Montagna in salute a tutte le età

Come ogni anno la Commissione Medica del CAI di Bergamo, in collaborazione con l’Ordine dei Medici della provincia ha organizzato un evento sul tema “benessere in quota”.

 

 

Mercoledì 23 marzo 2022 alle ore 20 si è tenuta presso la sede dell’Ordine dei Medici di Bergamo la conferenza dal titolo “La salute in montagna alle varie età della vita”.

Dopo il benvenuto di Benigno Carrara, presidente della Commissione Medica del CAI di Bergamo e di Luigi Greco, tesoriere dell’Ordine, hanno avuto inizio i lavori della conferenza.

Ha preso la parola la professoressa Annalisa Cogo, direttrice scientifica dell’Istituto Pio XII di Misurina e past president della Commissione Centrale Medica del CAI, per parlare di “Salute in montagna: rischi e benefici”. La relatrice ha esordito descrivendo le caratteristiche del clima di montagna: salendo in quota la pressione barometrica, la pressione dell’ossigeno nell’aria, la densità dell’aria, la temperatura diminuiscono, mentre aumentano le radiazioni UV. Nei soggetti sani residenti sul livello del mare la pressione parziale arteriosa di ossigeno nel sangue (paO2) è rispettivamente di 76 mmHg a 1500 metri, 70 mmHg a 2000 metri, 64 mmHg a 2500 metri e 50 mmHg a 3000 metri. Il cut off di 60 mmHg rappresenta il limite oltre il quale si va incontro a un’insufficienza respiratoria. Si può affermare che a 500 metri di quota le modificazioni atmosferiche sono impercettibili, senza effetto sulla prestazione fisica, senza indurre risposte sulla capacità di compensazione dell’organismo. Tra 500 e 2000 metri le modificazioni cominciano a evidenziarsi, ma le risposte dell’organismo non sono ancora esasperate. Oltre i 1500, specie negli atleti di élite, si avverte una diminuzione della capacità di prestazione che può venire annullata da una buona acclimatazione. Tra 2000 e 3000 metri le modificazioni e le risposte di adattamento dell’organismo sono progressivamente più evidenti. Dopo qualche ora si possono percepire disturbi del sonno o alcuni sintomi di mal di montagna. Salendo più in alto i problemi si accentuano. Oltre i 2500 metri può comparire il male di montagna. Più si sale di quota e più si devono effettuare delle soste, un metodo non farmacologico di prevenzione. Salendo in quota compaiono meccanismi di compenso che agiscono sul trasporto dell’ossigeno: aumento della ventilazione, incremento della frequenza cardiaca, vasocostrizione ipossica (ipertensione polmonare), vasodilatazione cerebrale e, nel tempo, aumentata secrezione di eritropoietina, con conseguente incremento del numero dei globuli rossi. Salendo in quota la VO2 Massimale (volume massimo di ossigeno che un essere umano può consumare nell’unità di tempo per contrazione muscolare: il valore è espresso in millilitri per chilogrammo di peso corporeo al minuto) si riduce: per esempio dell’1% a Denver, in Colorado a 1609 metri; dell’8% a Park City a 2134 metri; del 29% sulla cima del monte Rainer a 4392 metri; del 29% sulla vetta del monte Whitney a 4421 metri; del 47% sulla cima del Denali a 6190 metri.

 La capacità dell’esercizio scende al 25% in cima all’Everest. Nel corso dell’esercizio fisico la ventilazione aumenta per soddisfare le maggiori richieste di ossigeno da parte dei muscoli. In montagna la ventilazione durante l’esercizio fisico è più stimolata rispetto al livello del mare. Svolgere regolarmente attività fisica in montagna da giovani migliora i volumi polmonari da adulti, favorendo la salute respiratoria.

 In montagna l’aria è più tersa e l’inquinamento diminuisce. Al di sopra di 1500-1800 metri, pollini e acari si riducono, mentre aumenta lo stress ossidativo da carenza di ossigeno. Cogo ha citato una raccolta dati effettuata nei comuni di Belluno, Padova, Misurina che evidenzia la diminuzione dell’inquinamento in montagna rispetto alla pianura.

 

Patologie respiratorie croniche e altitudine

 

La relatrice ha, poi, parlato di broncopatia cronica ostruttiva (BPCO), asma e fibrosi cistica in montagna.

Ha affermato che per questi malati l’esposizione alla quota deve avvenire in modo graduale, allo scopo di garantire una maggior sicurezza. La tolleranza all’altitudine nei pazienti che soffrono di patologie polmonari può essere valutata, a patto di recarsi in aree dove vi siano presidi sanitari o dove sia semplice scendere di quota rapidamente in caso di comparsa di sintomi. Dopo un periodo di riposo con monitoraggio dei sintomi e della ossimetria ad altitudine moderata, i soggetti che stanno bene possono salire a quote più alte e/o svolgere attività fisica. Per sostenere l’ipossiemia occorrono una risposta ventilatoria ottimale (drive respiratorio, movimenti della gabbia toracica e dei muscoli respiratori), una funzione polmonare efficiente, assenza di gravi deficit ostruttivi/restrittivi, e un soddisfacente scambio dei gas (buona capacità di diffusione). È opportuno porsi alcune domande: se il soggetto potrebbe andare incontro a severa ipossiemia, o a difettosa ossigenazione in alta quota, se è a rischio di alterata risposta ventilatoria, se è a rischio di problemi dovuti alla vasocostrizione ipossica polmonare, o se l’ipossia può rappresentare un pericolo di complicanze per le patologie in oggetto.

 

BPCO in quota

 

I pazienti affetti da BPCO hanno una capacità di esercizio ridotta a causa del deterioramento della ventilazione e dello scambio dei gas.  L’altitudine può influire sulle numerose problematiche degli ammalati. Per tale motivo questi ultimi vanno studiati prima dell’esposizione alla quota, valutando se siano in grado di mantenere un’adeguata PaO2 o se necessitino di ossigeno supplementare. Il punto chiave è definire il livello di PaO2 in altitudine. Uno studio effettuato su 40 soggetti affetti da BPCO moderata/severa a 2590 metri ha evidenziato mediamente una riduzione di circa il 50% della capacità di esercizio. Un altro studio, effettuato sottoponendo al test “del cammino di sei minuti a 2086 metri” 18 pazienti affetti da BPCO, ha dimostrato una riduzione del 52% della distanza percorsa.

La valutazione prima dell’esposizione all’altitudine deve comprendere: una spirometria; un’emogasanalisi arteriosa; un test del cammino di sei minuti, per evidenziare eventuali desaturazioni durante l’esercizio fisico a livello del mare; un test all’ipossia simulata (15% O2), se disponibile, per valutare di quanto si riduce in quota la saturazione. Vanno, inoltre, presi in considerazione l’altitudine della destinazione, la modalità di salita (funivia, auto, a piedi), la durata del soggiorno, l’intensità dell’esercizio e il livello di allenamento.

 

Asma a quote inferiori ai 2000 metri

 

Molti studi hanno dimostrato che un soggiorno di due o più settimane a quota compresa tra 1600 e 2000 metri migliora i parametri clinici e funzionali degli asmatici e riduce la necessità di ricorrere al cortisone a causa della riduzione dei trigger (allergeni e agenti inquinanti), con conseguente minore infiammazione delle vie aeree.

Attualmente ai vantaggi ambientali/riabilitativi si unisce un approccio multidisciplinare per la gestione dell’asma. Negli asmatici lievi in fase di controllo oltre i 3500 metri la reattività bronchiale diminuisce.

Un’indagine retrospettiva su 147 asmatici nel corso di un trekking in alta quota ha valutato due fattori di rischio indipendenti per attacchi di asma: uso frequente (> a tre per settimana) di broncodilatatore prima del viaggio ed esercizio fisico molto intenso durante il percorso. Nel corso di una salita al Kilimanjaro (5985 metri) non si è notata alcuna differenza di funzionalità respiratoria, di male di montagna e di raggiungimento della vetta tra alpinisti asmatici e non asmatici: gli asmatici in fase di stabilità non corrono rischi superiori rispetto alla popolazione sana. Asmatici lievi in fase di controllo non hanno avuto sintomi o necessità di trattamenti durante un trekking fino a 6400 metri in Tibet.

Durante la salita all’Aconcagua (6000 metri) alcuni alpinisti asmatici hanno avuto lievi crisi. Probabilmente la causa scatenante è stata la bassa temperatura, che, del resto, può determinare la comparsa di attacchi anche a bassa quota. Uno studio realizzato nel corso della costruzione della ferrovia Qinghai-Tibet, in Cina, in alta quota, ha valutato le reazioni di 15 asmatici, di cui cinque persistenti e dieci intermittenti. In sette soggetti i sintomi sono diventati meno frequenti e meno gravi, con conseguente minore utilizzo di farmaci rispetto al livello del mare. Dopo due mesi sette soggetti sono diventati asintomatici. Altri sei soggetti hanno avuto sintomi meno frequenti e meno gravi, ma hanno continuato ad assumere la terapia a pieno dosaggio. In un soggetto si è verificata una riacutizzazione bronchitica, mentre un altro partecipante ha manifestato frequenti attacchi di asma nel mese di agosto durante l’impollinazione, aumentando temporaneamente il dosaggio dei farmaci.

Attualmente sono attivi tre centri per la cura e la riabilitazione respiratoria dell’asma in montagna: Briançon in Francia (1326 metri), Davos in Svizzera (1560 metri) e Misurina in Italia (1756 metri). Da tre anni funziona un gruppo di lavoro nei tre centri.

 

Asma e montagna: cosa è bene sapere

 

·      Andare in altitudine solo se l’asma è ben controllato

·      Prestare attenzione a eventuali primi sintomi di riduzione del controllo

·      Continuare l’abituale terapia e avere sempre con sé i farmaci di emergenza

·      Tenere riparati dal freddo gli inalatori

·      Premedicarsi prima di effettuare un qualsiasi esercizio fisico con le stesse modalità seguite a livello del mare

·      Coprire la bocca con una sciarpa in caso di giornate fredde e ventose, come si deve fare al livello del mare

·      Ricordare il rischio di infezioni delle prime vie respiratorie

·      Prestare attenzione ad aree urbane con scarsa qualità dell’aria nell’avvicinamento al trekking.

 

Fibrosi cistica e montagna

 

Si tratta di una malattia genetica secondaria a deficit d’azione della proteina CFTR. È una patologiamulti-organo con grado di coinvolgimento che varia da persona a persona. La maggior causa di morbilità nei pazienti è il progressivo deterioramento della funzione polmonare. Colpisce in modo indifferente maschi e femmine. Attualmente in Italia ci sono circa 6000 bambini, adolescenti e adulti affetti da fibrosi cistica. L’aspettativa di vita è 40 anni. Il 20% della popolazione affetta da fibrosi cistica in Italia supera i 36 anni.

Uno studio effettuato a 1500 metri su soggetti affetti da fibrosi cistica ha evidenziato che i soggetti adulti con deficit ostruttivo sono a rischio di desaturazione di ossigeno. Occorre fare attenzione al livello di ostruzione bronchiale e allo scambio di gas prima di andare in montagna, scegliendo una quota idonea.

 

Considerazioni sulla pediatria di montagna

 

Ha, poi, preso la parola Ermanno Baldo, pediatra di Rovereto, presentando una relazione dal titolo “Considerazioni sulla pediatria di montagna”. È da poco nato nell’ambito della Società Italiana di Pediatria (SIP) un gruppo di pediatri di montagna che Baldo coordina. La pediatria di montagna rappresenta un nuovo punto di vista. La medicina di montagna può costituire un presidio terapeutico, un trattamento curativo in ambiente alpino.

La montagna per l’età pediatrica non è il luogo della sfida con sé stessi e con le asperità della natura. È un luogo privilegiato per le caratteristiche fisiche dell’altitudine e ambientali del clima e per la qualità dell’aria. In montagna il bambino può fare cose straordinarie. Vi è la possibilità di sviluppare programmi di riabilitazione respiratoria per i bambini asmatici e, più in generale, di promuovere l’attività fisica di estrema importanza nell’età evolutiva, per lo sviluppo psico-fisico nella sua globalità. Lo studio della fisiologia dell’altitudine rende possibile occuparsi di patologie respiratorie importanti, come l’asma, e può dare indicazioni sul modo migliore di allenarsi in presenza della malattia. In montagna diminuisce la reattività bronchiale.

Si possono sviluppare progetti di ricerca finalizzati alla riabilitazione respiratoria e motoria. L’aria meno densa facilita la respirazione e aumenta la produzione di vitamina D. Nelle foreste alpine si può godere dell’azione balsamica di numerosi terpeni (per esempio pinene, responsabile dell’odore degli aghi di pino). La fioritura ritarda salendo in quota, con una stagione pollinica più breve. Si può pensare a collaborazioni con i professionisti  e le associazioni che si occupano di montagna, che possano favorire non solo una cultura della sicurezza, ma anche le opportunità che l’ambiente offre, promovendo  integrazioni e occasioni anche per chi è affetto da disabilità. L’inquinamento atmosferico rappresenta il più grande rischio per la salute della popolazione europea, in particolare nelle aree urbane. In Europa quasi quattro milioni di adulti, anziani e bambini vivono in aree dove sono frequentemente superati i limiti di concentrazione ammissibili per tutti i principali inquinanti. I soggetti in fase di crescita dovrebbero essere protetti dagli effetti dell’inquinamento.

A mano a mano che l’interesse per i viaggi d’avventura cresce e le reti di trasporto si espandono, sempre più persone si recano in alta quota per attività varie, tra le quali escursionismo, sci, visite turistiche, pellegrinaggi religiosi e lavoro. Spesso i viaggiatori cercano un consiglio medico sulla sicurezza del viaggio. Data la diffusione di malattie come asma e ipertensione, è probabile che siano molte le persone che stanno pianificando viaggi in alta quota pur essendo colpite da uno dei due problemi. I medici dovrebbero fornire più informazioni quando vengono contattati prima della partenza, non dimenticando che la riduzione della pressione barometrica e le successive diminuzioni della pressione parziale ambientale dell’ossigeno (pO2), nota come ipossia ipobarica, possano influenzare la sicurezza di un’escursione programmata in alta quota.

In montagna si hanno differenti risposte individuali all’ipossia ipobarica.

Alcuni studi effettuati in alta quota hanno dimostrato vari gradi di immunomodulazione correlata all’ipossia. Il clima montano fa diminuire la risposta infiammatoria e favorisce una più efficace risposta immunitaria nei pazienti affetti da qualsiasi fenotipo di asma fuori controllo e può essere considerato un trattamento naturale.

Alcune patologie respiratorie esordiscono nel corso dell’infanzia e persistono fino all’età adulta. È stato descritto che i bambini che hanno una funzionalità polmonare ridotta nei primi anni di vita la mantengono nell’adolescenza e nell’età adulta (fenomeno del “tracking respiratorio”). I primi giorni di vita decidono quali saranno i problemi in età adulta (epigenetica). Tra i fattori di rischio per l’asma: fumo di sigaretta, fumo passivo, fumo materno, inquinamento out e indoor, malnutrizione e infezioni respiratorie. Fattori individuali: deficit di alfa-1-antitripsina, stress ossidativo, basso peso alla nascita, funzione respiratoria alterata nei primi mesi di vita. Molti fattori di rischio sono presenti in età pediatrica. Il deficit della funzione respiratoria a due mesi di vita può predisporre allo sviluppo di BPCO nell’età adulta e addirittura, sia pure con scarsi sintomi respiratori, in età scolare e adolescenziale. Gli ex broncodisplastici hanno nella maggior parte dei casi parametri di funzionalità respiratoria persistentemente ridotti. Il polmone cresce fino a 18 anni, ma la maggior parte degli individui raggiunge la massima funzionalità polmonare durante la terza decade di vita. Più il polmone è voluminoso e migliore è l’invecchiamento, durante il quale la sua efficienza diminuisce gradualmente. Un rapido deterioramento si verifica a causa di fattori come il fumo. Il veloce declino della funzionalità polmonare è stato ritenuto fondamentale nella fisiopatologia della broncopatia cronica ostruttiva (BPCO). Sport e attività fisica sono fondamentali per garantire a lungo il benessere dell’organismo. Un’attività fisica correttamente impostata è in grado di ridurre la ventilazione minuto e l’acidosi lattica, migliorare l’utilizzo dell’ossigeno, potenziando i gruppi muscolari anche con un aumento della vascolarizzazione. L’esercizio fisico rappresenta la pietra angolare di qualsiasi programma di riabilitazione respiratoria ed è una delle componenti non farmacologiche che gode del più alto livello di evidenza scientifica sotto il profilo dell’efficacia. Rappresenta uno strumento per il trattamento dell’asma e la prescrizione dell’esercizio dovrebbe essere parte integrante della strategia terapeutica. Bisogna incoraggiare le persone asmatiche a svolgere un’attività fisica regolare. Il broncospasmo da esercizio fisico può essere prevenuto con il riscaldamento o con l’uso di SABA (short-acting beta-agonistic) oppure con basse dosi di ICS (corticosteroidi per via inalatoria) /formoterolo prima o durante lo sforzo. L’allenamento rappresenta la componente principale della riabilitazione respiratoria. Vanno raccomandati esercizi aerobici che coinvolgano le principali masse muscolari. In montagna trae beneficio il controllo dell’asma e, di conseguenza, migliora la qualità della vita. Calano i sintomi dell’asma grave o instabile. L’uso di farmaci si riduce in tutte le forme di asma.