Bergamo Scienza 2017

G.C Agazzi

Anche quest’anno Bergamo Scienza ha preso il via, ormai giunta alla sua XV^ edizione. Questo prestigioso Festival della Scienza che ogni anno accende la voglia di sapere, di toccare edi parlare di scienza è iniziato il 30 settembre e si è concluso il 15 ottobre 2017.Si è trattato di una non-stop di eventi gratuiti e aperti a tutti, per offrire a ognuno la possibilità di scoprire e guardare il mondo con occhi diversi, un caleidoscopio di laboratori, mostre interattive, spettacoli, conferenze e concerti. Come di consueto anche il CAI Bergamo ha partecipato al Festival con due eventi che hanno riscosso successo, entrambi organizzati presso il Palamonti.

La prima sessione, intitolata “1915-18: Guerra Bianca e Sanità Militare”, si è svolta la sera del 13 ottobre. Tre i relatori. Giancelso Agazzi, della Commissione Centrale Medica del CAI ha parlato della Sanità Militare nel corso della Guerra Bianca in Adamello. Tra i tanti macabri record stabiliti dalla Prima Guerra Mondiale c’è anche questo: mai prima di allora si eracombattuto a quote così alte. Il fronte italiano si snodava in gran parte lungo le Alpi Centro-Orientali, toccando la Carnia, l’Altipiano di Asiago e le Dolomiti. Il settore più elevato era quello occidentale, i gruppi dell’Ortles-Cevedale e dell’Adamello-Presanella, dove oggi passa il confine tra la Lombardia e la provincia autonoma di Trento e all’epoca correva la frontiera tra Regno d’Italia e Impero Austro-Ungarico. Oltre 3000 uomini vissero e combatterono in ogni angolo del gruppo dell’Adamello

Fu soprattutto su queste montagne, sui ghiacciai perenni che raggiungono e superano i 3.000 metri di altitudine, che si combatté la cosiddetta Guerra Bianca: più che una successione di battaglie, una serie di colpi di mano, di incursioni a metà tra l’impresa militare e il cimento sportivo, spesso una guerra tra pattuglie. La Prima Guerra Mondiale fu l’occasione per i medici di sperimentare e migliorare nuove cure, nuove tecniche di intervento, nuove procedure. Tra le sanità militari degli eserciti in campo quella italiana si distinse per organizzazione e risultati, pur essendo impreparata all’inizio di fronte agli aspetti nuovi e impressionanti del conflitto, che si pensava sarebbe stato breve. Sul fronte dell’Adamello si registrarono 1300 morti, compresi gli operai militarizzati. Il recupero dei feriti era talvolta una vera e propria impresa: tra granate, raffiche di mitragliatrici, fucilate dei cecchini e corpi di soldati morti o abbandonati. L’infermeria Davide Carcano trasformata via via in un vasto ospedale capace di 50 brande o di 150 lettini sovrapposti, munito di una sala operatoria, sala di medicazione, bagno, cucina economica, termosifone, cucina economica, servizi moderni, era una costruzione in muratura, un vero ospedaletto. Sorgeva dove ora si trova il Rifugio Garibaldi in Val d’Avio.

I lavori di ampliamento furono diretti dal tenente del Genio Alessandro Volta nell’agosto 1915. Una teleferica arrivava davanti all’ingresso dell’edificio. Giuseppe Carcano, 38 anni, capitano medico della 5^ Sezione di Sanità, era il dottore del Rifugio Garibaldi, nessuno lo chiamava con altro nome. Era il titolo migliore della sua nobiltà alpina. Fu l’artefice e l’anima del sistema sanitario sul fronte dell’Adamello. Era anche un organizzatore capace e infaticabile, dotato di una volontà inflessibile. Volle essere richiamato nel corso della Guerra Bianca e prestò servizio per quattro anni, senza concedersi riposi o avvicendamenti. In alta quota, per i novizi, esisteva il mal di montagna, che si manifestava con spossatezza, mal di testa, nausea, vomito, senso di oppressione al petto, carenza di aria, sudorazione, svenimento (AMS).

Sui nevai e sui ghiacciai, vi era pure il pericolo di insolazione, di colpi di calore, di scottaturee di congiuntiviti (oftalmia)

Le malattie più frequenti furono quelledell’apparato respiratorio e quelle reumatiche.

Bronchiti e polmoniti erano all’ordine del giorno.

Numerosi i casi di congelamento o di ipotermia, causati dal freddo , dalle valanghe, dall’alta quota e dall’ alimentazione, dalla disidratazione, dalla mancanza di mezzi di riparo, dalle calzature umide ai piedi di notte, e dalle intense fatiche.

La chiamavano la “morte bianca” quella causata dalle valanghe, che non diede tregua ai combattenti o agli uomini delle corvée, soprattutto, che salivano in alta quota per portare ogni genere di materiale in prima linea.

Ogni Compagnia di Alpini aveva in dotazione4 barelle e borse di sanità contenenti garze, bende, lacci emostatici, filo per sutura, siringhe, disinfettanti (iodio, alcool, acqua), etere e cloroformio come anestetizzanti, antiparassitari, e fiale di morfina. In genere vi era un posto di medicazione per Battaglione, situato in un luogo riparato, lontano dal fuoco nemico. I feriti venivano trasportati dai campi di battaglia su slitte trainate da asini o da cani, oppure portati a spalla dai soldati della Sanità. I medici erano dotati di un’attrezzatura minima, composta da garze, alcuni strumenti chirurgici, grappa e cognac come anestetico e, quando c’era, morfina per alleviare il dolore dei feriti più gravi.

È seguita una relazione di Marco Zanobio, della Società Italiana di Storia della Medicina, che ha parlato del Capitano Medico Giuseppe Carcano.

Medico definito generoso e valoroso, fu una figura di riferimento per la Sanità Militare in Adamello. Fu l’ideatore ed il direttore dell’Infermeria Davide Carcano che sorgeva nel villaggio militare del Garibaldi, nella conca delVenerocolo. L’infermeria venne intitolata al padre di Giuseppe Carcano, garibaldino che combatté a Bezzecca. Giuseppe Carcano nacque a Milano il 20 luglio del 1877, studiò medicina presso la Regia Università di Pavia nel 1904. Volontario nella guerra di Libia del 1911, entrò in guerra il 24 giugno del 1915 facendo parte della Quinta Sezione Sanità. Era noto agli Alpini come “ol dutur del Rifugio Garibaldi”. Organizzò i servizi sanitari militari, occupandosi anche della prevenzione e dell’ alimentazione delle truppe alpine, curandone anche gli aspetti igienici. Fu in grado di essere vicino ai soldati anche dal punto di vista psicologico. Organizzò i soccorsi sui campi di battaglia, migliorando il sistema di “triage” ed i trasporti sui ghiacciai dei soldati feriti su barelle-slitta, dotate di sci. L’infermeria Carcano rappresentò un importante avamposto rispetto al complesso sistema di primi punti di soccorso, in stretto collegamento con i punti di primo intervento, le infermeriee gli ospedali della Val Camonica. Vicino all’infermeria era situata la stazione della teleferica che trasportava i soldati feriti fino a malga Caldea in Val d’Avio. Giuseppe Carcano, che partecipò anche alla Seconda Guerra Mondiale con il grado di tenente colonnello medico,morì a Milano l’8 febbraio 1962. Ebbe una figlia, Giuditta, pure medico, tuttora vivente a Milano. 

Per ultimo Diego Leoni, insegnante e ricercatore di Rovereto, ha parlato degli aspetti sanitari della Grande guerra in montagna. Il relatore, autore tra l’altro del libro “La guerra verticale”, Einaudi, 2015, ha illustrato alcuni aspetti inediti della Grande guerra in montagna. Con lo scoppio della guerra, la montagna si è popolata di persone, i soldati, che si sono sparse ovunque lungo tutto il fronte alpino. Mai si sarebbe pensato che una guerra si potesse spingere tanto in lato, al punto di essere combattuta a più di tremila metri di quota in alcune zone del fronte.La guerra ha portato inquinamento. La sovrapopolazione ha creato non pochi problemi. I nemici maggiori sono stati il freddo e tutte le difficoltà dovute all’ambiente ostile.