Parole e foto in ricordo della Guerra Bianca

Nel mese di agosto a Temù Paolo Marini ha presentato il suo libro. È una raccolta di immagini e testi che raccontano in che modo era stata organizzata la logistica sulle montagne dell’Alta Valtellina durante il primo conflitto mondiale

 

Una guerra forse dimenticata quella che è stata combattuta in val Zebrù tra il 1915 e il 1918.

Paolo Marini ha voluto ricordarla in un libro, scritto rispolverando l’archivio del generale Lorenzo Barco (1866-1952), donato nel gennaio del 1940 al Museo del Risorgimento di Milano e ivi custodito.

Si tratta di un volume costituito da immagini e da parole dal lungo ed esplicativo titolo “Le posizioni altissime nel gruppo dell’Ortler-Cevedale 1915-1917 cenni sulle occupazioni e sulle sistemazioni di alta montagna”. A presentarlo, l’autore stesso venerdì 13 agosto 2022 alle ore 21 nella sala conferenze del Museo della Guerra Bianca di Temù in provincia di Brescia.

A differenza degli altri scenari di guerra, le montagne dell’Alta Valtellina hanno visto solo piccoli scontri tra truppe italiane e austroungariche, a eccezione delle battaglie del San Matteo e della Trafoier. Agli inizi del conflitto le alte vette non erano presidiate e, addirittura, alcune postazioni vennero abbandonate, come nel caso del passo dello Stelvio e dello Scorluzzo, quest’ultimo in un primo momento occupato dagli Alpini e, poi, abbandonato e preso nel giugno del 1915 dagli Imperiali che si erano subito resi conto dell’importanza strategica della posizione. Rinunciare a questi punti chiave rappresentò un grosso errore di valutazione da parte dei comandi italiani.

Il generale Lorenzo Barco, appartenente alla 5^ Divisione di fanteria, nel novembre del 1915 assunse il comando del Sottosettore Valcamonica, preparando i piani per le battaglie bianche che, nella primavera del 1916, portarono alla conquista dei ghiacciai dell’Adamello. Alla fine di marzo del 1916 passò al comando del Sottosettore Valtellina, che si estendeva dal passo dello Stelvio fino al Corno dei Tre Signori, nella zona del passo Gavia.

Marini nel suo libro ha pubblicato 103 fotografie in bianco e nero, per lo più inedite. Si tratta di materiale commissionato da Barco e realizzato da alcuni ufficiali distaccati in alta val Zebrù, tra cui due grandi protagonisti della Guerra Bianca: Guido Bertarelli e Pierluigi Viola. Per quanto riguarda i testi Marini ha consultato un volume costituito da 52 pagine, datato 27 novembre 1927, che Barco ha scritto, in collaborazione con i capitani De Giorgis e Lampugnani e dei tenenti Bertarelli e Viola, per documentare la guerra combattuta nella zona della Val Zebrù. Il resoconto non parla della guerra, ma illustra la logistica che era stata adottata in quella zona per il mantenimento delle truppe in condizioni ambientali estreme (linee di difesa, strade, sentieri, baraccamenti, linee telefoniche). Vi vengono descritti i sistemi utilizzati per presidiare le montagne e per trasportare i materiali necessari alla permanenza delle truppe alpine a oltre 3000 metri di quota. Un’appendice del libro è dedicata alle gallerie scavate nei ghiacciai della val Zebrù (circa 11 chilometri) a cura di Guido Bertarelli, che visse per oltre tre anni in quella zona del fronte.

L’area di guerra di cui parla Barco, ha visto impegnato un minore numero di soldati, senza portare a uno spostamento del fronte a differenza di quanto accaduto sull’Adamello.

Nella zona dell’Ortler-Cevedale non furono possibili avanzamenti della prima linea a causa del terreno impervio e di numerose cime di altezza superiore ai 3000 metri. Ardue, inoltre, specie sul versante italiano, erano le vie di accesso alle varie posizioni. Entrambi gli schieramenti erano impreparati ad affrontare le tante difficoltà. All’inizio della guerra vi fu una scarsa presenza di truppe su questa catena di montagne e i comandi stessi consideravano le vette, le creste e i ghiacciai non conquistabili. Di fatto, vi era solo un’attività di pattuglie che controllavano i movimenti di entrambi gli eserciti. Nel 1916 la situazione cambiò ed entrambi gli schieramenti incominciarono a occupare stabilmente cime, creste e passi, con ricoveri e baracche.

Il 22 luglio del 1915 gli italiani si insediarono nella capanna Milano, sulla testata della val Zebrù. La capanna, appartenente alla sezione del CAI di Milano, situata a 2877 metri, era stata inaugurata nel 1884 e ampliata nel 1901, dunque quattordici anni prima. Successivamente divenne centro di difesa della Val Zebrù e sede del comando.  Ai primi di agosto del 1915 si costituiva la Centuria Valtellina, alla cui guida veniva preposto il sottotenente Gianalberto Santini, coadiuvato dal sottotenente Giovanni Mauro. Rispondendo alla circolare che, per la formazione della Centuria, richiedeva volontari disposti ad affrontare i più ardui cimenti sia guerreschi sia alpinistici, il capitano medico Ugo Cerletti si offriva quale medico del nuovo reparto e veniva come tale assunto in servizio.

 Si trattava di un’unità di assalto, composta per lo più da guide alpine e alpinisti, un gruppo di militari scelti, con il compito di effettuare in alta montagna impegnative e rischiose azioni di guerra o di disturbo. Presso la capanna Milano si avvicendarono i battaglioni Tirano del 5° Reggimento Alpini e Val d’Orco del 4° Reggimento Alpini, i cui uomini erano distribuiti in una decina di appostamenti tra i 3000 e i 3720 metri di quota. Leggendario fu il tenente colonnello Carlo Mazzoli, comandante del battaglione Val d’Orco. Organizzò corvée con slitte trainate da asini e da cani per il trasporto di viveri e munizioni sui ghiacciai della val Zebrù.

 

Comandante del fronte austro-ungarico nella zona dello Stelvio era il generale maggiore Frieherr Von Lempruch. Un importante presidio austro-ungarico era la Schaubach hutte, in alta val di Solda.

Venne creato il reparto “Guide Ardite di Val Zebrù” al comando di Giuseppe Tuana Franguel, nativo della Valtellina, e profondo conoscitore di quei luoghi.

Il sottotenente Dino Tarabini fu il comandante della “squadra volante”, un gruppo di Alpini scelti, addestrati per operazioni ad alto rischio in alta montagna. Perì sulla Thurwieser il 31 agosto del 1915.

Un primo sfortunato tentativo per occupare la vetta del Gran Zebrù venne effettuato nel marzo del 1917 dal sergente Carlo Locatelli che al comando di una pattuglia cercò di salire sulla cima seguendo la Suldengrat. Il Gran Zebrù è una montagna imponente, con i suoi canali ghiacciati, tra le più belle delle Alpi Centrali. Venne salito per la prima volta nel 1854 da un chierico ventenne di nome Stefan Steimberger. Il 17 maggio del 1917 una squadra di Schützen di Nauders al comando degli ufficiali Casek e Gerin, occuparono con un’azione straordinaria la vetta del Gran Zebrù a 3859 metri, salendo dal Königjoch, lungo la cresta sud-est. Gli alpini Dell’Andrino, Granil, Canclini e Schivalocchi, guidati da GiuseppeTuana, dopo un accurato studio e una attenta preparazione, salirono lungo il canalone delle Pale Rosse e scavarono una postazione in caverna di tre metri per quattro sulla cresta di Solda, a soli 80 metri dalla postazione austro-ungarica, dove rimasero fino alla fine della guerra, nonostante i ripetuti tentativi del nemico per farli ripiegare. La postazione venne chiamata “nido d’aquila”, un piccolo presidio fuori dalla vista del nemico, che venne servita da una piccola teleferica.


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