Emergenze in montagna: il convegno della New Mexico University

A fine aprile si è svolta una conferenza virtuale organizzata da un team di specialisti statunitensi allo scopo di descrivere lo stato dell’arte.

G.C. Agazzi

 

Dal 30 aprile al 2 maggio 2021 si è svolto il convegno dedicato alla medicina di emergenza in montagna organizzato dall’Università del New Mexico.

Hanno presentato e moderato l’incontro Darryl Macias e Jason Williams, entrambi appartenenti all’International Mountain Medicine Center dell’Università del New Mexico.

 

John Femling

 

John Femling, medico di emergenza, con un dottorato di ricerca (PhD) in microbiologia, primo relatore, ha parlato del Covid-19 in rapporto all’ambiente (Mountain rescue during a pandemic). La malattia può manifestarsi in tre forme: leggera (81% dei casi); moderata (14% dei casi); severa (5% dei casi). La malattia può danneggiare vari organi tra cui il cuore. Una metanalisi di cinque studi effettuati su 4210 pazienti ha evidenziato che il ritorno alla circolazione spontanea dopo un arresto cardiaco in un paziente affetto da Covid-19 è significativamente più basso (0,6 vs. 3,8) rispetto a un soggetto non colpito dall’infezione. Nei pazienti affetti da Covid-19 il ritmo è meno ripristinabile (5,7 vs. 37,4). La malattia può presentare degli effetti a lungo termine, ma è ancora presto per esprimersi con sicurezza in quanto i numeri non sono ancora del tutto significativi. Uno studio realizzato su 236.379 soggetti ha dimostrato che il 33% dei pazienti ha avuto problemi neurologici e psicologici sei mesi dopo l’esordio dell’infezione. L’utilizzo del PPE (Personal Protective Equipment) riveste un ruolo fondamentale nella prevenzione della malattia. Importante è il rapporto che si viene a creare tra il numero di virioni, la virulenza e la resistenza dell’ospite. Ha, infatti, notevole rilevanza il rapporto tra la quantità di virioni, il sistema immunitario e il ricorso a tutti i mezzi di protezione. A riguardo è stata usata la metafora delle fette sovrapposte di formaggio con i buchi: Multiple Layers Respiratory Improve Success, the Swiss Cheese Respiratory Pandemic Defense. La trasmissione attraverso la respirazione avviene meno frequentemente rispetto allo starnuto che rappresenta il mezzo più comune per il contagio.

 L’impatto dell’ambiente sull’infezione da SARS-Cov-2: i raggi solari uccidono il virus in dieci minuti circa. Sono fattori determinanti l’umidità relativa dell’aria (più secca è meglio) e la temperatura (più caldo è meglio). Importanti al fine di contenere la trasmissione del virus: mascherina, distanziamento di almeno un metro e mezzo, aria secca, luce solare e calore. La tosse, la vicinanza e gli starnuti aumentano il numero dei virioni. Nelle persone con una faccia piccola i nodi e le pieghe della mascherina possono incidere sull’ efficacia della protezione. L’uso di una doppia mascherina sotto una mascherina di stoffa può mettere al riparo dal contagio. La pandemia non è ancora passata e le precauzioni di tipo universale oggi sono state recepite dai più. Lo stare all’aria aperta è più sicuro, ma bisogna indossare correttamente una mascherina efficiente e pulita. Un singolo mezzo non è, però, sufficiente a proteggere dall’infezione. L’esercizio fisico, il sonno, l’idratazione e il vaccino potenziano il grado di immunità. L’ipertensione, l’obesità e l’immunosoppressione fanno diminuire l’immunità. Quest’ultima è qualcosa di modificabile dal comportamento di ognuno e può venire stimolata dalla vaccinazione. I PPE rappresentano i mezzi più affidabili per accrescere la resistenza al SARS-Cov-2. Attualmente esistono due tipi di vaccino. Una parte della popolazione rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione. Nuove generazioni di vaccini verranno preparate. Alcune varianti richiedono una concentrazione più elevata di anticorpi per poter essere sconfitte. Le varianti, inoltre, fanno decrescere l’efficacia del vaccino e del sistema immunitario. I vaccini rappresentano un grande aiuto, ma non possono essere considerati come una singola linea di difesa. Funzionano bene insieme ad altri fattori di protezione. Vanno distinte responsabilità di tipo personale (distanziamento, stare in casa se ammalati, lavaggio delle mani, evitare assembramenti, testing e tracing) e responsabilità condivise (mascherina, evitare di toccare la faccia, ventilazione, stare all’aria aperta, filtrazione dell’aria, quarantena e isolamento, attenzione alle indicazioni governative, vaccini).

 

Jenna M.B White

 

È seguito l’intervento di Jenna M.B. White dal titolo “Medical Technology in the Backcountry”. La relatrice ha parlato di tutti i nuovi strumenti tecnologici attualmente a disposizione dei sanitari del soccorso in montagna per monitorare i pazienti. Per esempio l’utilizzo di piccoli ecografi (ecosfast) in grado di diagnosticare versamenti intracavitari in caso di emorragie interne. Addome e torace possono essere visionati rapidamente. È possibile fare una valutazione del paziente ovunque si trovi. L’ecofast può servire anche in caso di cricotiroidotomia qualora si verifichi una gestione difficoltosa delle vie aeree per individuare dei punti di repere, utili a rendere la procedura più sicura. L’uso di un ecocardiografo, all’interno di un elicottero, è più affidabile dal momento che l’utilizzo del tradizionale stetoscopio viene reso difficile dal rumore prodotto dal rotore.

 

Michael J. Lauria

 

Michael J. Lauria, dell’Università del New Mexico, ha, poi, preso la parola con una presentazione dal titolo Austere Critical Care. Michael ha partecipato in passato a numerose missioni di soccorso come medico militare statunitense (Air Force Rescue) in Iraq. Ha acquisito una grande esperienza sul campo nella gestione del circolo, delle vie aeree, delle emorragie e della nutrizione (controllo glicemico) in soldati gravemente feriti. Si è occupato dell’analgesia (sedazione) sul campo, nella fase pre-ospedaliera, quando i tempi di evacuazione si allungano. Ha parlato di tutti i problemi che nascono quando la durata dell’assistenza a un ferito deve prolungarsi (prolonged field care) o quando non si sa dove trasportare un ferito in una situazione difficile. Va controllato il dolore, vanno prevenute ulteriori ferite e vanno ottimizzate le condizioni cliniche. Si devono somministrare liquidi per idratare i soggetti. Va effettuato un attento controllo delle infezioni e garantita la nutrizione. La medicalizzazione dei pazienti va pianificata e deve essere tempestiva. Attualmente Michael si occupa di soccorso in montagna, utilizzando l’esperienza acquisita come medico militare.

 

Larry Koren

 

Larry Koren, pilota di elicottero di Albuquerque in New Mexico, ha parlato delle procedure che  stanno sempre più migliorando nell’elisoccorso in montagna. Titolo della presentazione In-flight discussion of helicopter rescues. Grazie all’avvento di nuove tecniche, si assiste a una diminuzione del rischio. Larry collabora con l’Università del New Mexico, con l’Ikar e con Air Zermatt. Fondamentale è l’addestramento del personale che deve imparare a lavorare in team, facilitando la discussione, applicando i protocolli e verificando l’equipaggiamento.

 

Ancora Jenna M.B. White

 

Jenna M.B. White ha ripreso la parola per descrivere casi clinici riguardanti la Wilderness Emergency Medicine. Va effettuata nel corso di un incidente in montagna un’accurata valutazione della situazione e delle necessità immediate. Si deve cercare di raggiungere un’eccellenza nonostante le condizioni difficili in cui ci si trova durante un soccorso in ambiente impervio. Va individuata una cura appropriata. Importante è l’addestramento del personale sanitario.

 

Trevor Mayschak

 

Trevor Mayschak, paramedico del dipartimento di medicina di emergenza dell’Università del New Mexico, ha, poi, parlato dell’importanza dell’attività fisica per ridurre i rischi anche l’insorgenza di malattie cardiovascolari. L’esercizio deve essere graduale e regolare nell’intensità. Va evitato il calore eccessivo e curata l’idratazione attraverso l’ingestione di liquidi, per evitare che l’attività fisica produca un danno muscolare (rabdomiolisi).  Nell’affrontare un ambiente molto caldo occorrono allenamento e un’acclimatazione adeguati.  

 

Darryl Macias e Joe Alcock

 

Darryl Macias e Joe Alcock hanno, poi, parlato dell’acclimatazione all’alta quota e dei vari meccanismi di compensazione che si attuano gradualmente nel tempo quando si sale. L’output cardiaco aumenta in tre ore, l’aumento della frequenza ventilatoria si instaura in tre giorni. In sette giorni si verifica il rilascio compensatorio attraverso i reni dei bicarbonati, in tre settimane si attua l’aumento dell’emoglobina, in tre mesi aumenta il numero dei mitocondri, e in tre anni si verificano i cambiamenti di tipo cronico (popolazioni andine). Darryl ha parlato del Lake Louise Score che è utile nel valutare la comparsa del male acuto di montagna (AMS). Quest’ultimo è caratterizzato da apnea notturna, affaticamento, vertigini, mal di testa, anoressia, nausea e vomito. Importante l’utilizzo della camera ipobarica per ottenere una condizione di ipossia normobarica, utile per acclimatarsi, prima di una spedizione alpinistica, rimanendo al livello del mare. Attualmente esiste un sofisticato sistema che permette di misurare la dose ipossica (accumulated altitude exposure hypoxic dose). Il sistema consente di costruire la graduale ascesa in quota che induce l’acclimatazione ed evita l’insorgere dell’AMS. Lo stato di acclimatazione viene definito in base alla presenza o all’assenza di AMS dopo 24 ore di esposizione a 4000 metri, come evidenziato da uno studio effettuato su 188 volontari (147 uomini e 41 donne).

 Fattori predittivi possono essere l’età e il Body Mass Index (BMI). Darryl ha parlato delle sostanze che sono proibite, causa di doping, come descritto da un documento della commissione medica dell’UIAA (riguardante le sostanze dopanti in montagna, “UIAA MedCom Consensus guide on drug and misuse in the mountains”). In particolare si è soffermato sull’utilizzo dell’acetazolamide, un farmaco utilizzato per la profilassi e la cura dell’AMS.

 

Drew Harrel

 

Drew Harrel, medico di emergenza dell’Università del New Mexico, direttore sanitario del Grand Canyon National Park, ha presentato una relazione dal titolo Sick in the big ditc, heath illness & lessons from the Grand Canyon. Il parco americano dista circa 650 chilometri da Albuquerque ed è molto frequentato da turisti e escursionisti. La distanza tra i due rim (bordi) del Grand Canyon varia tra 35 e 38 chilometri. Si tratta di un itinerario molto frequentato dagli escursionisti, soprattutto nel periodo estivo, quando il calore è notevole. Molti sono gli interventi di soccorso soprattutto a causa di casi di ipertermia. Proprio per questo sono state scritte delle linee guida con delle raccomandazioni per i frequentatori. È sata costituita la rim to rim patrol che sorveglia e che può intervenire in caso di necessità. Il relatore ha illustrato alcuni casi di iponatremia che si sono verificati tra i frequentatori del Grand Canyon a causa del calore eccessivo.

 

Annaleigh Boggess

 

È seguita la presentazione di Annaleigh Boggess che ha parlato dei cambiamenti climatici in atto e del conseguente impatto sulla salute dell’uomo (Climate change & human health). L’incremento delle emissioni da parte delle industrie sta facendo salire il tasso di anidride carbonica nell’atmosfera. Anche il soccorso in montagna ha subito conseguenze dovute al cambiamento climatico. Le valanghe sono divenute più frequenti e più pericolose anche a causa della diversa qualità della neve e del ghiaccio, come segnalato in uno studio effettuato in Svizzera. Quest’anno in Colorado si è verificato il più alto numero di morti causate da valanga degli ultimi cento anni. Nell’Himalaya occidentale l’innalzamento della temperatura fa aumentare il rischio di valanghe, che sono più frequenti, più violente e con una maggiore superficie. Lo scioglimento del permafrost nelle Alpi sta causando effetti devastanti. Anche in Himalaya si sta assistendo ad un graduale scioglimento dei ghiacciai con gravi conseguenze ambientali. Nelle zone artiche canadesi e in Groenlandia la vita degli abitanti è diventata più difficile e le missioni di soccorso stanno diventando più impegnative. Il futuro ci riserva siccità, incendi selvaggi, degradazione dell’aria, danni alla salute mentale.

Insorgeranno anche conflitti sociali e ingenti migrazioni di popoli. Il cambiamento climatico avrà l’effetto di una malattia socioeconomica. Vi sarà un innalzamento del tasso di mortalità tra le persone anziane del 2,8-4%. È descritta la mesoamerican nephropathy, una malattia diffusa nel centro America, dovuta allo stress calorico causato dall’innalzamento della temperatura e dalle difficoltà di reperire risorse idriche. Si segnala anche un aumento delle infezioni da miceti (Candida Auris).

Si dovrà giocare sulla prevenzione, facendo cambiare la mentalità delle persone, cercando di capire meglio i rischi locali per la salute. I sistemi sanitari nazionali dovranno collaborare con gli scienziati che si occupano di clima e con le varie corporazioni. Si dovrà pianificare in modo diverso l’organizzazione del soccorso in montagna e nel corso delle grandi catastrofi. Andranno favoriti l’uso della clean energy e del riciclo di alcuni materiali. Si dovrà imparare a limitare l’uso dell’acqua, riducendo le emissioni di sostanze gassose ed effettuando un minor spreco di cibo.

 

Angela Martz

 

È, poi, intervenuta Angela Martz, senior lecturer,  MS-PAS, DIMM che ha parlato dell’epidemiologia degli incidenti che si verificano sulle sette più alte montagne del mondo (Seven Summits). Il monte Everest presenta seicento tentativi di salita all’anno con l’80% di successo. Prima del 1996 un alpinista su 4 moriva, ora uno su sette muore. Circa gli incidenti si segnala che nel 1970 sei Sherpa morirono attraversando l’Ice Fall. Nel 1974 nel corso di una spedizione francese 19 alpinisti furono travolti da una valanga e sei morirono. Nel 1996 vi furono otto vittime. Nel 2014 una valanga uccise sedici persone al campo base. Nel 2015 un terremoto provocò una valanga che causò la morte di diciannove persone.

 L’Aconcagua (6961 metri) presenta tra i 3000 e i 5000 tentativi di salita all’anno, con una percentuale di successo tra il 30 e il 50 per cento. Tra il 2001 e il 2012 si sono registrati 42.731 tentativi di salita con 33 morti.

Il Denali (6194 metri) presenta 1200 tentativi di salita all’anno con una percentuale di successo del 50 per cento. Nel 1944 un aereo C-47 dell’esercito americano precipitò e nello schianto vi furono 18 vittime. Nel 1967 una tempesta uccise un gruppo di studenti. Il 1992 fece registrare 11 vittime, il maggior numero mai osservato.

Il Kilimanjaro (5895 metri) conta 25.000 tentativi di salita all’anno, con una percentuale di successo del 66 per cento.

 Il monte Elbrus (5642 metri) presenta 5000 tentativi di salita dal versante meridionale e 1000 da quello settentrionale, con una percentuale di successo pari al 50% da sud e al 40% da nord. Si segnalano tra i 15 e i 30 mori all’anno. Nel 2004 perirono 48 scialpinisti, snowboarders e alpinisti a causa di improvvise bufere, colpiti da ipotermia provocata dal freddo estremo.

La piramide Carstensz (4884 metri) registra 500 tentativi di salita per anno con una percentuale di successo del 90 per cento. La statistica degli incidenti non risulta bene registrata.

 Sul Mont Vinson (4892 metri), in Antartide, vengono segnalati circa 300 tentativi di salita all’anno con una percentuale di successo del 95 per cento. Non si conosce il numero delle vittime.

 

Aaron Reilly

 

Aaron Reilly, medico dell’Università del New Mexico, ha parlato dell’utilizzo degli emoderivati nella fase pre-ospedaliera del soccorso in montagna. Per prima cosa si deve cercare di arrestare le emorragie in atto e di proteggere la vittima di un incidente dall’ipotermia, organizzando appena possibile il trasporto in ospedale. Va monitorata la pressione arteriosa e vanno applicati tourniquet e altri mezzi utili a fermare l’emorragia, come una fasciatura pelvica. Si devono controllare lo stato mentale del paziente e la sua stabilità emodinamica, cercando di aumentare il cardiac output. Si verificano problemi della coagulazione (coagulopatia), aumentata produzione di acido lattico e diminuita performance cardiaca. Si devono infondere liquidi: cristalloidi, colloidi, o emoderivati. La somministrazione di plasma nella fase pre-ospedaliera porta ad un aumento di sopravvivenza nelle vittime di traumi gravi. È indispensabile costituire una walking blood bank, unità di emoderivati sempre pronti all’uso in caso di emergenza. Vanno monitorate le reazioni trasfusionali (controllo dei segni vitali ogni 15 minuti). Una restrittiva somministrazione di liquidi produce un’ipotensione permissiva e una equilibrata rianimazione. Si deve lavorare in collaborazione con il trauma center locale e con il centro trasfusionale per effettuare un programma trasfusionale in fase pre-ospedaliera.

L’ultima relazione è stata quella di Zachary Mc Kenna che ha parlato della permeabilità dell’apparato gastrointestinale nel male acuto di montagna (AMS). L’ipossia ipobarica fa diminuire la perfusione nell’intestino tenue (ipoperfusione splancnica e ischemia gastrointestinale). La funzione della barriera intestinale si indebolisce a causa della carenza di ossigeno. L’esercizio in ipossia fa aumentare le endotossine circolanti rispetto allo stato di normossia rilevabile sul livello del mare. L’esercizio in condizioni di ipossia fa aumentare i marker di permeabilità intestinale e di infiammazione. Pare che individui affetti da AMS o da HACE (edema cerebrale acuto d’alta quota) presentino uno stato di infiammazione.

Nel corso del convegno sono stati organizzati alcuni workshop.

Darryl Macias e Jason Williams hanno concluso il convegno.