiamo dentro di noi. Esiste sempre un confronto rispetto alla memoria storica che rimane in noi.  Non sempre si è in grado di prendere le distanze dopo un incidente in montagna.

È seguita alla fine una discussione con molte domande per i vari relatori.

L’arrampicata può essere paragonata alla meditazione come affermato dall’americana Lynn Hill.

 

Il saluto del presidente

 

Il presidente generale del CAI Antonio Montani è intervenuto, durante la manifestazione, per porgere un saluto, comunicando che il CAI entrerà a tutto tondo nel mondo dell’arrampicata sportiva, un’attività educativa per i giovani, con un’apertura, tramite collaborazioni, a livello internazionale. La disciplina aiuta a conoscere l’ambiente naturale. Il progetto Eagle Team ha lanciato un segnale in tal senso.