Trapiantati d’organo e Montagna

Salire (ancora) dopo un trapianto di organo

 

In un passato non troppo lontano sembrava fantamedicina, invece oggi la scienza ha detto sì alle escursioni con un cuore, o un fegato,o un polmone o un rene nuovi

 

Gege Agazzi

 

Ciò che un tempo la scienza non avrebbe condiviso é divenuto in questi ultimi anni realizzabile. È il caso dei trapiantati di organo che riescono a svolgere un’attività fisica quasi normale anche in ambienti particolari come la montagna. Possono praticare svariate sport come lo sci, l’arrampicata e il trekking.

Facendo riferimento a uno studio effettuato nel 2016, si può affermare che i trapiantati di organo possono affrontare l’ambiente alpino con una certa sicurezza, dopo un periodo della loro esistenza che ne ha molto limitato lo stile di vita. Il camminare in montagna può portare a questi soggetti dei notevoli vantaggi. Tuttavia l’ambiente alpino presenta oggettive difficoltà: la temperatura, non sempre clemente (sia in più sia in meno), l’umidità, il vento, le radiazioni solari, l’ipotermia, la disidratazione, la diminuzione dell’ossigeno (ipossia ipobarica).

Non esistono molti studi in letteratura sui soggetti che sono stati sottoposti a un trapianto d’organo.

Già sette anni fa, si è affrontata la questione questione nel corso di un convegno svoltosi a Trento e organizzato dalla Società Italiana di Medicina di Montagna, in collaborazione con il Trento Film Festival 2013, con la Commissione Centrale Medica del CAI e con l’Ordine dei Medici della Provincia di Trento. C’è chi ha salito il Kilimangiaro e chi i quattromila delle Alpi. Ma una cosa è certa: tornare in montagna per chi è stato sottoposto a un trapianto é una possibilità concreta e, se affrontata nei giusti termini, anche salutare. Oggi la medicina ha fatto passi da gigante, regalando nuove possibilità ai pazienti che prima avevano poche speranze di tornare in attività.

 Il Prof. Jacques Pirenne, chirurgo che si occupa di trapianti a Lovanio in Belgio, é riuscito a portare nel 2003 cinque dei suoi pazienti trapiantati di fegato sulla vetta del Kilimangiaro. Ciò è avvenuto a due anni dall’intervento. Uno solo non è riuscito a raggiungere la cima a causa di una recidiva dell’epatite che lo aveva colpito e per la quale era stato sottoposto a trapianto. La spedizione organizzata da Pirenne ha avuto un grande effetto sulla popolazione belga, portando ad un aumento dei trapianti e delle donazioni di organo. Determinanti per un soggetto trapiantato che voglia riprendere a fare attività in montagna sono la preparazione fisica e mentale, la tecnica, le condizioni atmosferiche, l’esperienza personale, la logistica, le guide.  Niente di diverso, comunque, di quello di cui devono tenere conto anche le persone non trapiantate. I cinque soggetti che hanno raggiunto la vetta del Kilimangiaro (5595 m.) non hanno avuto problemi particolari. Pirenne oltre che chirurgo è un alpinista che ha salito tutti i “Seven Summits”, le sette montagne più alte dei vari continenti. Alcuni trapiantati hanno raggiunto la vetta dell’Island Peak in Nepal (6189 m.).

Enrico Donegani, cardiochirurgo e past president della Commissione Centrale Medica del CAI, ha parlato dei trapiantati di cuore che vogliono riprendere ad andare in montagna. Il ritorno in montagna presenta in questi trapiantati alcuni problemi. Rispetto al fegato, il cuore è, infatti, un organo più particolare. Il cuore trapiantato è denervato e risponde solo alle catecolamine. La frequenza cardiaca a riposo nel trapiantato è più alta. La regolazione simpatica è più lenta. Vi è un’alterata vaso -regolazione coronarica. Il precarico é alterato a causa di alcuni ormoni (ormone natriuretico atriale che determina aumento della diuresi). La pressione polmonare è elevata. Anche le dimensioni del cuore non sono le stesse. La risposta circolatoria è ridotta. Si possono pure verificare alterazioni strutturali a livello muscolare. Nel post- trapianto si può andare incontro ad alcune complicazioni quali ipertensione arteriosa, infezioni, dislipidemie, diabete mellito, disfunzioni endocrine dovute alla terapia che é d’obbligo venga seguita. Va effettuato un accurato programma di training aerobico e di potenziamento muscolare. È difficile dare consigli e fare considerazioni. Unica cosa è usare bene il buon senso. Solo dopo un anno dal trapianto si consiglia di riprendere l’attività in montagna.  Il rischio di rigetto acuto per la maggior parte di soggetti é più elevato nell’anno che segue il trapianto. Ogni soggetto dovrebbe sottoporsi a una visita specialistica cardiologica, comprendente il controllo della pressione arteriosa, un’ecocardiografia, un Holter cardiaco e un elettrocardiogramma. Il trapiantato non dovrebbe superare superare i 3000 metri di quota. La terapia va seguita con rigore (ma questo a prescindere). I trapiantati di cuore non vanno incontro all’aumento della frequenza cardiaca dovuta alla risposta del sistema nervoso simpatico in alta quota, essendo il loro miocardio denervato. La risposta della pressione arteriosa è inalterata, cioè più si sale più può tendere (può!) ad aumentare e questo vale per tutti.

 Donegani ha parlato di un trapiantato cardiaco che nel 1995 a 34 anni ha salito alcune cime tra le quali il Cervino. Un alpinista canadese di 36 anni ha salito il monte Sajama, in America Latina, fino oltre i seimila metri di quota. Un altro alpinista trapiantato di 30 anni nel 2005 ha salito il Monte Vinson (4897 m.) in Antartide. Un alpinista canadese ha salito il Mera Peak nel 2000 in Nepal.

Il nefrologo trentino Giuliano Brunori ha parlato della pratica della montagna nei trapiantati di rene. Jospeh Murray (1919-2012) è stato il medico americano, premio Nobel per la medicina nel 1990, che ha inventato il trapianto di rene. Prima esisteva solo la dialisi renale. Brunori ha ricordato che un soggetto dializzato ha salito il Cervino nel 2008. La free climber Sara Grippo, trapiantata di rene, originaria di Paesana in Valle Po, ha ripreso ad arrampicare. L’utilizzo dell’Eritropietina ha portato grandi vantaggi ai nefropatici cronici, curando il loro stato di anemia. Questo farmaco fa il miracolo, rendendo possibile ai nefropatici di raggiungere vette un tempo considerate irraggiungibili. Brunori ha citato il caso di un soggetto di 30 anni che all’età di 15 anni è stato sottoposto a doppio trapianto di fegato e di rene. Questo ragazzo ha salito cime di quattromila metri nelle Alpi.Complicanze possibili per i trapiantati di rene sono, anche a in parte a causa della terapia immunosoppressiva, le dislipidemie, l’ipertensione arteriosa, l’obesità, il diabete mellito, la sindrome metabolica. L’incidenza delle malattie cardiovascolari è 4-6 volte maggiore rispetto ai soggetti sani. Nel trapiantato di rene si sviluppa nel tempo un quadro infiammatorio di tipo cronico che porta alla diminuzione della massa magra. Nei trapiantati di rene inattivi il rischio di morte risulta 8 volte maggiore rispetto ai trapiantati che fanno movimento con regolarità. Ma non solo: nel tempo la funzione renale aumenta nei trapiantati attivi fisicamente rispetto ai meno attivi. Ecco perché è indispensabile che comprendano quanto sia importante non svolgere una vita sedentaria. Il movimento ha anche un effetto positivo sull’umore, a tutto vantaggio di una migliore qualità della vita. Sei soggetti trapiantati di rene da almeno dieci anni e dieci soggetti sani di controllo si sono sottoposti ad una prova di resistenza nel deserto per 5 giorni. Le risposte dell’organismo all’ambiente ostico si sono dimostrate uguali in tutti i soggetti, senza alcuna differenza. Il trapiantato di rene deve idratarsi in modo corretto, evitare sforzi prolungati (lo sforzo deve essere calibrato), non assumere farmaci antinfiammatori non steroidei, mangiare frutta e verdura. Deve fare attenzione alla massa muscolare a causa dei farmaci assunti. Il trapiantato deve conoscere bene il percorso che effettua e evitare le ore più calde della giornata.

Nei soggetti che hanno subito un trapianto di polmone la funzione polmonare dopo il trapianto si normalizza dopo 3-6 mesi.

L’attività fisica in montagna va sospesa nel caso di manifesti sintomi, segni o qualsiasi altra evidenza che segnalino un rigetto acuto fino a che una valutazione medica autorizzi di nuovo la frequentazione della montagna dopo un’attenta valutazione.

Particolare attenzione va posta nei confronti delle infezioni dal momento che i trapiantati assumono farmaci immunosoppressori.

 

I soggetti trapiantati devono preoccuparsi della protezione contro i danni provocati dai raggi solari. La pelle va protetta in modo adeguato usando creme e indossando indumenti tecnici, coprendo il capo e portando gli occhiali da sole.

Dai pochi studi presenti in letteratura si può affermare che l’incidenza del male acuto di montagna (AMS) tra i soggetti normali è uguale a quella dei soggetti trapiantati d’organo. Non si sono registrati casi di Edema Cerebrale o Edema Polmonare d’alta quota. La profilassi e il trattamento delle patologie causate dall’alta quota sono gli stessi previsti per i soggetti sani. I trapiantati dovranno, però, nella scelta e nella posologia del farmaco tenere conto sia della funzionalità renale, sia delle interazioni con le medicine che già stanno assumendo.

 

 

 

 

In provincia di Bergamo è nata l’idea di effettuare alcune escursioni in montagna per ricordare Luisa Savoldelli, trapiantata di fegato per la prima volta negli anni ’90, che ha riscoperto con gli amici ed i familiari il piacere di poter andare in montagna, godendosi la natura, l’aria e il sole. Luisa ha vissuto per oltre vent’anni con un fegato trapiantato. Il progetto “A spasso con Luisa” continua da anni con successo ed é stato promosso dall’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII° di Bergamo, in collaborazione con la Commissione Medica della Sezione del Club Alpino Italiano di Bergamo e con l’Associazione Amici del Trapianto di fegato Onlus. L’iniziativa supporta il riavvicinamento all’attività sportiva di pazienti che hanno subito un trapianto principalmente di fegato. Promotore e anima del progetto è stato Silvio Calvi, trapiantato e past president del CAI Bergamo.

«L’idea é mettersi in gioco con tanta serenità, stabilendo una rete di contatti umani che finisce per essere supporto importante agli studi scientifici legati ai trapianti e al decorso post intervento», ha precisato Silvio Calvi. É stato stilato un programma mirato a ristabilire la confidenza del trapiantato nelle proprie risorse fisiche e a misurare con idonei test i possibili miglioramenti nel benessere psicofisico. Sono state necessari test preliminari, sia per certificare l’idoneità dei partecipanti alle escursioni, sia per valutare in termini quantitativi gli eventuali benefici. La quinta edizione di “A spasso con Luisa” si è svolta dal 31 marzo al 30 giugno del 2019, con escursioni domenicali, ogni due settimane.

La sesta edizione si terrà dal 5 aprile al 28 giugno del 2020: sono previste sette escursioni. Per altre info si può scrivere a silviocalvi@tin.it, oppure a giannyalfieri@hotmail.it