“Destinazione  SMALP"

Un ufficiale medico delle Truppe Alpine si racconta

G.C.Agazzi

 

Sono ormai trascorsi oltre trentacinque anni da quando ho prestato servizio militare nelle Truppe Alpine quale ufficiale medico di complemento, ma il ricordo rimane in me vivo. Confesso che questo è stato uno dei periodi più belli della mia vita e non ho paura ad ammetterlo.

Sono partito per al Scuola di Sanità Militare di Firenze il 31 maggio del 1979. Era freddo al mio arrivo. Avevo 29 anni e l’idea di trascorrere tre mesi in quella città non mi dispiaceva.

La Scuola di Sanità Militare per Allievi Ufficiali di Complemento era situata a Costa San Giorgio, in un quartiere giusto dietro i Giardini di Boboli. Ero un giovane medico ed entravo a far parte di un ambiente che non conoscevo. Vi erano allora due Compagnie di A.U.C. e io ero stato assegnato alla  Prima .

Il corso prevedeva lezioni in aula ed esercitazioni pratiche all’aperto

La disciplina era poco severa: era il grande privilegio che toccava a noi medici, come c’era da aspettarsi da un ambiente che accoglieva giovani medici.

Alla fine di agosto, al termine dei corsi e degli esami finali ognuno era stato assegnato ai vari corpi. Avevo chiesto di essere aggregato alla Truppe Alpine, secondo la mia passione per la montagna e seguendo una tradizione di famiglia. Mio padre, infatti, era stato un alpino del battaglione Tirano appartenente al  5° Alpini durante la Seconda Guerra Mondiale e un mio zio ufficiale d’arma del Battaglione Mondovì nel corso della Grande Guerra.

A fine agosto del 1979 ero stato assegnato al battaglione Aosta ed alla Scuola Militare Alpina. Sono uscito con il grado di Sottotenente Medico, una stelletta bordata di rosso sulla spallina contraddistingueva il mio ruolo. Avevo qualche giorno di tempo per presentarmi presso la mia sede. Molti dei miei compagni di corso avevano pianto dopo aver appreso la loro destinazione: il fatto di essere mandati in luoghi lontani o disagiati rappresentava  una disgrazia.

Io, invece, ero felice e non aspettavo altro. Ero riuscito ad andare dove volevo, per trascorrere uno dei periodi più spensierati della mia vita. Avrei fatto il soldato, ma avrei avuto l’occasione di vivere per un anno  sulle montagne della Valle d’Aosta, una valle che peraltro già conoscevo, avendovi soggiornato per anni con la mia famiglia.

Mi sono presentato  presso la caserma Cesare Battisti nel pomeriggio di un giorno di fine agosto.

La Scuola Militare Alpina  era nota per la sua disciplina e conosciuta anche all’estero per la  serietà dell’addestramento.

Entrato in caserma, non conoscevo nulla e mi aggiravo tra i viali per individuare il punto di accoglienza, se così si poteva definire con molto ottimismo. Gli allievi che incontravo si mettevano sull’attenti, facendomi il saluto militare. Ne ero stupito. A Firenze, infatti, non ero abituato a tanta deferenza. Dopo  essermi presentato, venivo assegnato al battaglione Aosta, presso la caserma Testafochi, un battaglione  ridotto di dimensione e di aiuto logistico alla Scuola Militare Alpina, dove sarei stato il responsabile dell’infermeria. Si trattava di un reparto operativo, a reclutamento per lo più piemontese e valdostano.

In effetti, ho trascorso oltre sei mesi della mia permanenza in Valle d’Aosta in montagna a fare manovre, campi vari, oltre a esercitazioni al poligono, o in altre zone limitrofe.

Comandante del battaglione era allora il Colonnello Palla, un militare molto serio e determinato; io ero alle sue dipendenze. Vicecomandante era il maggiore  Stella, uno dei quattro fratelli , noti per i loro meriti sportivi. Comandava allora la Scuola Militare Alpina di Aosta il generale a tre stelle Rocca. Vicecomandante era il colonnello Pasquali, mentre il Comandante di Stato Maggiore era il Colonnello Sterpone.

Prendevo le consegne dall’allora responsabile dell’infermeria Luigi Roffi, un medico internista di Milano, che si stava congedando in quei giorni.

All’infermeria vi erano alcuni aiutanti di sanità : un certo Pozzi, proveniente da Verbania, Pizzi, un messinese  arrivato ad Aosta  a causa di una raccomandazione sbagliata, Montanera un medico aostano.

Io prendevo alloggio in una stanza vicina all’infermeria insieme al Sottotenente Orsi di Parma, che proveniva dalla Scuola di Veterinaria di Pinerolo e che avrebbe seguito le salmerie e il controllo delle derrate alimentari destinate alla Scuola Militare Alpina ed al battaglione Aosta.

Mi ricordo la presentazione presso il Circolo ufficiali del battaglione. Un ambiente  abbastanza  famigliare e simpatico. Alcuni  ufficiali si trovavano ai campi estivi e non erano presenti al mio arrivo in caserma, li avrei conosciuti dopo al loro rientro. Al circolo erano quasi tutti sottotenenti di arma, che erano soliti, rispettando la tradizione, fare qualche scherzo ai nuovi arrivati. Il gruppo degli ufficiali veniva chiamato “Calotta” in gergo militare. Esisteva anche il circolo Sottoufficiali , dove si radunavano sergenti e marescialli. A pranzo e a cena ci si ritrovava sempre ed era un momento di  allegra condivisione.  Ricordo le adunate al mattino, con la presentazione della forza da parte del maggiore Stella. Io, per previlegio di casta, non partecipavo e aspettavo dopo la prima colazione i chiedenti visita in infermeria. Solo i miei aiutanti di sanità partecipavano all’adunata. La vita di caserma era scandita dal suono della tromba che annunciava i vari momenti della giornata: la sveglia, l’adunata, il rancio, la libera uscita, la ritirata, i puniti, i congedanti, il contrappello e così via. Venivo talvolta chiamato per controllare gli alpini messi in cella di rigore alla sera prima del rancio. Al rientro dalla libera uscita a volte venivo consultato per accudire gli alpini ubriachi che rientravano in caserma in condizioni disperate. Anche durante i campi mi toccava a volte accompagnare ad Aosta qualche alpino ubriaco; i valdostani erano soliti alzare il gomito non poco, finendo devastati.

Non ho mai avuto una rassegna del genere umano come durante il servizio militare: uomini normali, ladri, tossicodipendenti, alpinisti, omosessuali, compulsivi, depressi, irosi, rassegnati, etilisti. Davvero di tutto passava ogni giorno in infermeria, cioè da me.

Mi ricordo le varie compagnie del battaglione : la mitica 41^, operativa, comandata dal capitano Cornacchione. La 42^ di reclute, gestita dal Capitano Sapino. C’erano, poi, la Compagnia Comando e Servizi diretta dal Capitano Rolando. Ne facevano parte anche le salmerie, con una ventina di muli, alloggiati nelle stalle in fondo alla caserma Testafochi. Il capitano Alerci era l’aiutante maggiore. Il capitano Urbica, maestro di sci, ed il capitano Fanelli erano pure al battaglione.  Il capitano Contin era all’ufficio addestramento. Gli alpini addetti ai muli erano tra i più terribili, capaci di scherzi pesanti di ogni tipo, compreso i bagni nel letame cui sottoponevano  le giovani reclute in pieno inverno. Mi ricordo una notte di essere stato annaffiato da un grosso gavettone d’acqua, insieme al mio compagno di stanza ufficiale veterinario; a nulla era valso il chiudere a chiave la porta della stanza. Gli “anziani”, infatti, non avevano esitato a  scardinare   la porta della nostra stanza per venirci a trovare. Allora il nonnismo imperversava e non c’era verso di contrastarlo. Con me avevo due animali: un caca da caccia e un corvo che amava l’infermeria.

La mia attività  di ufficiale medico si svolgeva in infermeria.  Dovevo controllare l’andamento igienico-sanitario della caserma. Mandavo i militari ammalati in osservazione presso l’ospedale militare Riberi di Torino. Ogni tanto andavo presso la farmacia dello stesso ospedale per ritirare i farmaci che servivano in infermeria; ricordo le sacche di plastica contenenti rhum o cordiale che la farmacia dava in dotazione all’infermeria e che utilizzavamo in marcia. Ogni mese dovevo vaccinare le reclute che venivano assegnate al battaglione e mi ricordo i vari malori degli alpini impauriti alla visione delle siringhe contenenti il vaccino.  Così impauriti che neppure le figure porno diligentemente appese all’interno degli armadietti dell’infermeria avevano il potere di distrarli.

Le vaccinazioni venivano fatte di venerdì e  i militari, dopo la somministrazione, avevano diritto a  qualche giorno di riposo.

In settimana presenziavo ai tiri presso il poligono di Boutier, sopra Aosta. Io partivo con l’ambulanza e dovevo, arrivato in poligono, starmene un giorno intero seduto vicino alla linea di fuoco pronto ad intervenire in caso di necessità; alla fine ero quasi sordo nonostante l’elmetto ed i tappi alle orecchie per il rumore provocato dai fucili e dalle mitragliatrici.

Andavo pure nell’area addestrativa di Pollein dove gli alpini facevano il percorso di guerra o effettuavano i lanci delle bombe a mano. Durante i campi dovevo presenziare agli assalti a fuoco.

In qualità di pubblico ufficiale dovevo effettuare  sia visite fiscali all’esterno, per i dipendenti statali , sia  perizie necroscopiche per ordine dell’autorità giudiziaria che le richiedeva.

Dovevo recarmi presso l’ospedale Mauriziano di Aosta per accertarmi delle condizioni di salute di militari ricoverati.

Di sabato e domenica gli ufficiali medici della Scuola Militare Alpina dovevano essere a disposizione a turno per operazioni di soccorso con l’elicottero. La base era presso l’eliporto di Pollein ad alcuni chilometri da Aosta. Allora eravamo in sei ufficiali medici a ruotare per questo tipo di attività: quello del battaglione Aosta e gli altri dell’Infermeria Speciale della caserma Cesare Battisti.

 Partecipavo alle marce e ai campi  sia estivi sia  invernali al seguito del battaglione Aosta o delle due compagnie di AUC, partendo dalla caserma a volte a piedi o con l’autocarro

Alcune volte si faceva base presso la caserma Monte Bianco di La Thuile, dove al tempo era di stanza il battaglione Esploratori della Scuola Militare Alpina , comandato dal tenente De Cassan. Raramente si andava a Courmayeur presso la caserma “Perenni”, dove si trovavano gli atleti di elite, tra cui, per esempio, Karl Trojer, famoso slalomista.

Durante i campi si rimaneva in montagna per quasi un mese, dormendo d’inverno nelle trune,  buche scavate nella neve e coperte da teli tenda e dagli sci che servivano da intelaiatura, oppure nelle baite o nei fienili. Si marciava con il bel tempo, ma anche con la pioggia o con la neve.

Dopo ogni marcia dovevo visitare e medicare gli alpini che avevano problemi ai piedi, quasi sempre a causa delle vesciche che si formavano.

Si portavano grossi zaini,  e, d’inverno, anche gli sci, talvolta,  oltre a piccozze, corde, ramponi, imbragature da arrampicata, e caschi. Partecipavo anche alle esercitazioni su roccia, in palestra  o in ambiente. A volte erano ospiti della Scuola Militare Alpina gruppi militari  di altre nazionalità, inglesi o  americani per lo più, per effettuare esercitazioni congiunte. Si affrontavano divertenti ascensioni, come salire   lungo la via normale del Gran Paradio o del Ruitor. In primavera o in inverno si raggiungeva al vallone di Orgère, sopra La Thuile, per eseguire  manovre su terreno alpino. D’estate si andava, invece, nel vallone di Menouve sopra Etroubles, nella valle del Gran San Bernardo.

Amavo questo tipo di vita  e,  anche quando avevo tempo libero, andavo in montagna.

Avevo poco interesse a tornare a casa, e, durante le brevi licenze, preferivo rimanere in valle per fare qualche  ascensione. Durante questo periodo della mia vita ho fatto molte amicizie con guide ed istruttori militari e non. L’ambiente era molto stimolante e mi sentivo completamente libero di fare ciò che volevo, nonostante la disciplina militare che mi imponeva le sue regole severe.

 Con alcuni compagni di naja ho stretto una intensa amicizia che perdura anche dopo più di trent’anni.