La valanga di Bergemoletto

La valanga di Bergemoletto, 19 marzo 1755

 

Il racconto di questo fatto è stato scritto nel documento “Ragionamento” da Ignazio Somis, conte di Chavrie, medico del Re, primario professore della Regia Università di Torino.

 

 

 

In quel periodo vi era moltissima neve ad Aosta, in val di Lanzo, in val di Susa, in Savoia e nel Contado di Nizza e vi furono più di duecento vittime per le valanghe.

Mai si era visto un inverno così bianco.

Anna Maria Roccia Bruno, Anna Roccia e Margherita Roccia vennero sepolte il 19 marzo 1755, giorno di San Giuseppe, da una valanga caduta sopra il tetto di una stalla. Vennero estratte il 25 aprile 1755.

La valle Stura si trova in provincia di Cuneo, in Piemonte, e sale da Demonte, nelle Alpi Marittime, che separano la valle Stura  dal Definato e dal Contado di Nizza.

Bergemoletto era un villaggio abitato a quel tempo da 150 persone, non lontano da Bergemolo. Un’accozzaglia di case a ridosso di un colle. La zona era popolata da foreste di faggi, larici e mortella.

Venivano allevate pecore e capre. Sulle montagne circostanti il villaggio crescevano assenzio montano (genepì), genziana, imperatoria, valeriana, veronica, segale, frumento saraceno, castagne.

Pare che gli abitanti fossero molto robusti, asciutti, gagliardi, nerboruti e longevi, forse a causa del cibo genuino e dell’aria fresca. Antonio Bertolotti visse, per esempio, fino a 112 anni.

 Si racconta che nel Settecento molti ettari di bosco vennero abbattuti e dissodati, con interventi di taglio molto pesanti che incominciarono a incrinare il fragile rapporto uomo-ambiente, favorendo la caduta di valanghe.

Sempre nel 1755 iniziò a nevicare ai primi di marzo, tra il 16 e 19 soprattutto.

La mattina del 19 marzo, Giuseppe Roccia si trovava sul tetto della propria casa, con il figlio Giacomo di 15 anni a spazzare la neve caduta abbondante.

Il parroco del villaggio, prima della messa, vide staccarsi due valanghe dalle cime più alte, a oriente del villaggio, su un pendio di 45 gradi di inclinazione. Le valanghe si fusero, formandone una sola, senza causare danni al villaggio.

Giuseppe svenne alla vista dell’enorme valanga e il figlio lo rianimò. Poi, cercarono rifugio nella casa di Spirito Roccia.

Anna Maria, moglie di Giuseppe, con la cognata Anna, la figlia Margherita e con Antonio, l’altro figlio di 5 anni, si trovavano sulla porta della stalla, aspettando che la campana annunciasse la messa.

Una terza valanga, di proporzioni smisurate, si staccò dai monti che si trovavano a occidente. Era alta 42 piedi di Eliprando  (equivalenti a 12,8 metri ); 270 piedi in lunghezza (pari a 82 metri);  60 in larghezza (corrispondente a 18,3 metri).

Lo spostamento d’aria e il rimbombo vennero avvertiti anche a Bergemolo e in altri villaggi della valle. Il vento provocato dallo spostamento d’aria stracciò le vesti a chi non venne sommerso dalla massa nevosa. Si salvarono la chiesa e la casa di Giovanni Arnaud.

Trenta case vennero abbattute. Scomparvero 22 persone, tra cui padre Giulio Cesare Emmanuel, parroco da oltre 40 anni, trovato sepolto sotto due grosse travi, con il rosario in mano.

La campana della chiesa si mise a suonare per chiamare i soccorsi che partirono da Bergemolo e da Demonte, costituiti da circa trecento persone. Il maggior numero dei soccorritori giunse, comunque, al villaggio il giorno dopo. La gente scavava anche di notte al lume di lampade, lanterne e candele. Venne liberata una donna con le tre piccole figlie. Vennero dissepolti i corpi senza vita di alcune bovine. Si scavava con pertiche e bastoni, con zappe o con le sole mani, ma dopo 5 giorni la valanga si indurì, costringendo a interrompere le ricerche. Ed è a questo punto che intervenne anche Giuseppe Roccia. Vennero usati pali di ferro per sondare la neve ormai compattissima.

Continuava a nevicare.

Giuseppe con il figlio e i cognati Antonio e Giuseppe Bruno vennero da Demonte.

Insieme tentarono di trovare la stalla, ma dovettero rinunciare, ritornando alla casa di Spirito Roccia.

Venti caldi durarono fin verso il 20 del mese di aprile.

I soccorritori ripresero il lavoro usando pali di ferro lunghi e grossi o zappe. Una delle prime case che scoprirono fu quella di Lodovica Roccia, dove vennero trovati il suo corpo e quello del figlio.

Il 25 aprile Giuseppe riprese i lavori di scavo con i cognati Antonio e Giuseppe Bruno, giunti a Bergelometto già stanchi e ansimanti. Verso le 10 scoprirono la casa. Verso le 12 penetrarono con una pertica in un foro e udirono una esile voce. Antonio riuscì ad entrare e riconobbe Anna Maria, la sorella. Chiamati i compagni, vennero trovate in vita Margherita e Anna Roccia. Uscirono vive anche due capre. Tutti accorsero per estrarle a braccia dalla stalla in cui erano intrappolate.

Maria ebbe un dolore acutissimo agli occhi a causa della luce e per poco non morì, dopo essere stata con le altre segregata al  buio per 37 giorni sotto 42 piedi di neve dura. Maria venne fatta rinvenire con un po’ di neve liquefatta.

Vennero coperti gli occhi a tutte e tre le donne. Vennero avvolte in panni e trasportate nella casa di Giovanni Arnaud. Grazie alla somministrazione di un po’ di vino “gagliardo” Anna Maria si riebbe.

Le donne vennero adagiate in letti in una stalla calda, quasi allo scuro. Mangiarono pochissima minestra fatta di farina di fecola e con poco burro. Avevano problemi allo stomaco e alla respirazione. Lo stomaco, infatti, non era più abituato a ricevere il cibo, avendo pochissimi succhi gastrici ed essendo ipotonico.

Le tre donne non si reggevano in piedi a causa del lungo digiuno, dell’umidità, del freddo, della sete sofferta, e della posizione del corpo. Erano molto pallide. I loro abiti erano inzuppati di acqua e marci. Anna Maria aveva le gambe e le cosce edematose e non riusciva a distenderle.

Venne chiamato il medico Nicolai di Demonte. Il 27 aprile egli giunse nell’abitazione di Giovanni Arnaud. Anna Maria aveva un polso debole e irregolare (non uguale). Aveva mal di testa di tipo gravativo in regione occipitale con vertigine. Aveva perso l’attività motoria e la sensibilità dai reni fino ai piedi. Gli occhi lacrimavano, erano gonfi e le pupille erano tremolanti. Soffriva di dolori allo stomaco. Aveva una sete incoercibile e insonnia.

Anna aveva meno problemi, con un polso meno debole e più regolare. Aveva dolori al capo e le gambe erano prive di forza e tremanti. Non poteva reggersi in piedi. Era affetta da un fastidioso formicolio alle gambe e da vampate di calore.

Margherita aveva dolori allo stomaco, dispnea, ma polso regolare.

I presenti erano molto curiosi e volevano sapere cos’era successo nella stalla.

Il medico prescrisse silenzio per un po’ di tempo, brodo di vitello e latte di capra, ogni tre ore acqua per reidratare. Alle donne tutto sembrava avere sapore amaro, anche l’acqua, pur provenendo da fonti diverse e il fenomeno scomparve solo dopo un mese. Venne somministrato due volte al giorno del buon vino.

Margherita fu la prima ad alzarsi dal letto dopo 8 giorni, ritornando alla vita normale. Anna dovette restare a letto una ventina di giorni prima di potersi rialzare. Dopo 7 giorni passarono a cibarsi di minestre di farina d’orzo cotta nel brodo di vitello, di uova fresche e di pane di frumento. Anna recuperò verso i primi giorni di giugno, ricominciando i lavori di campagna come prima. Le restava un dolore al ginocchio destro, che la svegliava di notte, più forte quando pioveva o se c’era vento.

L’ultima a riaversi fu Anna Maria, la più vecchia. Nonostante la dieta liquida, si scaricò solo dopo 15 giorni, mentre Anna solo dopo 2 giorni. Le feci erano scure e molto dure e provocarono forti dolori. Per 5 giorni non riuscì a dormire. La sesta notte  dormì un poco, ma con difficoltà alla respirazione e con sogni spaventosi, disturbati da incubi e sobbalzi. Pensava alla trave della stalla che la minacciava, alla morte della cognata e della figlia. Si attenuarono poco alla volta. Nel corso della dodicesima notte riuscì a dormire quattro ore, migliorando nel corso delle notti successive. Aumentò anche la diuresi, mentre le gambe e le cosce erano meno edematose. Stomaco e occhi, tuttavia, non miglioravano. Vedeva male e spesso doppio. Rimanevano il tremolio delle pupille e la lacrimazione involontaria. Doveva mangiare piano per non ridestare i dolori allo stomaco. Dopo un mese e mezzo incominciò a muoversi, nonostante i dolori alle gambe, il tremolio agli occhi e il dolore allo stomaco che aumentava mangiando. Non era in grado di lavorare in campagna.

Il 24 luglio le tre donne vennero accompagnate da Giuseppe Roccia ai Bagni di Valdieri per chiedere aiuto al Re Emanuele III°, da cui le separavano 8-9 miglia di cammino. Passarono per la foresta di Valdieri e si fermarono a dormire presso l’abitazione di un alpigiano. Giunsero ai Bagni verso le otto del mattino e  rientrarono il giorno successivo, dormendo di nuovo presso lo stesso ospite.

Anna Maria aveva circa quarant’anni in quel 24 luglio 1755. Era molto magra in viso, quasi senza capelli, era affetta da dolori al capo e aveva i malleoli gonfi. Le pupille erano dilatate e tremanti, con l’iride di colore rossiccio. Vedeva poco da lontano, avendo la vista offuscata. Era tormentata dalla sete e da punture di insetti in tutto il corpo. Non aveva fame. Mangiò una minestra di vermicelli fatta con brodo e con pane. Dovette riposare dopo 12 cucchiaiate. Mangiò poca carne e bevve tre volte un mezzo bicchiere di vino, che la ristorò un poco, alleviando il dolore allo stomaco. Le funzioni vitali erano regolari. A lei e alla cognata erano terminati i “mesi”, scomparsi al secondo giorno dal seppellimento. Ricomparvero il 20 giugno 1755. Di notte dormiva 5-6 ore, disturbata da brutti sogni e da sobbalzi. Aveva sempre fatto la contadina. Era sposata da 22 anni con Giuseppe Roccia. Ebbe tre figli maschi e tre femmine, che allattò.

Anna, era sanguigna e robusta. Soffriva la sete e continuava ad avere dolore al ginocchio destro.

Margherita aveva 11 anni, era sanissima e robusta. Aiutava la famiglia per mettere via il cibo per l’inverno.

 

Sotto la valanga

Il giorno 19 marzo le tre donne erano nella stalla, aspettando la messa con sei capre (4 morirono), un’asina e una quindicina di galline. L’asina, legata alla mangiatoia, ragliava e scalciava, disperata di terrore nell’oscurità, le capre zoccolavano alla rinfusa e le galline, passato lo stupore, ripresero a chiocciare e a razzolare.

Sentito il rumore della valanga, si rinchiusero nella stalla. Lo spazio in cui vissero le tre donne era di circa 3,5 metri di lunghezza, 2,5 di larghezza e 1,5 di altezza. Le tre donne con il figlio di Anna Maria di cinque anni rimasero al buio. Si misero a gridare senza essere udite. Anna Maria si sdraiò con il figlio nel fieno presente nella mangiatoia, invitando la cognata e la figlia a seguire il suo esempio. Usando come riparo contro l’acqua che cadeva il paiolo, intriso di fecola, che la sera prima Giuseppe aveva utilizzato per nutrire una capra che aveva partorito due capretti morti.

Avevano a disposizione 15 castagne che Anna teneva nelle sue tasche. Ne mangiarono alcune e sciolsero un po’ di neve per bere. Nella stanza accanto alla stalla vi erano trenta o quaranta pagnotte che Anna Maria aveva riposto, ma che non riuscì a raggiungere. Si misero a pregare. Le galline riuscivano a dare un’idea del trascorrere del tempo. L’asina dopo alcuni giorni morì. Una delle capre era gravida e una aveva il latte. Anna riuscì a mungere quest’ultima, riempiendo una scodella di terracotta. Era riuscita a nutrire le capre con del fieno che si trovava sopra nel fienile. Vi era un buco che permetteva alle capre, salendo sopra le spalle delle donne, di brucare il fieno. Le tre donne guardavano sempre con paura la trave della stalla, temendo che cadesse. Non potevano che bere neve e latte di capra, usando il paiolo che era presente nella stalla. Iniziarono la sete e la secchezza della bocca. Le tre donne urinarono durante i 37 giorni. Anna ebbe solo due evacuazioni alvine, mentre Margherita ne ebbe ogni 5-6 giorni. Anna e Margherita dormivano di notte. Anna Maria, invece, non riusciva a prendere sonno. Il bambino, bevendo solo latte, incominciò a soffrire di atrocissimi dolori allo stomaco e all’addome. Venne tenuto in grembo dalle tre donne. Al sesto giorno dalla comparsa dei dolori venne adagiato nella mangiatoia e dopo un po’ morì. Il suo corpo venne posto in un angolo della mangiatoia.

Le donne erano tristi e avevano freddo. L’acqua cadeva dall’alto e le bagnava. La postura causava loro dolori.

Gli escrementi e i cadaveri emettevano un odore insopportabile.

Aleggiava nella buia stalla un senso di morte imminente. Le tre donne avevano difficoltà alla respirazione.

La capra stava riducendo il latte: da due libbre a una sola libbra (una libbra equivale a 453,6 grammi). Anche il fieno stava diminuendo. Le tre donne riuscirono a porre la capra sulle spalle per permetterle di mangiare il fieno che si trovava sopra nel fienile.

I problemi maggiori erano la respirazione e l’inappetenza.

Erano piene di pidocchi che le tormentavano con le loro  insopportabili punture.

Anche le galline morirono e non le poterono mangiare.

Verso la metà di aprile riuscirono a mangiare il capretto che la capra partorì.

Anna Maria passava da momenti di speranza a momenti di disperazione, piangendo. La capra produsse altro latte.

Il 20 aprile alle donne parve di sentire un rumore. Era il giorno in cui venne trovato il corpo del parroco. Vedendo comparire uno spiraglio di luce Anna pensò ai fuochi fatui emanati dai cadaveri, a un raggio di luce annunciatrice di morte.

Invece, comparve finalmente la luce e vennero salvate. La notte precedente la sorella Anna Maria apparve in sogno a Antonio Bruno, chiedendo di essere ancora viva e di essere soccorsa. Anna e Anna Maria, accompagnate da Giuseppe Roccia nell’autunno del 1756 intrapresero un viaggio per raccontare la loro storia in altre valli, città o villaggi e per raccogliere elemosine o altri aiuti. Poi, si fermarono per tre giorni a Cavoretto presso la villa di Ignazio Somis per essere sottoposte a esperimenti. Poi, alla fine di marzo del 1757 rientrarono a Bergemoletto, dove ripresero i lavori in campagna fino alla morte.