5° Congresso Medici di Montagna Francofoni 2020


 

A Jouvence, in Quebec, dal 22 al 26 gennaio 2020 si è svolto il 5e Colloque de Medicine et d’Aventure, convegno dei medici di montagna francofoni, che hanno affrontato i numerosi temi relativi alle evenienze cliniche che possono verificarsi in ambiente alpino.

 

Jasmin Lienert: il trattamento dei traumi

 

La prima relatrice è stata Jasmin Lienert, medico dell’emergenza della base Air Glaciers di Sion e dell’ospedale di Berna che ha parlato di come fronteggiare un trauma. In caso di interessamento della colonna vertebrale il primo step è rappresentato dall’immobilizzazione, da mantenere fino alla radiografia in ambiente ospedaliero. Dopo di che si deve utilizzare il collare cervico-toracico, somministrare l’ossigeno, e infondere liquidi. Uno studio realizzato nel 1979 ha evidenziato che fino al 50% dei soggetti feriti che sono stati vittime di incidenti hanno subito una lesione al rachide. Attualmente l’incidenza delle lesioni del rachide è in diminuzione, probabilmente per le maggiori misure di prevenzione e la superiore accuratezza delle prime manovre di soccorso Nonostante questo, ancora oggi si discute sull’opportunità dell’immobilizzazione. L’applicazione di un collare cervico-toracico rigido oltre a richiedere più tempo ai soccorritori, può provocare dolore, agitazione, compromissione delle vie aeree, diminuzione del ritorno venoso, a volte peggioramento neurologico, quindi ci sono casi in cui è opportuno limitarsi a stabilizzare l’infortunato sulla tavola spinale, evitando questo presidio. Va detto, inoltre, che, nel caso di traumi cervicali penetranti, non si deve ricorrere all’immobilizzazione, pena un aumento della mortalità. Si tratta di raccomandazioni basate sull’esperienza clinica. Interessante l’utilizzo della Proteina S 100 B nei traumi cranici minori, quale marcatore di danno cerebrale primario, per evitare un utilizzo eccessivo della diagnostica per immagini (Tc).

 

Éric Notebaert: le emorragie del traumatizzato

 

Éric Notebaert, medico di medicina d’urgenza dell’Hôpital du Sacré Coeur di Montreal ha parlato delle novità a proposito delle emorragie nel traumatizzato nella fase preospedaliera e in urgenza. Facendo riferimento a una meta-analisi effettuata su 24 studi il relatore ha affermato, valutando i rischi e i benefici della rianimazione ipotensiva, che si evidenzia una diminuzione di mortalità tra i pazienti emorragici ipotesi, con un diminuito utilizzo di globuli rossi concentrati, minor somministrazione di cristalloidi, minor disfunzione degli organi. Si assiste al ritorno dell’utilizzo del sangue intero, più efficace e più facile da gestire anche in ambiente impervio.  L’infusione di plasma fresco congelato nei pazienti emorragici durante il trasporto aereo fa diminuire la mortalità. Il PAMPER Trial ha evidenziato (N Engl J Med 2018; 379:315-326DOI: 10.1056/NEJMoa1802345) in uno studio effettuato su 501 pazienti che 230 sono stati trattati con plasma fresco congelato e 271 sono stati, invece, rianimati secondo i trattamenti standard. A trenta giorni i primi hanno avuto una minore percentuale di mortalità. Il beneficio diminuisce nei soggetti trasfusi in modo massivo.

In un esame retrospettivo della letteratura (piuttosto scarsa) circa l’utilizzo di lacci emostatici si evidenzia che spesso vengono posizionati da personale non sanitario, sono facili da utilizzare e sono efficaci e sicuri nel 78-100% dei casi con rare complicazioni.

La tecnica REBOA rappresenta una nuova frontiera per il trattamento delle emorragie interne non comprimibili. Lo shock emorragico non controllabile rappresenta il fattore primario per la mortalità precoce nel paziente vittima di un trauma. È in questo contesto che si inserisce la tecnica REBOA, che consiste nel gonfiaggio di un palloncino all’interno dell’aorta in grado di arrestare l’emorragia e dare maggior tempo all’équipe chirurgica per intervenire. Il palloncino va posizionato al di sopra della zona in cui è avvenuta l’emorragia. La tecnica viene utilizzata soprattutto nei traumi addominali e pelvici. Esistono solo due studi in fase pre-ospedaliera. Ne vanno meglio definite le indicazioni e sarebbe bene creare un registro per raccogliere i vari casi. Si tratta di una misura temporanea, di facile utilizzazione e priva di conseguenze. Air Zermatt ha stilato una “check list” circa l’utilizzo degli emoderivati in ambiente pre-ospedaliero.

Si può considerare l’utilizzo della vasopressina nei casi di shock.

 

Matthieu De Riedmatten: traumi cranio-cerebrali gravi

 

Matthieu De Riedmatten, anestesista di Sion, past president del GRIMM (Groupe d’Intervention Médicale en Montagne), ha parlato dei traumi cranio-cerebrali di tipo severo. La presentazione ha avuto inizio con la descrizione di un caso a lui capitato riguardante un giovane free rider di 24 anni vittima di un grave incidente e che, nonostante un severo trauma cranico, si è ripreso completamente. Il relatore ha sottolineato l’importanza della prevenzione, in particolare dell’uso del casco. L’83% dei traumi cranici gravi va incontro a una cattiva evoluzione clinica. Nei due terzi dei casi i traumatizzati non sono professionisti. L’incidenza è di 10,58 casi per centomila abitanti all’anno. L’età media dei traumatizzati cranici severi è in aumento nei paesi sviluppati. Per prima cosa va effettuata sul terreno una valutazione clinica della gravità in base al Glasgow Score. I traumi cranici severi hanno un Glasgow Score <9 dopo una rianimazione non chirurgica (intubazione, mannitolo, infusione di liquidi per via endovenosa). La mortalità supera il 40%. Si può effettuare, poi, in base ai risultati della Tc, in ospedale, la classificazione di Marshall, che valuta i pazienti in base al tipo di lesione. In seguito il traumatizzato cranico va seguito nell’evoluzione del Glasgow Outcome Score. Esiste anche una classificazione a seconda del tipo di lesioni focali o diffuse. L’outcome di questi traumatizzati è fortemente influenzato dalla qualità del trattamento eseguito nelle prime ore dopo il trauma. Il peso del cervello è pari al 2% di quello del corpo umano. Il liquido cefalorachidiano funziona da ammortizzatore per il cervello. La scatola cranica costituisce un contenitore che non si adegua all’eventuale aumento del volume di quanto contiene, che è così distribuito: 85% parenchima cerebrale, 10% liquido cefalorachidiano e 5% volume sanguigno. La lesione iniziale si aggrava con la comparsa di un edema cerebrale, che ha come conseguenze un accumulo di liquido intracellulare (edema citotossico) e a un aumento della distanza tra vasi sanguigni e cellule che impedisce alle cellule stesse di ricevere ossigeno, glucosio, e di eliminare i cataboliti. I primi dieci minuti dopo un trauma cranico rappresentano la “fase iniziale critica”, cruciale, eppure poco descritta in quanto di solito non è presente un medico. Successivamente si verificano due reazioni significative: l’apnea e la massiva risposta del sistema simpatico. Segni di impegno cerebrale sono: asimmetria pupillare, pupille dilatate e fisse (uni o bilaterali), movimento di decorticazione o di decerebrazione, depressione respiratoria, Triade di Charcot (ipertensione, bradicardia, respirazione irregolare). Due anni dopo un trauma cranico severo l’80% dei pazienti è in grado di camminare, ma l’80% ha turbe di tipo cognitivo-comportamentale. Poco più della metà, dopo tre anni, ha un rendimento lavorativo completo. In caso di simili incidenti il medico

si trova a dover affrontare una minaccia per la vita (in particolare a causa dell’ipotermia), un’evacuazione rapida, e la medicalizzazione, il tutto movendosi in uno scenario impervio e condizioni atmosferiche spesso inclementi. Oltre a mettere in pratica le procedure dell’ABCDE dell’ATLS e del GCS (triage), a stabilizzare le funzioni vitali e a limitare i danni cerebrali secondari, occorre somministrare l’ossigeno, ventilare, intubare per via oro-tracheale (GCS <9), proteggere il rachide (collare cervico-toracico, stabilizzazione della colonna vertebrale durante il trasporto), somministrazione di cristalloidi isotonici e di Na Cl 0,5% per sostenere il circolo sanguigno.

 

Guillaume Séchaud: il trattamento del dolore in montagna

 

Guillaume Séchaud, anestesista-rianimatore del Centre Hôspitalier Universitaire di Grenoble, ha parlato del trattamento del dolore in montagna. Il dolore va attentamente e rapidamente valutato sul luogo dell’incidente, basandosi su una delle varie scale di valutazione di cui si dispone. Il sapere bene immobilizzare un paziente traumatizzato può contribuire a ridurlo, e farlo non è compito solo del medico. La crioterapia viene utilizzata nella medicina dello sport, ma è discutibile nel soccorso in montagna. L’analgesia farmacologica, che è la prima scelta, può venire effettuata per varie vie: intravenosa, intraossea, intramuscolare, sottocutanea, orale, transdermica, transmucosa (intranasale), sublinguale (uso pediatrico). Il farmaco antidolorifico deve essere semplice da usare, rapido nell’effetto, efficace. Si deve tener conto dell’ambiente impervio, dell’igiene, delle condizioni meteo, dell’accessibilità, dell’isolamento (angoscia specie di notte), e dell’ipotermia. Chiaramente anche il materiale in dotazione è limitato.  Il medico deve conoscere bene i farmaci che utilizza, in particolare la loro emivita. Alcuni antidolorifici causano depressione respiratoria o ipotensione. Da alcuni anni viene utilizzata l’anestesia loco-regionale.

 

Delphine Bourez: L’uso dell’ipnosi nel soccorso in montagna

 

Delphine Bourez, medico d’urgenza dell’Hôpital de Chambery/Albertville, e della base del Soccorso Alpino di Courchevel in Francia, ha parlato dell’uso dell’ipnosi nel soccorso in montagna.  Non tutti i soggetti sono ipnosensibili. L’ipnosi funziona nella riduzione del dolore.

 

Michel White: la cardiologia degli Ultra-trail

 

Michel White, cardiologo dell’Istituto di Cardiologia dell’Università di Montreal ha parlato della cardiologia negli Ultra-trail. Obiettivo della presentazione discutere i potenziali pericoli legati ai limiti fisiologici dello sforzo estremo. Per prevenire gli incidenti occorrerebbe seguire alcune strategie: prescrivere un test da sforzo estremo; spiegare i principali problemi cardiologici degli sportivi che affrontano un impegno fisico importante, insegnare a riconoscere i sintomi dei problemi cardiaci fin dalle prime avvisaglie. White ha tenuto a precisare che la prevenzione rappresenta la migliore medicina. I benefici dell’essere “in forma” sono l’aumento dell’aspettativa di vita (8-10 anni), la diminuzione del 45% della morbilità e della mortalità dovuta a malattie cardiovascolari, la diminunzione del 15% di alcuni tumori (prostata, polmone, colon), la diminuzione del 50% della prevalenza del diabete, l’effetto antidepressivo, la prevenzione dell’osteoporosi e il miglioramento della vita sessuale. Una preparazione fisica adeguata è molto importante. Il cardiologo voluto ricordare una frase di Rudolf Virchow: “l’uomo ha l’età dei suoi vasi sanguigni”.

 

Marc Gosselin: l’iponatremia associata allo sforzo (HAE)

 

Marc Gosselin ha parlato dell’iponatremia associata allo sforzo (HAE). La patogenesi di questa condizione deriva da un superconsumo di liquidi ipotonici e da un’anomalia nella secrezione dell’ADH (ormone antidiuretico). L’eccesso di idratazione può esserne la causa. Si verifica quando il livello ematico del sodio scende al di sotto di 135 mmol/L. Non esiste correlazione tra intensità dei sintomi e valori di sodio plasmatico. Nel caso di HAE benigna, ovvero leggera, occorre restrizione idrica, assumere sale e bere bevande ipertoniche. In caso di HAE moderata è bene bere bevande ipertoniche (per esempio brodo di pollo), infusione endovenosa di Na al 3%. In caso di HAE severa si applicano le misure di base, infusione rapida endovenosa di soluzione salina ipertonica (bolus 100 ml. Na Cl al 3%), ripetibile Ogni bolo aumenta il livello ematico di sodio di 2-5 mmol/L. Importante la prevenzione. La maggior parte dei decessi è prevedibile. Non tutti gli atleti manifestano la stessa risposta alla disidratazione.

 

Sonia Popoff: le lesioni dei piedi nel corso dei raid in zone remote

 

Sonia Popoff, medico dell’ENSA di Chamonix e medico presso gli Hopitaux du Pays du Mont Blanc ha presentato una relazione riguardante le lesioni che si producono ai piedi nel corso dei raid. È importante utilizzare calzature con almeno una taglia in più per evitare problemi ai piedi. Inoltre, si deve fare prevenzione. In realtà meno di un quarto dei corridori preparano i loro piedi per le gare di endurance. Vanno utilizzate delle creme idratanti anti sfregamento sui piedi (tipo NOK).  È utile lasciare i piedi a riposare all’aria appena si può. Consigliabile anche la “doppia pelle” (una pellicola di gel solido che protegge la cute dei piedi, tipo SPENCO), fissando con MEFIX o un suo equivalente. Se la pelle non è danneggiata si può iniettare Betadine dermico nella vescica, svuotandola, poi, e lasciandola seccare. Si tratta della soluzione più conservativa, ma dolorosa. Se la pelle è danneggiata, si deve tagliare, evitando le zone di accumulo di corpi estranei che provocano le lesioni secondarie in profondità e disinfettare con Biseptine. Il problema è curare e proteggere la pelle per poter continuare la corsa. Il bendaggio deve permettere di portare le calzature e di resistere per ore alla marcia pure nell’acqua. L’utilizzo del “Compeed” non è appropriato dal momento che rimane difficilmente sulla parte interessata. Importante proteggere la pelle dei glutei nel corso di gare di mountain bike e delle mani quando si usa il cayak. Sonia Popoff ha, poi, parlato degli aspetti organizzativi della medicalizzazione di raid in zone remote del pianeta. Tutto va preparato e programmato con grande cura, dai farmaci, ai vari presidi medici, alla rete radio e all’organizzazione sanitaria sul posto, senza tralasciare gli aspetti assicurativi riguardanti gli atleti. È bene effettuare una ricognizione sul posto per individuare gli ospedali più vicini, la base dell’elisoccorso, se presente, la dislocazione delle ambulanze. Va costituita sul posto un’équipe sanitaria

 

Pierre Durand e Stephane Oggier: l’inferno delle regole

 

La guida alpina francese Pierre Durand di Grenoble con Stephane Oggier, medico e guida alpina svizzera, hanno parlato dell’”inferno delle regole”, cioè dell’eccesso normativo che sta assillando sempre di più i professionisti della montagna, con procedure assurde. Una vera inflazione normativa. Esiste un’infinità di norme di sicurezza controproducenti, con conseguenze importanti per la società. I sanitari del soccorso e tutti coloro che partecipano alle operazioni di soccorso possono scegliere tra due opzioni: “stay and play” e “load and go”. La prima consiste nel soccorrere il ferito sul luogo dell’incidente (non fattibile se il tempo è inclemente), la seconda prevede di medicalizzare il paziente dopo averlo spostato dal luogo dell’incidente. Esiste il “protocollo di fuga”, il MOPP, che sta per minerva cervico-dorsale, ossigeno, perfusione e barella. È sempre importante prevedere un piano B o C. L’unico stato al mondo che ha snellito la normativa è il Canada. Occorre che si crei una sinergia tra guida alpina e medico.”Les règles et les protocols sont comme une immense chat où les èquipes de secours se promènent” (France Rocourt).

 

Sonia Popoff: i congelamenti

 

Sonia Popoff ha, poi, parlato dei congelamenti. Le persone più a rischio sono i militari, coloro che praticano sport in montagna, specie d’inverno, i professionisti della montagna e i pazienti affetti da malattie psichiatriche. Fattori favorenti individuali possono essere un precedente congelamento, la sindrome di Raynaud, un equipaggiamento inadeguato, il tabagismo, la disidratazione, guanti o calzature troppo stretti. Fattori favorenti legati all’ambiente sono la temperatura esterna, il vento (effetto “windchill”), umidità e altitudine (diminuzione di 0.65°C ogni 200 metri). I congelamenti passano da una fase primaria a una fase secondaria, più grave, con demarcazione della lesione iniziale (12-24 ore), inizio della necrosi secondaria e iperemia e diminuzione della circolazione. La fase tardiva è rappresentata dalla riorganizzazione e dalla cicatrizzazione dei tessuti vascolarizzati, con evoluzione verso la gangrena secca dei tessuti devitalizzati. Gli stadi sono quattro: lo stadio uno caratterizzato dalla colorazione rosa della pelle senza ipoestesia dopo il riscaldamento, la fase due con una colorazione bluastra della cute che non si estende oltre la falange distale, la fase tre con la colorazione bluastra che va oltre la falange distale, senza estendersi al metatarso o al metacarpo e, infine, la fase quattro con l’estensione della colorazione bluastra anche al metatarso e al metacarpo. Mai riscaldare se, poi, c’è ancora il rischio di un ulteriore raffreddamento. La classificazione di un congelamento va fatta dopo avere immerso in un bagno caldo (60 minuti a 38°C) la parte colpita. Va fatta una foto prima e una dopo il bagno caldo. Come esami complementari si possono eseguire la scintigrafia al tecnezio 99m (valuta la vitalità del tessuto osseo), il doppler capillare o la capillaroscopia, che può servire per una valutazione precoce di un congelamento. Il trattamento iniziale consiste nel riscaldamento della parte lesa in acqua calda a 38°C per 60 minuti e Polyvidone iodato dermico. Nello stadio 1 si somministra aspirina (250 mg. al giorno) e si raccomanda la protezione dal freddo per 10   giorni. Nello stadio 2 si somministra aspirina e si effettuano cure locali quotidiane che consistono nell’escissione delle flittene e in fasciature con acido ialuronico. Nello stadio 3 e 4 si deve idratare il paziente con soluzione salina (Na Cl 0,9%). Va verificata la vaccinazione antitetanica e si somministrano aspirina (250 mg al giorno) e Iloprost (Ilomedine) per via endovenosa. Questo farmaco favorisce la vasodilatazione periferica, inibisce l’adesività piastrinica, aumenta la perfusione della rete capillare, fa diminuire la iperpermeabilità vascolare a livello del microcircolo, attiva la fibrinolisi e rallenta la produzione di radicali liberi. Nel caso di congelamenti localizzati ai piedi occorre effettuare una terapia antitrombotica e una terapia antibiotica. Va effettuata l’escissione delle flittene, tenendo ben pulita la lesione e vanno eseguiti ogni giorno bendaggi con acido ialuronico. La scintigrafia ossea va effettuata dopo 2-3 giorni e, poi, dopo 7-8 giorni.  L’ossigenoterapia iperbarica funziona bene, in quanto favorisce l’ossigenazione dei tessuti, facilita la diffusione del flusso sanguigno, sostiene la sintesi del collagene e la neoangiogenesi. Presso l’ospedale di Chamonix funziona un servizio attivo 24 ore su 24 SOS Gelures per chi ha bisogno di consigli o di cure per un congelamento. La relatrice ha parlato dell’evenienza in alta quota di un congelamento dei bulbi oculari, che può provocare seri problemi agli alpinisti.

 

Matthieu De Riedmatten: le patologie causate dall’alta quota

 

Matthieu De Riedmatten ha parlato della fisiologia e della fisiopatologia dell’alta quota. Dal 1953 al 2012 13.810 alpinisti hanno raggiunto la vetta di un ottomila. I morti sono stati 791. Il rapporto tra coloro che sono arrivati in cima e coloro che sono morti è 5,7%.

 

 

 

 

Matthieu De Riedmatten: Ipotermia accidentale: amica o nemica?

 

Matthieu De Riedmatten ha presentato una relazione dal titolo “Ipotermia accidentale: amica o nemica?”. Si parla di ipotermia quando la temperatura corporea scende al di sotto di 35 °C. L’uomo è un essere omeotermo grazie ai suoi meccanismi di termoregolazione: la termogenesi e la termolisi, governati dal cervello e mediati da termorecettori termici che lo informano costantemente sulla temperatura corporea. Il mantenere costante la temperatura del corpo richiede energia. Gli scambi termici tra corpo e ambiente avvengono attraverso radiazione, evaporazione, convezione e conduzione. Esiste un’acclimatazione al freddo. Anziani e bambini soffrono maggiormente a causa dell’ipotermia. Il bambino si raffredda più velocemente. I danni che il freddo produce a livello delle membrane producono conseguenze a livello cellulare. La classificazione clinica svizzera dell’ipotermia prevede quattro stadi: leggera (<35°C, tato di coscienza e brivido), moderata (<32°C, sonnolenza senza brivido) e severa (<28°C stato di incoscienza). Esiste anche uno stadio 5 (<24°C) (morte apparente). Lo stato di morte apparente è caratterizzato da arresto cardiocircolatorio, arresto respiratorio e coma areattivo. La lividità cadaverica compare da 15 minuti a 3 ore dopo la morte, la rigidità cadaverica compare, invece, da 30 minuti a 4 ore dal decesso. Il freddo provoca degli eritemi probabilmente causati da fenomeni di emolisi. Morte apparente o morte causata dall’ipotermia? (stadio 4 o 5?). Un’ipotermia pura ha il 67,7% di possibilità di sopravvivenza, mentre nel 61,5% dei casi si registra una buona evoluzione dal punto di vista neurologico. Fattori predittivi di prognosi sfavorevole sono un arresto cardiaco ipossico, il potassio serico superiore a 10 mmol/l e uno stato di asistolia. Uno stato di ipotermia associato a un’ipossia ha una probabilità di sopravvivenza del 23,4%, mentre ha una probabilità del 9,4% di buona evoluzione dal punto di vista neurologico. La morte provocata da una valanga può avvenire per asfissia, trauma o ipotermia. Va ricordato che, nonostante le indicazioni della curva di sopravvivenza, si può sopravvivere per molto tempo sotto una valanga. In caso di arresto cardiaco durante un travolgimento da valanga la percentuale di sopravvivenza dipende dal “rescue collapse”(causa non asfissiante), dalla bassa temperatura e dal livello di potassio nel siero. Molto importante è la misurazione della temperatura esofagea: in caso di seppellimento inferiore o uguale a 60 minuti considerare un arresto cardiaco secondario a un’asfissia o, più raramente, a un trauma piuttosto che all’ipotermia, con priorità iniziale alla ventilazione e, poi, alla misura della temperatura esofagea. Se il seppellimento ha una durata superiore a 60 minuti, va ipotizzata l’ipotermia quale causa di un arresto cardiaco, valutando i segni vitali e l’ipotermia. In caso di ipotermia moderata si deve immobilizzare il paziente, proteggerlo dal freddo in modo completo, riscaldarlo in modo attivo, somministrare ossigeno, monitorare le funzioni vitali e misurare la temperatura centrale (epitimpanica o transesofagea), trasportandolo il più presto possibile nel più vicino ospedale dotato di ECLS.

É fondamentale non muovere il corpo, per evitare che il sangue più caldo che si trova al centro del corpo si mescoli con quello più freddo alla periferia (fenomeno dell'“after drop”) scatenando la fibrillazione ventricolare e l'arresto cardiaco. In caso di ipotermia severa si deve occupare della gestione delle vie aeree e trasportare il paziente presso l’ospedale più vicino con ECLS. In caso di ipotermia severa stadio 4 occorre monitorare i segni vitali e incominciare la rianimazione cardio-respiratoria (Lukas-autopuls). Se ci sono le indicazioni, si possono effettuare fino a tre defibrillazioni. Non usare i farmaci se la temperatura è <30°C. e trasportare il paziente nell’ospedale più vicino dotato di ECLS. Lo Score Hope tiene conto delle seguenti variabili: età, sesso, temperatura corporea, valore del potassio serico, meccanismo dell’esposizione al freddo e durata della rianimazione cardio-polmonare. Il suo utilizzo può evitare ECMO inutili.

 

Matthieu De Riedmatten: le applicazioni della Telemedicina in montagna

 

Matthieu De Riedmatten ha, poi, parlato delle applicazioni della telemedicina per effettuare tele-consutazioni a distanza nel corso di spedizioni alpinistiche in ogni parte del mondo. È più utile far viaggiare le immagini in caso di necessità piuttosto che il medico. Prima di una spedizione vengono organizzati dei corsi di formazione da parte di medici esperti.

Il congresso si è concluso con un collegamento in diretta con una base in Antartide dove lavora il medico e guida alpina svizzera del GRIMM Jacques Richon. Quest’ultimo ha simulato un soccorso a uno dei membri della base, affetto da un politrauma. La simulazione ha dato l’opportunità ai vari congressisti di fare domande e di intervenire.