Toni: avvocato, guida alpina e mito

A cinquantadue anni dalla scomparsa, un ricordo di Antonio Gobbi, a cui la proverbiale prudenza non bastò a salvarlo da una valanga assassina

Antonio Gobbi, per tutti Toni, nacque a Pavia il 18 giugno 1914, discendente di una famiglia emiliana. Venne arruolato nella Scuola Allievi Ufficiali di Bassano del Grappa nel 1939 e, successivamente, trasferito alla Scuola Militare Alpina di Aosta come tenente istruttore di alpinismo. Nel 1940 si laureò in legge presso l’università degli studi di Padova, per, poi, esercitare la professione di avvocato nello studio paterno. Si avvicinò alla pratica dello sci e all’alpinismo frequentando l’associazione Giovane Montagna di Vicenza, di cui a un certo punto fu anche presidente. L’8 settembre del 1943 si stabilì a Courmayeur in Val d’Aosta. Qui conobbe Romilda Bertholier, valdostana, figlia di una celebre guida alpina e se ne innamorò.  Proveniva da una famiglia di artigiani, costruttori di attrezzi per alta montagna, piccozze in particolare, che gestivano il rifugio del Pavillon al Mont Fréty, ora dedicato alla memoria sua e del marito. Toni Gobbi fu un uomo atletico, di corporatura imponente. La sua passione per la montagna lo spinse a diventare nel 1943 portatore, guida alpina nel 1946 e nel 1948 maestro di sci. Ebbe due figli: nel 1945 Gioachino e nel 1949 Barbara. Divenne imprenditore valido ed entusiasta, gestendo dal 1948 un negozio di articoli sportivi a Courmayeur con annessa la libreria delle Alpi. Il negozio divenne un importante riferimento per gli appassionati di montagna e un luogo di ritrovo internazionale.

Fu anche giornalista e nel 1950 vinse il Premio Saint-Vincent per il giornalismo. A partire dal 1951, iniziò ad organizzare le ”Settimane Nazionali Sci-alpinistiche sulle Alpi”, e accompagnò alcuni sci-alpinisti  in varie parti del mondo, tra cui il Caucaso (1966) e la Groenlandia (1969). Tra il 1951 e il 1970 organizzò in modo straordinario 107 settimane sci-alpinistiche con 742 giornate, con 570 partecipanti.

 Le sue imprese alpinistiche più famose furono le salite in inverno della cresta sud dell’Aiguille Noire de Peuterey nel 1949, la cresta des Hirondelles delle Grandes Jorasses nel 1948 e la salita lungo il versante della Brenva al Monte Bianco lungo la via Major nel 1953. Nel 1957 realizzò la prima salita del Grand Pilier d’Angle in cordata con Walter Bonatti. Nello stesso anno prese parte alla spedizione italiana alle Ande Patagoniche diretta da Guido Monzino, raggiungendo la vetta del Paine Principal. Nel 1958 partecipò alla spedizione nazionale del Club Alpino Italiano al Gasherbrum IV in Pakistan con  a capo Riccardo Cassin,  Walter Bonatti e Carlo Mauri. Nel 1948 entrò a far parte del Groupe de Haute Montagne (GHM). A partire dal 1965 divenne membro dell’Alpine Club di Londra.

Dal 1957 al 1966 fu presidente del Comitato Valdostano Guide e, successivamente, del Consorzio nazionale guide e portatori del Club Alpino Italiano.

La mattina del 18 marzo 1970 un gruppo di sci-alpinisti era partito alle 5,30 dall’albergo Kristiania di Selva di Val Gardena.  Era la cosiddetta “settimana dei Monti Pallidi”. La meta era la vetta del Sasso Piatto, una cima dolomitica situata a poca distanza dal Sasso Lungo. Il gruppo era condotto da Toni Gobbi e da Mario Senoner, coadiuvati da Remo Passera, guida alpina di Gressoney e da Mirko Minuzzo di Cervinia. Dall’Alpe di Siusi la comitiva si diresse verso le pendici sud-ovest del Sasso Piatto. Il programma era di scendere a Campitello di Fassa, di risalire alla forcella del Sasso Lungo e, poi, far rientro a Selva di Val Gardena. Una volta giunti alla base del Sasso Piatto, gli sci-alpinisti si legarono in cordata, abbandonando gli sci, per raggiungere la vetta a piedi. In tarda mattinata un vento caldo proveniente da sud-est aumentò la temperatura esterna. Il gruppo incominciò, poi, a scendere lungo la verticale dalla cima proprio per evitare il distacco di qualche valanga. Ma la prima cordata, quella di Toni Gobbi, di Mirko Minuzzo e di altri quattro clienti venne travolta da un lastrone di neve che fece precipitare i sei sci-alpinisti, facendoli cadere rovinosamente per circa trecento metri. La cordata andò a sbattere contro le rocce. Nell’urto violento morirono in quattro. Minuzzo e un altro cliente si ferirono  gravemente, ma si salvarono. Dietro di loro Senoner e tre sci-alpinisti e Passera con altri tre assistettero impotenti alla tragedia. Mio padre non faceva parte della sfortunata cordata, ma ne fu spettatore. Da molti anni frequentava le “settimane” di Toni Gobbi, al quale era molto affezionato. Avrebbe dovuto legarsi quella mattina con Toni Gobbi, ma, poi, era stato deciso diversamente. La sorte l’aveva voluto risparmiare. Subito dopo l’incidente scattarono i soccorsi. I feriti furono trasportati in ospedale, mentre le salme vennero portate a valle al rifugio Gardeccia. Fu una grave perdita per il mondo dell’alpinismo, tanto più che Toni Gobbi era famoso per la sua prudenza: nel corso della sua carriera non aveva mai avuto incidenti.

Mio padre al ritorno da quella gita, che segnò il destino di Toni, ma miracolosamente non il suo, mi raccontò della disgrazia e, forse, neanche lui sapeva che in me le sue parole colme di dolore avrebbero lasciato un segno indelebile.