SPUNTI DAL CONVEGNO FRANCESE di Giancelso Agazzi

A inizio dicembre si è tenuto a Grenoble un convegno per parlare dei passi avanti compiuti nell’ambito della medicina d’alta quota. Da remoto e in presenza.

 

 

A Grenoble, si è svolta il 10 dicembre 2021 la terza edizione del convegno Journée Scientifique et Médicale, Montagne et Altitude

EXALT (Centre d’EXpertise sur l’ALTitude). Scopo dell’incontro esaminare le ultime novità nell’ambito della medicina d’alta quota.

 

C’era una volta l’ipossia…

 

Il fisiologo Jean Paul Richalet di Parigi ha raccontato la storia degli studi effettuati sull’ipossia. Il premio Nobel 2019 per la fisiologia e la medicina è stato assegnato a William G. Kaelin jr, Sir Peter J. Ratcliffe e Gregg L. Somenza per le loro scoperte riguardanti il modo con cui le cellule affrontano e si adattano all’ipossia. Sono state scoperte molecole chiave e ne è stato descritto il meccanismo d’azione: HIF-1 (fattore inducibile da ipossia), la proteina Von Hippel-Lindau e le prolilidrolasi.

 La pandemia da Covid-19 con la sua risposta infiammatoria ha un effetto deleterio sulla funzionalità polmonare, perché causa un’alterazione nella diffusione dell’ossigeno attraverso la barriera alveolo-capillare e una conseguente ipossiemia. I media hanno diffuso le locuzioni “ipossia felice”, e “ipossia silenziosa” per descrivere la distanza apparente tra i bassi valori di SaO2 e l’assenza di sintomi clinici chiari di sofferenza respiratoria.

 Denis Jourdanet (1815-1892) è un medico che è vissuto in Messico e che ha coniato il termine “anossiemia”. Ritornato in Francia, ne ha parlato con Paul Bert (1833-1886) che ha effettuato degli studi sperimentali. Jourdanet ha sovvenzionato il laboratorio di Paul Bert, il quale ha concepito la doppia camera ipobarica allo scopo di dimostrare che le turbe legate alla bassa pressione sono provocate dalla mancanza di ossigeno (1878). Lo scienziato utilizza i termini anossiemia, asfissia e privazione di ossigeno. Paul Bert nel 1889 manda François-Gilbert Viault in Peru per verificare l’ipotesi che un incremento del numero di globuli rossi nel sangue potrebbe compensare la mancanza di ossigeno. Viault utilizza i termini di aria rarefatta, anossiemia, senza parlare di ipossia.Tuttavia, in una pubblicazione di fisiologia, redatta con Jolyet (Bordeaux) nel 1894 propone i termini di ipoematosi o di asfissia lenta. Nel 1890 viene costruita la capanna Vallot (4362 metri) sotto la cima del Monte Bianco e il 13 agosto del 1893 viene inaugurato l’Osservatorio sulla punta Gnifetti nel gruppo del Monte Rosa alla presenza della regina Margherita di Savoia. Joseph Vallot utilizza i termini asfissia o privazione di ossigeno. Angelo Mosso, fisiologo di Torino, utilizza il termine asfissia. Più tardi, nel 1906 Nathan Zuntz utilizza il termine di mancanza di ossigeno o anossiemia relativa. Haldane e Pulton nel 1908 parlano di want of oxygen o anoxhaemia.

 

L’intuizione di Ravenhill

 

Ravenhill attribuisce il male acuto di montagna al lack of oxygen (mancanza di ossigeno). Nel 1921 Greene e Gilbert pubblicano una rassegna completa sugli effetti dell’anoxemia. La svolta successiva avviene tra il 1923 e il 1941, quando appare il termine ipossiemia prima di ipossia. I medici austriaci Adlesberg e Porges utilizzano nel 1923 il termine hypoxämie in articoli riguardanti il male acuto di montagna o le cardiopatie congenite. Alcuni fisiologi e medici tedeschi che si occupano di medicina aeronautica utilizzano il termine hypoxämie tra il 1930 e il 1940. Nel 1938 il biochimico Brinkman ed il pediatra Jonxis di Groningen (Danimarca) utilizzano per la prima volta il termine hypoxia in un articolo che parla della misurazione della saturazione arteriosa in pediatria. Nel 1939 Raab e Schönbrunner impiegano il termine tedesco hypoxie in un articolo riguardante l’elettrocardiogramma nell’angina pectoris. Carl J. Wiggers (1883-1962), a cui si deve la descrizione della circolazione polmonare, scrive un articolo sugli adattamenti cardiaci all’anossia acuta progressiva nel quale propone una soglia del 12% di ossigeno: al di sotto si parla anossia, al di sopra si definisce ipossia. Anossia significa assenza di ossigeno, mentre ipossia vuol dire riduzione di ossigeno.

 In conclusione il termine ipossia è stato introdotto negli anni ’40, mentre già si parlava di meccanismi di adattamento alla mancanza di ossigeno a partire dalla metà del XIX° secolo. La diminuzione della frequenza cardiaca massimale nel corso di un esercizio fisico in alta quota costituisce uno straordinario esempio di autoregolazione da parte di un organo che preserva la propria funzione quando è sottoposto a uno sforzo che mette la sua sopravvivenza in pericolo (ipossia+ esercizio).

L’ipossia rappresenta, dunque, uno straordinario modello di studio dei meccanismi di adattamento dell’organismo a situazioni alquanto severe. Ciò non è sorprendente sapendo che l’ossigeno è indispensabile alla vita.

 

Acclimatazione e allenamento

 

Frank Brocherie del Laboratoire Sport, Expertise et Performance di Parigi ha presentato una relazione dal titolo “Le point et l’actaulité sur les méthodes d’entraînement en hypoxie de l’athlète”. Il relatore si è chiesto se un atleta allenato in alta quota può effettuare una bella prestazione sul livello del mare. Un’acclimatazione è necessaria prima di una competizione in altitudine. Sebbene controversi, i metodi cronici di allenamento permettono di migliorare la massa emoglobinica, la VO2 massimale e la performance sul livello del mare. Il paradigma live-low train-high offre opportunità di tipo innovativo per incrementare la performance degli atleti. Alcuni adattamenti muscolari periferici permettono in funzione dei metodi di sviluppare l’ipertrofia, la forza e/o di ritardare la comparsa della fatica. La combinazione di metodi di tipo cronico e di tipo acuto permette di aumentare gli adattamenti. La gamma dei metodi si dimostra ben più vasta che in passato. Vi sono dei metodi emergenti che si basano sull’adattamento non ematologico per incrementare la performance fisica. Molte sono le vie (interazione/interferenza, durata, effetti ritardati…) da esplorare per migliorare le raccomandazioni pratiche e ottimizzare i benefici.

 

Ipossia ipobarica e normobarica a confronto

 

Thomas Rupp del MCF, LIBM dell’Université Savoie Mont Blanc, ha parlato di “Equivalence de l’hypoxie hypobarique vs. normobarique?”. In ipossia ipobarica la risposta ventilatoria acuta aumenta, ma è più debole dopo molte ore. Anche la frequenza respiratoria, l’ipocapnia e l’alcalosi aumentano. I potenziali meccanismi legati all’ipobaria sono: vasocostrizione polmonare ed ipossia aumentate, spazio morto alveolare più rilevante, formazione di microbolle intravascolari, modificazione della permeabilità ai fluidi, effetto specifico sul circolo polmonare e rapporto ventilazione/perfusione perturbato. L’ipobaria normossica può causare ascessi dentali, dolori e turbe del comportamento (studi sui ratti e sui topi).

Fattori confondenti nel confronto tra ipossia ipobarica e normobarica sono durata e profili di esposizione/dose ipossica; formule di equivalenza altitudine/pressione barometrica utilizzate; latitudine/altitudine; affidabilità/precisione degli strumenti/ipossidatori/camera ipobarica; tipo di attività (bicicletta o tapis roulant); difficoltà nella randomizzazione/sessioni alla cieca; variazioni giornaliere; variazioni interindividuali di sensibilità all’ipobaria e ai delta di pressione barometrica; campioni insufficienti. L’allenamento in altitudine/ipossia ha portato a numerosi avanzamenti che hanno permesso di ottimizzare la prestazione.

La scelta della dose ipossica (livello e durata) e del carico di allenamento (contenuto, volume e intensità) sono fondamentali per massimizzare l’incremento della prestazione fisica con l’allenamento in altitudine. Qualsiasi metodo di allenamento in altitudine /ipossia comporta vantaggi e inconvenienti. Una scelta attenta è necessaria prima dell’applicazione in funzione di un determinato sport. La presentazione ha aperto un breve dibattito.

Così si è conclusa la sessione del mattino dedicata a fare il punto sull’allenamento in una condizione di ipossia; all’analisi dei due tipi di ipossia, ipobarica e normobarica, al fine di individuare similitudini tra i due e come si è evoluta negli anni la ricerca per quanto riguarda le situazioni in cui si verifica una carenza di ossigeno.

Hanno partecipato nel ruolo di moderatori Alice Gavet di Chamonix e Samuel Vergès di Grenoble.

 

SECONDA SESSIONE

 

Sonia Popoff di Chamonix e Stéphane Doutreleau di Grenoble hanno moderato la seconda sessione del convegno.

 

Donne in montagna

 

La pediatra Dominique Jean di Grenoble ha parlato di “Femme en altitude”. Circa l’epidemiologia del male acuto di montagna (AMS) il rapporto tra donna e uomo è di 2:1 secondo Peter Hackett, di 8:1 secondo Jean Paul Richalet (1996) e di 2:1 sempre secondo Richalet (2020). Gli edemi periferici sono più frequenti tra le donne, così come l’edema polmonare d’alta quota.

L’incidenza dell’AMS e la prestazione non sono influenzate dalle fasi del ciclo mestruale. L’asse renina-angiotensina viene attivato durante la fase luteinica (edemi periferici?). La vasocostrizione polmonare è meno marcata negli animali di sesso femminile. L’alta quota, come il jet lag, l’esercizio intenso, il freddo e la perdita di peso possono interferire sul ciclo mestruale (Creff 1982, Escuderi 1996). Una carenza di ferro può ostacolare l’acclimatazione a quote molto elevate. È raccomandata una supplementazione di ferro prima di una spedizione alpinistica se i valori di ferritina sono bassi (Richalet 1994, Reeves 2001).

 L’uso di contraccettivi estro-progestinici non presenta vantaggi o svantaggi per quanto riguarda l’acclimatazione in alta quota (Sandoval 1997).

Per quanto riguarda le donne incinte va tenuto presente che l’accesso a strutture sanitarie è limitato in luoghi remoti. La donna gravida deve idratarsi in modo accurato in alta quota (Niermeyer 1999). Il rischio di male acuto di montagna (AMS) nella donna gravida non è diverso rispetto a quello di chi non lo é (Niermeyer 1999). L’uso dell’acetazolamide è controindicato. I rischi nella gravida possono essere aborto spontaneo, morte del feto (?), preeclampsia. Per quanto riguarda l’adattamento alla quota si registrano un aumento della ventilazione (Moore 1982), della morfologia della placenta e del flusso sanguigno nell’arteria uterina (Wilson 2007). Nel feto si verificano un’aumentata eritropoiesi e un incremento dell’emoglobina fetale (Hb F). Nel caso di un breve soggiorno a meno di 2500 metri non vi sono rischi particolari per una gravidanza fisiologica, con esercizio fisico moderato e in non fumatrici (Artal 1995, Huch 1996). In caso di un lungo soggiorno a oltre 2500 metri di quota i rischi possono essere preeclampsia, distacco di placenta e morte fetale, ritardo di crescita intra-uterina (Keves 2003). L’attività fisica può causare ipossia fetale o travaglio di parto anticipato. Controindicazioni all’alta quota dopo le 20 settimane di gravidanza: ipertensione arteriosa, preeclampsia, insufficienza placentare, patologie materne di tipo cardiaco o respiratorio, anemia, tabagismo. L’esercizio fisico oltre i 2500 metri va effettuato dopo qualche giorno, evitando un’attività fisica troppo intensa. La mortalità neonatale in altitudine è dovuta a ipotrofia e prematurità, mentre la morbidità è causata da problemi respiratori. La transizione del circolo è perturbata dall’ipossia: ritardo o assenza della chiusura degli shunt anatomici fetali, da cui una prevalenza aumentata del canale arterioso e del foramen ovale permeabile all’altitudine.

 

Bimbi e montagna

 

Susi Kriemler dell’Epidemiology, Biostatistics and Public Health Institute dell’Università di Zurigo, ha presentato una relazione dal titolo “A hypoxic journey through childood”, ergo ha parlato del bambino in montagna. Susi è madre di due bambini, un’alpinista entusiasta, pediatra con interesse per la medicina sportiva, ricercatrice dell’Università di Zurigo nel campo della salute riguardante l’attività fisica del bambino, presidente della Società di Medicina Sportiva Pediatrica.

 Le fasi dell’età evolutiva sono lattante (meno di un anno), infante ai primi passi (1-4 anni), bambino (5-9 anni), adolescente (10-18 anni). I neonati (0-30 giorni di vita) e i lattanti (fino all’anno di vita) che vivono in alta quota presentano una diminuita ossigenazione che può, in rari casi, predisporre ad una più alta incidenza di SIDS (Sudden Infant Death Syndrome), la morte improvvisa del lattante o morte in culla. Fattori di rischio sono la posizione prona durante il sonno, l’esposizione al fumo di sigaretta, la diminuita ossigenazione cerebrale (esposizione all’alta quota?). I piccolissimi sani desaturano durante il sonno e presentano un respiro periodico (periodic breathing). A 3000 metri presentano, durante il sonno, una desaturazione inferiore all’80%. Il respiro periodico fino a tre mesi è fisiologico.

I bambini in età prescolare sono imprevedibili, quindi, risulta difficile formulare un giudizio e formulare una diagnosi differenziale: ammalati o annoiati o arrabbiati? Il children Lake Louise Score non è utilizzabile. È meglio usare il buon senso. Un bambino che non si comporta in modo normale ad alta quota soffre di AMS fino a prova contraria. Capire di cosa si tratta dipende molto dall’intuito dei genitori. Tra i bambini e gli adolescenti vi è una certa relazione lineare tra quota e AMS. La capanna Möncsjoch, situata nell’Oberland Bernese a 3450 metri di quota, è un luogo fantastico per effettuare ricerche. L’AMS nei bambini è stato poco studiato. Dipende dall’altitudine raggiunta, dalla velocità di ascesa, dall’ereditarietà, dalla genetica, da una suscettibilità individuale. Fondamentale è la prevenzione: ascesa lenta (non più di 300-500 metri di dislivello per notte), rallentare se compaiono sintomi e non scompaiono. Sono segnalati disturbi del sonno e mal di testa. L’AMS può essere di tre gradi: lieve, moderato, severo.

Farmaci per il trattamento e la profilassi dell’AMS lieve sono acetazolamide, ibuprofene, paracetamolo; per l’AMS severo desametasone.

L’edema polmonare d’alta quota (HAPE) è molto raro tra i bambini e presenta gli stessi sintomi degli adulti. Potrebbe spesso essere prevenuto e può mettere in pericolo la vita. Tra i fattori di rischio segnalati una suscettibilità individuale, un’infezione respiratoria pregressa o in corso, una malattia cardiaca congenita, l’ereditarietà. Di solito compare oltre i 3500 metri. È dovuto ad una aumentata pressione dell’arteria polmonare causata dall’ipossia o da un’infezione respiratoria, o da una malattia cardiaca congenita. Il farmaco da utilizzare è la nifedipina. In caso di edema cerebrale d’alta quota si utilizza il desametasone.

Dopo la pausa pranzo, sono ripresi i lavori del convegno, moderati da Pierre Bouzat di Grenoble e da Sébastien Baillieul di Grenoble.

 Caroline Gilbert di Maisons-Alfort ha presentato una relazione dal titolo

 

L’elefante di mare: sommozzatore estremo

 

“Un modèle unique d’exposition à l’hypoxie: l’élephant de mer”.  Appartenente alla famiglia delle foche, l’elefante di mare del sud (Mirounga leonina) è un sommozzatore dell’estremo, capace di effettuare delle immersioni fino a 2000 metri per un periodo massimo di 120 minuti. Questo mammifero possiede la capacità di mantenere le proprie funzioni cognitive malgrado le condizioni ipossiche estreme nel corso di immersioni lunghe e profonde. Ciò accade grazie a un meccanismo di ridistribuzione del sangue e dell’ipotermia. Si tratta di un modello animale unico per studiare i meccanismi fisiologici di tolleranza all’ipossia. È stato programmato uno studio nell’arcipelago di Kerguelen, situato nell’oceano indiano meridionale, su tre gruppi di animali: 21 individui svezzati, 27 soggetti inesperti e 18 soggetti adulti. Sono state studiate l’attivazione e l’ossigenazione cerebrale nel corso delle immersioni. Sono state registrate l’attività cerebrale (elettroencefalogramma), l’attività cardiaca (elettrocardiogramma) e l’attività muscolare.

Il progetto è utile per verificare come l’uomo che pratica l’immersione libera mette in opera dei meccanismi di tolleranza all’ipossia estrema con l’allenamento. Le conoscenze acquisite potranno aiutare i pazienti che soffrono di apnee notturne con nuovi potenziali approcci terapeutici.

 

Ascensione rapida: la nuova forma di alpinismo

 

Benoit Champigneulle di Grenoble ha presentato “Réponses physiologiques et psychocognitives lors d’une ascension express du Mont Blanc”. Il relatore ha parlato di ascension express o speed ascent, una nuova forma di alpinismo. Nel mese di settembre del 2019 è stato effettuato uno studio sull’organismo umano sottoposto ad uno sforzo prolungato e intenso in un gruppo di 12 alpinisti di alto livello con un’età media di 26 anni, appartenenti al GEAN (Group Excellence Alpinisme National). I partecipanti sono saliti, con un’ascensione cronometrata, sulla vetta del Monte Bianco dal versante francese, partendo da Les Houches, passando dal rifugio del Goûter (3835 metri) e dalla capanna Vallot (4362 metri). Il laboratorio EXALT, in collaborazione con l’ENSA di Chamonix, ha realizzato uno studio riguardante l’effetto dell’esercizio fisico e dell’ipossia sulla performance cognitiva, valutando effetti positivi e negativi. Gli alpinisti più veloci hanno coperto il percorso in sette ore e venti minuti. È stato valutato l’impatto dell’esercizio fisico e dell’ipossia   sulla funzionalità cardiaca. Un’autovalutazione è stata effettuata con il questionario di Lake Louise. È stato utilizzato il test di Simon (che valuta l’attenzione selettiva) per stimare le capacità cognitive degli alpinisti, prima dell’ascensione all’ENSA (Ecole Nationale de Ski e d’Alpinisme) di Chamonix a 1000 metri e dopo l’ascensione al rifugio del Goûter, 3835 metri. Ne è emerso che la diminuzione dell’ossigenazione, il tempo di reazione e il controllo inibitore sono conservati in altitudine dopo uno sforzo intenso. Sono state effettuate ecocardiografie transtoraciche per valutare la funzione biventricolare sistolica e diastolica e la pressione arteriosa polmonare, nonché uno studio non invasivo del lavoro miocardico. In conclusione una speed ascent rappresenta un modello unico sul terreno per studiare l’effetto dell’associazione di uno sforzo fisico prolungato e intenso e di un’esposizione all’ipossia acuta. Un esempio di risposta organo-specifica ad uno stress psicologico su una determinata popolazione. Ulteriori studi potrebbero essere effettuati per valutare l’impatto sull’apparato locomotore, sulla funziona vascolare endoteliale, sulle modificazioni del compartimento vascolare e sull’infiammazione.

 

Dormire (male) in Antartide

 

Michael Furian di Zurigo ha presentato una relazione dal titolo “Sleep and physiological constraints in Antarctica”. I ricercatori che vivono nelle basi in Antartide sono sottoposti a periodi di luce o di buio continui, all’isolamento, al freddo e all’ipossia. Si tratta di un modello unico per effettuare studi prolungati sull’adattamento dell’organismo umano a differenti condizioni ambientali stressanti. Presso la base Concordia, situata a 3233 metri di quota, sopra uno strato di ghiaccio di 3000 metri, l’ipossia persistente provoca iperventilazione. I ricercatori vanno incontro ad una riduzione dell’efficacia del sonno. L’high altitude periodic breathing può causare disturbi del sonno e della sua qualità soggettiva. Persistenti alterazioni del riposo notturno sono presenti durante la permanenza di un anno alla base Concordia. In sintesi, vivere in questa zona del mondo comporta l’esposizione a bassa pressione barometrica (35% in meno di ossigeno), alterazioni della luce del giorno, isolamento e freddo. I ricercatori vivono in condizione di ipossia che determina ipocapnia. Il sonno è disturbato sia in modo acuto che cronico: alterazioni del ritmo circadiano dovute ai periodi di continua luce o di continuo buio e presenza del periodic breathing. La pressione arteriosa tende ad aumentare. Samuel Vergès di Grenoble ha ideato il Project SleepCount, sleep and cardiovascular disturbances under space analogue exploration conditions. Una spedizione in Antartide si associa a cambiamenti della struttura e della qualità del sonno. Scopo del progetto valutare se una permanenza di 12 mesi alla base Concordia può influenzare il sonno (nocturnal breathing pattern) e l’apparato cardiovascolare. Viene effettuato un raffronto tra lo stare in Antartide e lo stare a Dumont d’Urville (202 metri). Lo studio è iniziato tra il 2019 e il 2020 su 12 soggetti di età media 30,6 anni. La permanenza di un anno a Concordia mostra un persistente incremento della pressione arteriosa e alterazioni del sonno (meno profondo e più superficiale). Lo studio è proseguito nel 2021 e continuerà nel 2022 ancora per valutare l’associazione tra disturbi della respirazione durante il sonno e alterazioni della pressione arteriosa. I risultati potranno portare a misure di prevenzione riguardanti coloro che lavorano nella base Concordia (acetazolamide, ossigenoterapia).

 

Ferro e altitudine

 

Paul Robach, guida alpina e ricercatore dell’ENSA di Chamonix e Stéphane Doutreleau dell’UM Sports et Pathologies CHU di Grenoble, hanno parlato di “Fer et Altitude”. La relazione ha fatto qualche richiamo al metabolismo del ferro, all’effetto esplicato su di esso dall’altitudine e alla eventuale necessità di supplementazione. Il ferro è un elemento ambivalente: è essenziale per il trasporto dell’ossigeno nel sangue ( a carico di emoglobina e mioglobina), trasporto e scambio di elettroni (respirazione cellulare e funzionamento degli enzimi). L’organismo umano contiene 4 grammi di ferro (1,8 grammi nei globuli rossi, 0,3 grammi nella mioglobina, ferro funzionale, e 1 grammo nel fegato, ferro di riserva). Il ferro circolante è pari a 0,003 grammi. Ogni giorno 15-20 mg. di ferro vengono introdotti nell’organismo con la dieta. A livello intestinale (enterociti duodenali) vengono introdotti ogni giorno 1-2 mg. (10% dell’apporto alimentare). L’assorbimento del ferro eme (carne, pesce) è superiore a quello del ferro non eme (verdure). Viene eliminato attraverso la desquamazione delle cellule (1 mg. al giorno), attraverso le mestruazioni (0,4-0,8 mg. al giorno) e qualsiasi altro sanguinamento. Le donne perdono 1,5-2 mg. al giorno e gli uomini 1 mg. al giorno. I macrofagi riciclano 20-25 mg. di ferro a partire dai globuli rossi che hanno concluso il loro ciclo vitale. Il metabolismo del ferro è un circuito chiuso. L’assorbimento e l’escrezione sono scarsi, mentre la parte del leone la fa il riciclaggio. La saturazione in ferro della transferrina in condizioni normali è del 30% (16% deficit di ferro, 45% sovraccarico, 60% accumulo di ferro e conseguente danno cellulare). Le principali proteine legate al ferro sono il recettore solubile della transferrina (importazione di ferro nei tessuti), ferritina (ferro di scorta nei tessuti), ferroportina (FPN, esportazione del ferro tissutale), epcidina (regolatore del metabolismo del ferro), eritroferrone (inibitore dell’epcidina). In condizioni di ipossia dovuta all’alta quota l’eritropoietina aumenta. L’eritroferrone aumenta (aumentata inibizione dell’epcidina), mentre l’epcidina diminuisce (diminuita inibizione della ferroportina). La ferroportina aumenta. Il recettore solubile della transferrina aumenta (aumentata importazione di ferro negli eritroblasti), mentre la ferritina diminuisce (diminuito accumulo di ferro nei tessuti). In alta quota il tessuto eritropoietico acquisisce ferro, mentre il tessuto muscolare lo perde. Un’esposizione prolungata all’altitudine determina una diminuzione di ferro. Ciò non si registra tra coloro che vivono in permanenza in alta quota o tra i pazienti che soffrono di male cronico di montagna (eritrocitosi eccessiva).

 In conclusione, nel corso dello studio effettuato a La Rinconada, la città del Peru più alta del mondo (5100 metri), si è evidenziato un accumulo di ferro tra coloro che risiedono in permanenza in alta quota (aumento dell’assorbimento intestinale di ferro indotto dall’ipossia?). Si è visto, inoltre, una diminuzione dell’epcidina unicamente tra i pazienti che soffrono di male cronico di montagna (meccanismo supplementare di difesa del ferro di deposito?).

 

Supplementazione: quando sì

 

Stéphane Dutreleau ha, poi, parlato di “Supplementation en fer et altitude”. L’anemia è la manifestazione tardiva dell’abbassamento dei depositi di ferro, che vanno valutati e supplementati prima che si determinino conseguenze. Uno stato di carenza di ferro si verifica nel 35% nei soggetti che hanno subito interventi di cardiochirurgia, nel 50% dei soggetti affetti da insufficienza cardiaca e negli atleti (11% negli uomini e 35% nelle donne). Nel soggiorno in altitudine vengono utilizzate le riserve di ferro. Dopo cinque giorni di permanenza a 4559 metri diminuiscono il ferro sierico di due terzi; la saturazione della transferrina dal 26,8% all’8,7%; la ferritina da 81 a 48 microgrammi. Si devono sempre verificare le riserve di ferro. Prima della partenza per una spedizione alpinistica vanno decise altitudine e durata. Vanno verificati i valori ematici di emoglobina, ferritina e saturazione della transferrina. Attualmente non è ancora chiaro se la supplementazione in ferro vada effettuata oltre che nei soggetti anemici e nei soggetti non anemici con basse riserve di ferro anche di routine. Il trattamento può essere fatto per via orale per almeno 3 mesi. Si può ricorrere a una dieta ricca in ferro, comunque difficile da impostare e, spesso, insufficiente.

 

L’acetazolamide in altitudine

 

Stéphane Doutreleau ha parlato anche di “Utilisation de l’acétazolamide en altitude”. Il relatore ha fatto il punto sull’utilizzo del farmaco per la prevenzione e la cura del male acuto di montagna (AMS). Si tratta di un diuretico appartenente alla famiglia dei sulfamidici, che inibisce l’anidrasi carbonica. Si lega in modo forte alle proteine plasmatiche e viene eliminato essenzialmente per via renale (24 ore). Produce una diminuzione della pressione intraoculare e a livello del sistema nervoso centrale esercita un effetto anti-secretorio nei plessi coroidei, determinando un decremento del liquido cefalorachidiano. Può produrre effetti secondari come parestesie, disgeusia, poliuria e fatica. Tende ad abbassare la prestazione soprattutto nei soggetti che hanno più di 50 anni. Migliora la qualità del sonno in altitudine, riducendo gli episodi di apnea, i risvegli notturni e migliorando la SpO2 media. Nei soggetti con forte miopia può determinare il distacco della retina. Diminuisce la litiemia. Va evitata l’associazione con l’aspirina. Può alterare l’equilibrio glicemico ed ha un effetto antipertensivo. In conclusione rimane la molecola di scelta in alta quota in profilassi o in terapia. Il dosaggio ottimale deve essere personalizzato in base ai sintomi e agli eventuali effetti indesiderati prodotti.