Convegno Chamonix

7 aprile 2017

Si è svolta presso l’ENSA di Chamonix venerdì 7 aprile 2017 la “Première Journée Scientifique et Médicale, Montagne et Altitude”, promossa dall’associazione francese “ExAlt” (Centre d’Expertise sur l’ALTitude).

Stéphane Doutreleau, cardiologo di Grenoble ha parlato delle attualità riguardanti le patologie provocate dall’alta quota, dei problemi dell’acclimatamento in altitudine, in particolare dei disturbi del sonno e del male cronico di montagna. Nella valutazione di un soggetto che dovrà affrontare l’alta quota occorre assolutamente tener conto delle precedenti esposizioni all’altitudine e la suscettibilità individuale. Se indicato, può essere utileeffettuareun test in ipossia.Per la prevenzione del mal di montagna sono indicati tra i farmaci acetazolamide, desametasone, nifedipina, tadalafil, sildenafil, salmeterolo, per il trattamento acetazolamide, desmatasone, e nifedipina, per il trattamento dell’edema cerebrale il desamteasone, mentre per il trattamento dell’edema polmonare la nifedipina.

Interessante la relazione di Bengt Kayser, medico sportivo dell’Istituto di Scienze dello Sport dell’università di Losanna,che ha parlato dell’utilizzo dell’acetazolamide in alta quota, un diuretico la cui efficacia a volte è sottostimata. Il male acuto di montagna compare di solito oltre i 2500 metri di altitudine, dopo 6-12 ore dall’arrivo in quota. Di solito si risolve in 1-2 giorni. Ha un’incidenza che varia dal 10 al 25% a 2500 m.. Può essere curato in modo non farmacologico, con l’acclimatazione oppure con i farmaci. Meglio sempre prevenire che curare…. Il picco dell’acetazolamide è raggiunto in circa 2 ore. Importante e fondamentale è, comunque, comunicare ed informare coloro che si recano in alta quota circa gli eventuali effetti dovuti alla carenza di ossigeno.

Paul Robach, ricercatore dell’ENSA di Chamonix, ha parlato dell’allenamento in quota per migliorare la performance degli atleti nell’endurance. Tre i metodi proposti per allenarsi in quota: il metodo “classico” : vivere ed allenarsi in quota tra 1600 e 2500 metri per 2-4 settimane ( nessuno studio controllato ha dimostrato effetti positivi sulla performance in endurance su atleti di élite).Esiste una discordanza tra scienza e ciò che si verifica sul terreno, occorrono studi supplementari. L’altitudine fa diminuire la performance aerobica, con conseguente compromissione dell’allenamento in alta quota. Altra possibilità è vivere in alto ed allenarsi in basso ( altitudine reale: ipossia ipobarica). Si può far ricorso ad un’ altitudine simulata ( ipossia normobarica, camera ipossica e tenda ipossica). Quest’ultimo viene considerato il metodo di allenamento più efficace, anche se gli effetti sulla performance sono difficili da individuare. Infine, allenamento in ipossia, ossia vivere in basso ed allenarsi in alto. Il volume totale dei globuli rossi rappresenta il fattore chiave per la performance in endurance. L’ipossia di alta quota stimola l’eritropoiesi (Epo) con l’incremento del volume totale dei globuli rossi. La prevenzione costituisce il metodo migliore per combattere il male di montagna. Occorre un’adeguata acclimatazione, bisogna saper riconoscere il male acuto di montagna e saper reagire allo stesso.

Interessante lo studio realizzato sempre da Paul Robach in due rifugi del massiccio del Monte Bianco (Gouter e Cosmiques) circa l’utilizzo di farmaci da parte di alpinisti maschi tramite l’utilizzo di un apposito raccoglitore di urina. Su 430 campioni raccolti per ricercare la presenza di diuretici, glicocorticoidi, stimolanti, ipnotici, inibitori PDE è emerso che il 36 % dei soggetti studiati ha assunto almeno un farmaco , 33% acetazolamide, 8% zolpidem, 4% glicocorticoidi, 4% THC e 3% stimolanti.

Alexandra Malgoyre e Keyne Charlot hanno parlato di rapporto tra calore ed ipossia in base ai risultati di alcuni studi sperimentali. Hanno parlato della Cinetica di acclimatazione in ipossia.

G. Séchaud ha parlato degli effetti del zolpidem, un farmaco ipnotico non benzodiazepinico, sui fenomeni cognitivi in alta quota, sulla capacità psicomotrice degli alpinisti e sulla tolleranza all’alta quota. Il farmaco in oggetto presenta una corta durata d’azione, migliora la qualità del sonno in quota e diminuisce l’incidenza del male acuto di montagna, ma in caso di un risveglio notturno genera un rallentamento cognitivo e un incremento del numero di errori, un rallentamento dell’orologio interno, con conseguente diminuzione dell’attenzione e della vigilanza ed un aumento di alcuni sintomi quali le vertigini, rendendo più difficile una valutazione clinica.

Rodolphe Popier, corrispondente in Francia dell’”Himalayan data base”, ha presentato un’analisi retrospettiva delle velocità di ascensione senza ossigeno in alta quota. E’ stata fatta un’analisi di dati raccolti tra il 1976 e il 2016 su 41 himalaysti, di cui solo 23 sono stati considerati ben valutabili, con salite ad oltre 7000 metri di quota. Parametri considerati:via attrezzata, condizioni della montagna, condizioni atmosferiche, stato di forma dell’alpinista ed acclimatazione, conoscenza della via di salita, esperienza in alta quota ed età dell’alpinista, inoltre, difficoltà, inclinazione e configurazione della via. La velocità di salita (media 305 metri/h) sono molto più lente rispetto a quelle misurate sulle Alpi e non ha avuto un’evoluzione rispetto agli anni 1990/2000. Occorre costruire un quadro più preciso del profilo-tipo dell’ himalaysta medio, analizzando l’”Himalayan Data Base”.

Claudio Sartori, medico ricercatore dell’università di Losanna, ha ipotizzato il periodo perinatale del neonato come un nuovo fattore di rischio per le malattie d’altitudine. Per la prima volta si è dimostrato che la fecondazione assistita induce una disfunzione vascolare prematura nel topo. L’esposizione all’alta quota facilita il riscontro di anomalie della funzione vascolare. Un’ipossia perinatale transitoria predispone ad un’ipertensione polmonare di tipo ipossico esagerata, che si verifica più tardi nel corso della vita.

Il fisiologo francese Jean Paul Richalet, dell’università Paris 13, ha parlato dei fattori di rischio riguardanti le patologie d’alta quota. La quota elevata, il dislivello eccessivo (> 400 m. tra due notti al di sopra dei 3000 metri) l’esercizio fisico intenso, l’ansia sono fattori favorenti il male acuto di montagna e l’edema cerebrale acuto d’alta quota. Una predisposizione individuale al male acuto di montagna, una debole chemosensibilità all’ipossia, il sesso femminile, l’obesità, l’emicrania, l’allenamento di tipo aerobico regolare sono fattori predisponenti al male acuto di montagna e all’ edema cerebrale acuto d’alta quota. Il male acuto di montagna severo ha una prevalenza del 23.7%, l’edema polmonare acuto dell’ 1.7% e l’edema cerebrale acuto dell’ 1%, mentre la “Severe High Altitude Illness”(SHAI) del 24%. Pare esistere anche un fattore di rischio geografico. Importante un’accurata valutazione clinica per soggetti che si espongono all’alta quota, quali un test da sforzo e un test all’ipossia, in grado di scoprire soprattutto fattori di rischio di tipo cardiovascolare.

Pierre Bouzat, medico anestesista di Grenoble, ha parlato delle recenti novità riguardanti i travolti da valanga in arresto cardiaco.

Samuel Verges del Laboratorio della fisiopatologia dell’ipossia di Grenoble ha parlato del condizionamento ipossico e dell’eventuale utilizzoterapeutico dell’ipossia ( situazione di carenza di ossigeno, dovuta alla quota). L’ipossia potrebbe costituire un meccanismo protettivo per l’organismo, per esempio aiutando gli obesi che vivono in quota, o riducendo la mortalità tra i soggetti affetti da apnea del sonno moderata. Un’ipossia intermittente acuta può curare i cardiopatici o i soggetti affetti da malattie cerebrali, determinando un miglioramento del circolo.