Gli è toccato morire

G.C. Agazzi

Duro combattere  in montagna e molti sono i giovani  soldati che  sono morti nel corso del primo conflitto mondiale durante la cosiddetta “ Guerra Bianca “ .

Franz Klammer di  Hohentauern  aveva 20 anni quando venne mandato a combattere insieme con altri giovani nella zona di Cima Presena sul massiccio dell’Adamello. Lo assegnarono al 2° Rayon della 90^ Divisione Stelvio- Tonale che era insediato a quasi 3000 metri di quota.

Da sempre aveva amato la montagna e vederla invasa e contaminata dalla presenza di cannoni, fucili, trincee gli procurava una sensazione di doloroso smarrimento. Non aveva mai digerito di dover combattere in quella assurdità che è una guerra, ma gli toccava per forza. Una guerra difficile, di posizione, con attacchi e offensive che portavano a perdere e riconquistare terreno. Franz non aveva mai visto tanti morti e non riusciva ad abituarsi, nonostante ogni giorno dovesse confrontarsi con quella realtà .

 Franz era stato assegnato alla cima Presena  a 3069 metri di altezza e il luogo era molto conteso da entrambi gli schieramenti.  Certe giornate passavano lente, certe altre trascorrevano in un soffio. Era estate e i combattimenti erano tanti. Franz, nei pochi attimi di pace concessi dall’alba, ritrovava la montagna del suo recente passato, scenario di momenti belli e lontanissimi dall’inferno del suo presente.

 La vita di Franz  si svolgeva  tra una baracca che lo ospitava durante le ore di riposo e la trincea che d’inverno la neve copriva completamente, rendendola una barriera gelida, ma, forse, più sicura.

Prima di allora  aveva usato il fucile, uno “Stutzen” tipo M95 solo per cacciare i camosci sulle montagne della Stiria, e non certo per ammazzare la gente.

Ogni tanto il tuono dei cannoni rompeva  d’improvviso il silenzio della montagna, annunciando l’imminente offensiva . A volte  ci si doveva arrampicare sulle cime dei monti per strappare al nemico posizioni imprendibili, facendo ricorso alle bombe  a mano, alla baionetta, ai pugnali, ai tirapugni o anche al lanciafiamme.  Non di rado si doveva combattere approfittando del brutto tempo, per cogliere il nemico di sorpresa. Quando le armi tacevano Franz poteva riascoltare il rumore dei torrenti e il canto degli uccelli, osservare i camosci  o percepire il solo soffio del vento che sembrava ripulire la montagna dall’orrore della guerra, portandolo lontano . Molti i momenti trascorsi con i compagni a parlare, o a giocare a carte o a cantare, o a fumare la pipa .  Molte le notti passate immobile a fare la vedetta al freddo ( le escursioni termiche della montagna! ) , pensando a mille cose, con la paura di essere improvvisamente sorpreso dal nemico  e aspettando un’ alba che non arrivava mai.  A volte era bello prendere il sole sulle rocce, ma c’era sempre il rischio di qualche cecchino nascosto nelle postazioni nemiche . Ogni tanto toglieva dalla tasca una   fotografia della morosa, chissà se lei faceva altrettanto con la fotografia di loro due che un tempo teneva nella borsetta. Ogni tanto arrivava la posta da casa, che Franz aspettava con ansia e alla quale rispondeva subito , raccontando  le poche cose belle di cui si poteva godere su quelle montagne. Della guerra, invece, non parlava mai, un po’ per non spaventare i suoi, un po’ per lo spettro della censura*.

 Nella notte tra il 24 ed il 25 maggio 1918 si scatena un’importante  e  inattesa offensiva italiana . Per ore e ore  un terribile bombardamento tormenta la montagna , che nello stesso tempo viene avvolta da un’impietosa bufera. Neve e vento rendono difficile il tiro delle artiglierie e l’avanzata delle truppe italiane, che, comunque, riescono a prendere di sorpresa  il presidio autro ungarico in vetta allo Zigolon . Franz si trovava nella sua postazione molto più in basso sotto le granate di cui facevano parte i maledetti shrapnel, tipi di bombe che si aprivano prima di toccare il suolo, vomitando piombo.  Ovunque si sentivano il suono nervoso delle mitragliatrici e le urla dei feriti, ovunque si vedevano i corpi immobili dei soldati morti.

Era l’agosto del 1918 e lui si trovava esattamente al passo dei Segni, nei pressi del caposaldo austro ungarico più importante del fronte Sud-Ovest. Si trattava di dare il cambio al presidio che occupava la posizione e che era ormai esausto, dopo diversi giorni di prima linea. Il gruppo di militari austro ungarici, trasportati in camion lungo la Val di Genova fino alla cascina Pedruch, aveva raggiunto, dopo due giorni di marcia, il passo dei Segni, salendo dalla Val Zigolon, sotto la Punta Ronchino e la Cima di Zigolon. Il passo dei Segni si trova a 2875 metri, tra la cima Presena, in quel momento occupata dai soldati italiani, e la cima  della Busazza. Dopo alcuni giorni tranquilli, un pesante bombardamento , da parte delle truppe  italiane pone fine a quella tregua apparente, ma lenitiva per l’anima. All’improvviso anche  il fuoco delle mitragliatrici comincia a battere le postazioni austro ungariche. Nella notte alcuni alpini scesi dalla cima Presena uccidono alcune vedette austro ungariche. In seguito alla decisione di ripiegare nella Val Zigolon, i soldati del presidio abbandonano la posizione e scendono più in basso. A uno a uno i militari austro ungarici escono allo scoperto e anche Franz segue gli altri commilitoni. Per tutta la montagna eccheggia il fuoco della fucileria e  delle mitragliatrici. Franz viene colpito  dalle scheggie di una bomba a mano che gli cade accanto, lanciata da un alpino. Si accascia, abbandona il fucile. La vista gli si annebbia, fiotti di sangue gli escono dal petto, un grande freddo pervade il suo corpo. La neve fresca sotto di lui si colora di rosso. Aveva visto morire molti giovani  amici, e ora  toccava a lui. Tante volte alla vigilia di un’azione aveva pensato a quell’addio definitivo con angosciosa aspettativa. Adesso l’addio lo doveva dare alla montagna, al futuro che non avrebbe avuto, all’uomo che non sarebbe diventato.

Un torpore si diffuse nel suo corpo straziato e pietosamente gli portò un sonno che neppure le grida disperate dei feriti avrebbe potuto interrompere.

Era l’agosto del 1918, era uno degli ultimi mesi di guerra, quando recuperare i corpi dei caduti era diventato  impossibile. Le spoglie di Franz sono restate lassù. Ci ha pensato la neve a coprirle di bianco due mesi  dopo.                                                

Così scrisse il cappellano militare Matthias Ortner, parlava di Franz e di tutti i giovani caduti di tutte le guerre   Il soldato tirolese è un bambino nella fede un uomo al posto assegnatogli, un camerata in trincea, un tiratore infallibile in linea, un leone nel combattimento ravvicinato, un santo nella morte; è insieme pieno di semplicità primitiva e originalità.

* Il racconto è liberamente ispirato, ma fa riferimento ad un episodio della “Guerra Bianca” realmente accaduto nel mese di agosto del 1918, e vuole rendere omaggio a tutti i giovani soldati caduti sulle montagne del massiccio dell’Adamello di entrambi gli schieramenti che in molti hanno, purtroppo, dimenticato una volta finita la Grande Guerra.