LUNGO IL SENTIERO DEI ROCCOLI DI RONCOBELLO CON UN VETERANO DOC
Raffaello Calvi, tra passato e presente, con i suoi racconti fa rivivere e vivere un pezzetto dell’affascinante storia delle costruzioni che più rappresentano le montagne bergamasche
Di Giancelso Agazzi
Una mattina di settembre decido di percorrere il sentiero numero 217 dei roccoli di Roncobello per visitare a uno a una decina di antichi impianti di cattura, molto caratteristici, tipici delle Orobie. Bene integrati nell’ambiente montano, sono pregevoli esempi di architettura delle nostre valli e segni di una vecchia tradizione del territorio, cancellata dal tempo. Il sentiero vale la pena di essere percorso per gli straordinari paesaggi, per l’esposizione al sole (quando c’è) e per le caratteristiche dell’ambiente. In lontananza, a Oriente, si scorge la Presolana. Poi, l’Arera e la Cima di Valmora, il Corno Branchino, e, più a Sud, il Menna.
Il sentiero si snoda lungo una fascia situata tra i 1800 e i 1900 metri di quota, tra boschi, pascoli e antichi roccoli e assicura uno stretto, quanto vivificante contatto con la natura. Durante il cammino, si possono osservare panorami di straordinaria bellezza, assaporando il silenzio, rotto solo dai lievi fruscii della natura. La vegetazione è costituita per lo più da abeti, betulle, larici, mughi, rododendri e sorbi.
Salgo dalle baite di Mezzeno a 1591 metri. È una mattina chiara e fresca, proprio settembrina. Incontro per primo il roccolo del Tino. Il roccolo era gestito da Costantino (Tino) Milesi. Quest’ultimo, nel novembre del 1974, dopo una serata trascorsa presso il roccolo di Renato Milesi, più in basso del suo, morì scivolando per molti metri lungo i fianchi della montagna. Due lapidi sono state poste per ricordare Milesi: una dove è scivolato e un’altra dove ne è stato trovato il corpo in fondo al pendio. Dall’altra parte della valle verso Est si trova il roccolo del Martino, poco distante dal passo Branchino. Il gestore del roccolo precipitò nel novembre del 1963 a causa del ghiaccio, nel ripido canalino sotto il Corno Branchino. Il suo corpo venne recuperato il 19 aprile del 1964. Martino era proprietario di un’osteria e di un negozio di alimentari alla Costa di Roncobello.
Arrivato al pianoro di Monte Campo, e superata l’omonima baita, scorgo più in basso il roccolo di Monte Campo, detto di Zeb, a 1805 metri, costruito, intorno al 1780. Il nome del roccolo era inizialmente “Del Pì del Tec”, uno dei precedenti proprietari. La struttura venne acquistata da Adriano Donati, che gli diede il nome di un capo indiano. Adriano era molto appassionato di film western con gli indiani d’America. Il roccolo venne, poi, comperato da Raffaello Calvi dagli eredi di Simone Milesi, morto in Francia nel 1830. I parenti del Milesi, che abitavano in Francia, vennero a Roncobello per vendere le sue proprietà. Non seppero, però, che Simone era proprietario anche del roccolo di Campo. È l’unico roccolo di Roncobello che non appartiene al comune, che è proprietario solo del terreno. Più in basso del roccolo di Campo esisteva il roccolo di Campo Basso, ora trasformato in una piccola abitazione.
Scendo fino al roccolo e incontro Raffaello Calvi. Mi fermo per salutarlo e per bere un caffè. Mi siedo con lui fuori dal casello del roccolo. Raffaello (81 anni) mi racconta di quando soccorse Dario Gervasoni, figlio di Bruno, caduto sul monte Spondone. Lo raccolse ancora in vita, ma malconcio. Lo trasportò fino al roccolo e medicò le gravi ferite riportate, prima di accomagnarlo a valle. Raffaello mi parla dei due roccoli che si trovano sopra Baresi, uno a sinistra e l’altro a destra di Fopagà. Uno dei due roccoli si chiama di Turle e appartiene a Dario Gervasoni, ancora vivente. Chiedo a Raffaello come sia nata la sua passione per i roccoli. Mi risponde che uno zio materno di nome Raffaele Balestra, segretario del Tribunale di Bergamo tra gli anni ’50 e ’60, era proprietario del roccolo del Carminate di Piazza Brembana. Lo acquistò quando Raffaello aveva sei anni. Comperò il roccolo di Prà Gervasio che si trova nella zona delle Torcole. All’età di sei anni Raffaello ha incominciato a seguire lo zio quando saliva al roccolo per cacciare. Lo raggiungevano da Moio De’ Calvi. Lo zio era un uomo di alta statura e piuttosto pesante. Mentre saliva lentamente al roccolo si fermava presso una santella o un roccolo a recitare requiem per le anime dei defunti che avevano frequentato quei luoghi. Dormivano nel casello del roccolo. I materassi erano riempiti con le foglie delle pannocchie di granoturco (bisacca). Lo zio aveva, poi, preso in affitto con Onorino Gervasoni il roccolo del Traini sul monte Sole e, poi, quello del Toneta in cima alle Torcole, nel comune di Isola di Fondra, ora ristrutturato. Raffaello era stato per qualche anno tra il 1965 e il 1970 nei roccoli del monte Ortighera con Duilio Donati. Sull’Ortighera i roccoli erano tre: quello sul valico, quello della Costa della Magnana, detto del Brighelo, e il roccolo di Tomas, detto di Pierello Calvi. Dopo gli anni ‘70 Raffaello ha frequentato il roccolo di Campo seguendo Adriano Donati, fruttivendolo originario di Lenna, il quale abitava a Piazza Brembana alle Quattro Strade. La casa in cui alloggiava era stata dell’ingegner Santo Calvi, fratello di Gerolamo Calvi, padre degli eroici fratelli, che fu sindaco di Piazza Brembana per venti anni. Santo Calvi portò la ferrovia da San Giovanni Bianco fino a Piazza Brembana. Adriano Donati aveva un rottweiler che lo accompagnava sempre al roccolo. Un giorno il guardiacaccia Farina era salito fino al roccolo per dei controlli. Venne respinto in modo violento dal Donati che non lo fece entrare. Il Donati era un uomo scostante e di animo malvagio. La moglie morì di parto nel dare alla luce l’ultimo figlio.
Raffaello ama moltissimo il roccolo di Campo, dove ha vissuto momenti magici, straordinari, albe e tramonti incredibili. Vi saliva anche d’inverno con la neve, servendosi delle ciaspole e vi rimaneva anche per più di dieci giorni. Un anno la neve aveva raggiunto due metri e mezzo di spessore. Si cacciava fino alla fine di gennaio. Nella gestione dell’impianto si alternavano sei o sette amici. Si catturavano cesene, tordi sasselli, merle dal collare, peppole, crocieri, passere scopaiole, ciuffolotti, lucherini, fringuelli, tordelle. Raffaello mi dice di essere salito al roccolo qualche migliaio di volte. Solo lo scorso anno ci è andato 57 volte, per occuparsi con passione della manutenzione della struttura, anche provvedendo, anno dopo anno, alla potatura delle piante, naturalmente aiutato dagli amici. Mi confessa che sua moglie non vorrebbe lasciarlo salire al roccolo, perché ne è quasi gelosa. Raffaello ha un nipote di otto anni anche lui appassionato, che lo segue talvolta fino al roccolo. “Soggiornare lassù è lenitivo per lo spirito”, afferma Raffaello. E qualunque fatica diventa sopportabile: ha portato, perfino l’acqua della sorgente fino al roccolo dopo aver praticato un profondo scavo nel terreno, quindi servendosi di un robusto tubo di gomma. La sorgente si trova 700 metri più in alto dell’impianto.
Raffaello mi racconta di aver catturato un’upupa che, poi, ha lasciato andare nonostante la contrarietà di Adriano Donati che avrebbe voluto venderla. Durante il suo soggiorno nel roccolo, Raffaello andava anche a caccia di vipere che, poi, portava a un farmacista il quale provvedeva a farle avere a laboratori dove venivano utilizzate per produrre il siero contro il loro stesso veleno. Nei pressi del roccolo è possibile imbattersi anche in una vipera: di Nelle reti vennero catturati francolini di monte, coturnici, femmine di gallo forcello e vari rapaci, che venivano quasi sempre uccisi perché rovinavano le reti. Spesso Raffaello doveva litigare con Adriano che non voleva liberare alcuni volatili, tra i quali le tordelle. A volte facevano visita al roccolo i caprioli. D’inverno Raffaello lascia nei pressi del roccolo del pane affinché mangino i caprioli, specie quando c’è molta neve. Mi racconta che un capriolo era rimasto impigliato in una rete. Lo liberò, dopo averlo trovato per caso, camminando sotto il roccolo. Un tasso aveva fatto uno scavo nel terreno, sotto una delle reti della passata, perché non aveva trovato altro modo per arrivare dall’altra parte. Un giorno Raffaello aveva scorto un ghiro che aveva rubato le chiavi del roccolo e se le stava portando via, salendo lungo il sentiero. A volte vedeva una donnola. Un giorno aveva trovato morta nella custodia in legno delle reti del roccolo una martora che vi era rimasta imprigionata. Anche i camosci scendono a brucare l’erba nei pressi del roccolo. Un giorno, salendo lungo il sentiero che porta al roccolo, Raffaello si è imbattuto in una femmina di gallo cedrone. Il tetraonide si era posato a pochi metri. Lui le si era avvicinato, l’aveva presa e l’aveva appoggiata su un braccio. La cedrona non si muoveva e lo guardava incuriosita. D’un tratto spiccò il volo, precipitandosi giù lungo la costa del bosco. Gli amici, cui raccontò l’episodio, stentavano a credergli. L’uccello era in amore e così era molto confidente.
Ora Raffaello sta ripristinando il piccolo roccolo Musati sopra l’abitato di Baresi e sta sistemando un capanno di caccia nei pressi di Prà Landì, costruito nel 1960, nella zona delle Torcole.
Ripreso il sentiero dei roccoli, vedo sopra di me le cime dei Tre Pizzi e lo Spondone. Di fronte, dall’altra parte della valle, sul versante sinistro orografico, compaiono le cime che fanno da anfiteatro alla Valsecca. Continuando lungo il sentiero, dopo la “pozza” e una valletta trovo il roccolo del Veroppio a 1860 metri. Poi, dopo non molto appare il roccolo dei Larici o del Meschino a 1899 metri. L’impianto, che venne chiamato dei larici perché ricoperto dai rami di questa pianta che lo mimetizzavano, venne fatto funzionare da Ernesto Gervasoni, che oggi ha 94 anni, il cui nipote precipitò da alcune piante del roccolo, morendo sul colpo. Ora il roccolo funziona come capanno di caccia. Tra i roccoli del Veroppio e quello del Meschino, più in basso, nel bosco, scorgo il roccolo del Plinio. Di fronte, dall’altra parte della valle, sono visibili i due roccoli detti dello Scarpulì: uno sulla sponda e l’altro sul Coren del monte Menna. Uno appartiene a Rinaldo Milesi, ancora vivente.
Negli anni ’80 una ragazza di 13 anni morì sui Tre Pizzi, mentre raccoglieva stelle alpine. Era partita dal roccolo della Fontana.
Il sentiero continua seguendo la costa andando su e giù in mezzo ai mughi, un pò scosceso e attraversato da numerose radici di abeti, larici e mughi. Si alternano tratti pietrosi, praterie e boschi fitti di mughi che, a volte, arrivano a invadere il sentiero. Cammino lungo le pendici della Mencucca. Verso mezzogiorno arrivo al roccolo della Fontana a 1866 metri, che deve il suo nome a una sorgente d’acqua vicina e, poi, raggiungo il roccolo del Corno a 1814 metri, sostenuto da un muro possente, che si erge ardito, dominando gli abitati di Trabuchello e di Branzi, in Alta Valle Brembana. Le rocce nella zona del roccolo della Fontana sono di verrucano lombardo, di colore rosso. In questa zona il sentiero si snoda tra una fitta vegetazione di mughi di insolita altezza. Qui la vista è meravigliosa. Verso Ovest si erge il pizzo dei Tre Signori, poi, ci sono le Torcole con la valle dei Las e, verso Nord, si scorgono le montagne che sovrastano Foppolo, tra le quali il Toro e il Corno Stella. In lontananza si distinguono le montagne della Valtellina, tra le quali il Disgrazia e alcune vette della Val Masino.
I roccoli sono antichi impianti di cattura degli uccelli, profondamente legati alla storia e alla cultura delle montagne lombarde, in particolare a quella delle Orobie. La loro origine risale probabilmente al Medioevo. Raggiunsero il massimo splendore nel XIX secolo. Queste strutture venivano costruite con grande abilità e si mimetizzavano perfettamente nell'ambiente naturale grazie all'uso di rami di larice e di abete.
Ogni roccolo era dotato di un giro di piante, detto tondo, all’interno del quale veniva tesa la rete. I roccoli erano situati in punti strategici, lungo le vie di migrazione degli uccelli. In passato ebbero un importante significato sociale ed economico, rappresentando una risorsa per le comunità montane che li gestivano. Con il passare del tempo, il loro utilizzo è stato abbandonato a causa dei cambiamenti legislativi e della sensibilità crescente verso la tutela della fauna selvatica.
Questi impianti sono oggi testimonianze di una tradizione passata e costituiscono un patrimonio storico e architettonico unico.
Nel ritorno, abbandonando il sentiero, mi addentro tra i mughi per scendere a far visita al roccolo del Cornela, costruito in un luogo impervio, su una roccia. L’impianto è dotato di un tondo di piante posto su una balza di pietra in una posizione di straordinaria bizzarria.
I roccoli di Roncobello (tranne quello di Campo) sono di proprietà comunale e venivano dati in gestione a privati che li mantenevano attivi.
Escursione affascinante: andare per credere.
12.01.25