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LA CISA-IKAR A TESSALONICA

QUEST’ANNO SI È SVOLTA IN GRECIA LA RIUNIONE AUTUNNALE DELLA COMMISSIONE MEDICA ALLA QUALE HANNO PARTECIPATO SANITARI PROVENIENTI DA TUTTO IL MONDO

Di Giancelso Agazzi

 

 

Dal 15 al 19 ottobre 2024 ha avuto luogo a Tessalonica la riunione autunnale della commissione medica della Cisa-Ikar. Vi ho partecipato quale rappresentante della commissione centrale medica del CAI.

L’evento ha avuto inizio giovedì 17 ottobre alle ore 8.

Per primo è intervenuto il presidente della commissione medica della Cisa-Ikar John Ellerton, del Patterdale Rescue Team, con alcune comunicazioni. In particolare ha parlato delle linee guida riguardanti il soccorso in altissima quota, oltre i 5000 metr,i che stanno per essere messe a punto da un gruppo internazionale di medici, diretti dal canadese Kyle McLaughlin. A quote molto alte i rischi aumentano. L’intromissione dei media, sempre più pressante, può essere pericolosa. L’etica di questo tipo di soccorsi è stata lungamente discussa, ma è tuttora incompleta. Il soccorso organizzato in montagna proviene dal soccorso improvvisato. Il soccorso organizzato ha creato un sistema di “rules of rescue conduct” per la gestione del rischio. L’Ikar produce documenti tecnici e medici che si basano sulla letteratura scientifica, sulla opinione di esperti e su position paper riguardanti l’etica dell’altissima quota. Il soccorso improvvisato potrebbe adottare sistemi provenienti dal soccorso organizzato. Ellerton ha citato le parole di Edmund Hillary “You have a duty, really, to give all you can to get the man down and getting to the summit becomes very secondary“. Aiutare qualcuno che si trova in difficoltà costituisce una priorità assoluta rispetto al raggiungimento di una vetta. Salvare una vita o ridurre il danno alla salute di una persona ferita va oltre la conquista di una montagna.

 

 

Climi estremi, deterioramento dei materiali e uno studio sul riscaldamento

 

Ha, poi, preso la parola il primo relatore Steve Roy, medico canadese di Calgary, che ha trattato i problemi cui vanno incontro i materiali che si espongono ai climi estremi, proponendo come proteggerli dal freddo e dagli agenti atmosferici, che ne causano il degrado.

Anne Marthe Helland, giovane ricercatrice del soccorso alpino norvegese, ha presentato una relazione dal titolo “The Norwegian Mountain Medicine Reserach Group and the MountainLab concept”. La relatrice ha parlato dell’evoluzione del suo gruppo di soccorso, nato formalmente in Norvegia nel 2021 dall’entusiasmo e dalla curiosità, con la collaborazione dell’università di Bergen, dell’Haukeland University Hospital e della Norwegian Air Ambulance Foundation per rispondere alle esigenze della medicina di montagna. La relatrice ha illustrato un suo studio realizzato su 12 volontari dal titolo “Effect of active external rewarming on core temperature rewarming rate in simulated accidental hypothermia”. La temperatura dei soggetti è stata portata a 35°C, immettendo aria fredda nell’ambiente. Due sono stati gli scenari per il riscaldamento: riscaldamento passivo e riscaldamento esterno attivo (coperta elettrica, chemical heating, electric heated balaclava). Lo studio è durato due giorni con una fase di wash-out di cinque giorni.

 

Le ultramaratone

 

Aaron Reilly, medico del soccorso alpino del New Mexico (USA), ha parlato di “Ultramarathon medicine: unique austere medicine education opportunities for medical learners”. Dal 2008 questo tipo di competizioni ha avuto una enorme diffusione, con moltissimi partecipanti. Importante è il pre-race screening, che valuta l’esistenza di pregresse malattie. I partecipanti devono ricorrere alla loro resilienza mentale e alla capacità di saper decidere rapidamente (decison making in real time). L’ultramaratona rappresenta una sfida estrema sia a livello fisico sia a livello mentale. L’ambiente che viene affrontato è di tipo estremo (caldo o freddo estremi). Esistono tre livelli di ultramaratona, in base alla distanza percorsa, al numero di partecipanti e al tipo di ambiente. Tra i principali danni: traumi, lesioni della pelle e dei tessuti molli, lesioni muscolo-scheletriche, problemi gastrointestinali e lesioni ai piedi. L’ipoglicemia rappresenta un problema, come la disidratazione. Importanti sono la presenza di un team medico e l’organizzazione di sessioni didattiche che sappiano informare gli atleti circa i problemi fisici e mentali cui potrebbero andare incontro. Fondamentale è la presenza di POC e di ecografi.

 

I diplomi di medicina di montagna

 

Jason Williams, paramedico della New Mexico University di Albuquerque (USA), ha illustrato il DiMM (Diploma in medicina di montagna). Il corso comprende la collaborazione con i team di soccorso in montagna e con l’università e sessioni di tipo pratico guidate da istruttori di grande esperienza. Per il futuro si prevedono lo sviluppo continuo delle linee guida del DiMM e la creazione di un registro internazionale e un network per i partecipanti. Sta nascendo un diploma di medicina di montagna anche in Cile.

È seguita da parte di Emmanuel Pikoulis la presentazione del 1° Diploma di medicina di montagna organizzato in Grecia secondo le indicazioni della commissione medica dell’UIAA, dell’ISMM e della commissione medica della Cisa-Ikar. La durata del corso è di due anni. Dal 2007 in Grecia, dove peraltro non esiste l’elisoccorso, viene insegnata la medicina di montagna.

 

L’uso del verricello nei pazienti intubati

 

Sven Christiar Skaaiaa, medico di emergenza della division of Pre-hospital Services, Air Ambulance Dept. Oslo University, ha presentato una relazione dal titolo “Characteristics of helicopter hoist operation with intubated patients: a retrospective analysis of a Norwegian physician staffed SAR helicopter service”.  In Norvegia esistono sei basi di elisoccorso, distribuite su un territorio molto vasto. Le missioni che prevedono l’utilizzo del verricello (HHO) sono poco frequenti (2-6%), ma in aumento, poco descritte in letteratura. Si tratta di operazioni complesse, con più fasi, con procedure dedicate e training. È stata eseguita una analisi retrospettiva dal 2011 all’aprile 2024. Il criterio di inclusione è l’HHO con pazienti intubati. L’HHO può rappresentare un’opzione favorevole quando il soccorso terrestre è in ritardo o se vi sono fattori di rischio addizionali sia per i pazienti sia per i soccorritori.

 

Il protocollo DOKEI

 

La dottoressa in medicina giapponese Kazue Oshiro ha parlato di “Clinical outcomes of challenging out-of-hospital hypothermia management: A retrospective assessment of DOKEI protocol”. In Giappone l’ipotermia accidentale rappresenta la seconda causa di morte in montagna (14,8%, 81/548), la prima causa sull’isola di Hokkaido (34%, 12/32), dati raccolti tra il 2011 e il 2015. Nel Denali National Park (1903-2006) invece l’ipotermia accidentale ha un’incidenza del 16,7% (16/96), mentre nell’Aconcagua National Park (2001-2012) l’incidenza è del 15,2% (5/33). La relatrice ha illustrato le linee guida esistenti riguardanti l’ipotermia accidentale. In caso di ipotermia accidentale da moderata a severa si deve cercare di evacuare il paziente il prima possibile, attuare un riscaldamento esterno di tipo attivo e muovere l’infortunato con cautela, mantenendolo in posizione orizzontale. Nell’eventualità in cui le condizioni siano difficili, come per esempio per ragioni di meteo avverso, di oscurità o di impossibilità di intervento dell’elisoccorso, le risorse sarebbero più limitate e il rischio per i soccorritori più alto. I dati sono stati raccolti nell’isola di Hokkaido dal 1998 al 2022, secondo la revisionata classificazione svizzera (RSS) dell’ipotermia. Il servizio DOKEI si occupa del soccorso nell’isola di Hokkaido con 2-8 operatori specialisti della polizia del’”Hokkaido Police Organisation” che ricevono istruzioni in remoto da medici del soccorso. Ogni anno vengono organizzati corsi di aggiornamento e di training secondo un protocollo specifico. L’esperienza dei team varia da uno a trent’anni, da 15 anni in su per i comandanti. Ogni team è dotato di adeguato equipaggiamento. Vengono adottate opportune strategie di riscaldamento del corpo dei pazienti ipotermici, mediante l’impiego di appositi recipienti contenenti acqua riscaldata sul posto, applicati sulla più larga superficie corporea, che viene sostituita ogni ora, cercando di far salire la temperatura interna il più possibile. Il protocollo DOKEI prevede una movimentazione del paziente ipotermico in modo delicato, adagiato in un sacco a pelo, isolato dal terreno, mantenendo la posizione orizzontale. Nel caso il paziente sia cosciente e non ferito, si possono somministrare bevande calde o alimenti ricchi di carboidrati dal potere riscaldante. L’arresto cardiaco non è frequente negli ipotermici con una temperatura corporea inferiore a 30°C, senza complicazioni. Di fondamentale importanza è la misurazione della temperatura corporea del paziente. Il grado di risposta all’ipotermia varia da individuo a individuo. Il protocollo è particolarmente utile in montagna, dove l’evacuazione rapida del paziente è difficoltosa. Aiuta nel prevenire il rescue collapse. Le attuali linee guida (ERC 2021 & WMS 2019) raccomandano un trasporto rapido presso un centro dotato di ECLS per i pazienti con alterazioni dello stato di coscienza, instabilità cardiaca, bassa pressione arteriosa o temperatura corporea inferiore a 30°C. La durata del trattamento dei pazienti ipotermici sul posto varia a seconda delle condizioni del soggetto e delle condizioni in cui viene effettuato il soccorso. L’ipotermia di tipo moderato è la più frequente.  La durata del recupero spesso supera i 30 minuti.

L’ampia aderenza sta a indicare che il protocollo è essenziale, pratico, versatile, adattabile a seconda dei vari stadi di ipotermia ed efficace nei vari scenari dinamici di soccorso. Può essere effettuato in scenari di auto-soccorso come nel corso di spedizioni polari o alpinistiche in alta quota o in altre situazioni di isolamento che richiedono il trattamento di un caso di ipotermia accidentale. Il protocollo può mitigare il rischio di un arresto cardiaco, qualora una rapida evacuazione non sia possibile.

 

Travolti da valanga: come è cambiata la sopravvivenza

 

Hermann Brugger, vicepresidente dell’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano, ha presentato una relazione dal titolo “Avalanche Survival 1981-2020”. Il relatore ha parlato di come è cambiata nel tempo la percentuale di sopravvivenza dei travolti da valanga, grazie all’evoluzione e al contributo della tecnologia. Tra le istituzioni coinvolte l’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano, l’Istituto per la ricerca sulla neve e sulle valanghe di Davos (Ch), la divisione di medicina intensiva dell’ospedale di San Gallo (Ch), il dipartimento di medicina di emergenza dell’Università di Berna e la Rega di Zurigo. Sono stati presi in considerazione nello studio 1643 individui sepolti in valanga, con una casistica di 3805 valanghe che hanno travolto 7059 persone, con età media di 37 anni (81% maschi). Nel 15% dei casi non è stata registrata la durata del seppellimento. Il 70% dei travolti da valanga è stato soccorso dai compagni, il 13% dai team di soccorso. La percentuale di sopravvivenza dei soggetti travolti in modo serio è aumentata dal 43,5% al 53,4%. In particolare la percentuale di sopravvivenza delle vittime soccorse dai compagni è passata dal 68% al 74,8%, mentre nel caso di soccorso organizzato dal 14% al 22,9%. La probabilità di sopravvivenza è rimasta al 91% nei primi dieci minuti, scendendo al 31% tra i 10 e i 30 minuti dal travolgimento. In caso di lungo seppellimento il tasso di sopravvivenza è passato dal 2,6% al 7,3%. La durata media del soccorso è scesa da 45 minuti a 25 minuti. Nel caso di soccorso effettuato dai compagni è sceso da 15 a 10 minuti. La percentuale di soccorsi effettuata dai compagni è salita dal 47,4% al 49,2%, mentre quella effettuata dai soccorritori professionisti è diminuita dal 48,1% al 42,8%. La percentuale di sopravvivenza è principalmente dovuta alla diminuzione del tempo impiegato nell’effettuare il soccorso, da attribuire al miglioramento tecnologico dei vari device, più sicuri, alla cultura e all’addestramento di coloro che praticano gli sport invernali. La possibilità di sopravvivere solo 10 minuti anziché 15 può essere attribuita alla gravità del trauma o, più probabilmente, per ragioni ancora non note, all’insorgere precoce dell’asfissia. Il rischio potrebbe essere legato al tipo di densità della neve, anche se al momento non esiste una forte evidenza in grado di supportare questa ipotesi. La percentuale di sopravvivenza nei casi di lungo seppellimento è aumentata di tre volte. Ciò potrebbe dipendere dal miglioramento dei soccorsi organizzati, dalla gestione delle emergenze mediche e da un più idoneo equipaggiamento.

 

L’air pocket nei sepolti da valanga

 

Giacomo Strapazzon, direttore dell’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano, ha presentato una relazione dal titolo “Airway patency and air pocket in crtically buried avalanche victims”. Le attuali strategie sul terreno prevedono di evitare un seppellimento critico, l’ostruzione delle vie respiratorie, l’ipercapnia e favorire un soccorso attento e cauto. È stata effettuata una scoping review tramite i database di Medline e di Cochrane. Il seppellimento di breve durata è stato del 19% rispetto al 66% di quello di lunga durata. La pervietà delle vie aeree era presente nel 65% dei casi, mentre il tasso di sopravvivenza del 78% dei casi. La percentuale di pervietà delle vie aeree era del 38% (14-96%) in un campione di 566 casi. La prevalenza di vie aeree ostruite era del 12% (4-55%). I 19 casi sopravvissuti (3%) a un seppellimento di lunga durata sono stati attribuiti alla categoria con vie aeree pervie. La presenza di un air pocket è stata riportata in 77 (19%) dei 408 casi, mentre era assente in 186 casi (46%). Non è stato segnalato in 145 casi (35%). I soggetti con ostruzione delle vie aeree sono stati associati a quelli senza presenza di airpocket. La presenza di pervietà delle vie respiratorie senza air pocket è stata riportata in 87 casi (48%). Nel presente studio si è evidenziato che nei soggetti con seppellimento critico in valanga le vie aeree erano tre volte più prevalenti rispetto a quelli con vie aeree ostruite. Dovrebbe essere migliorata la documentazione riguardante la pervietà delle vie aeree e la presenza di un air pocket, identificando i fattori che possono condizionare la percentuale di ostruzione delle vie aeree.

Giacomo Strapazzon ha, successivamente parlato di “A critically prolonged avalanche burial (when everything goes right)”. Il relatore ha presentato una serie di casi di seppellimento prolungato in valanga.

 

Proposte ambiziose

 

È seguita la relazione di Mike Inniss, medico membro della Canadian Society of Mountain Medicine e della commissione medica della Cisa-Ikar, che ha presentato una relazione dal titolo “Mountainside Triage: it’s time for an update?” Il relatore ha presentato una sua proposta per aggiornare le raccomandazioni riguardanti il mountainside triage. Potrebbe essere effettuata una revisione delle passate e presenti raccomandazioni dell’Ikar e della WMS, discutendo lo scope delle raccomandazioni 2025, dando la priorità a quelle messe a punto dall’Ikar. Si potrebbe visionare la letteratura, valutando criteri e risultati, eventualmente anche cambiando i colori del triage.

Venerdì 18 ottobre sono continuati i lavori della commissione medica della Cisa-Ikar.

 

Raccomandazioni, pericoli meteo e un progetto

 

Peter Paal e Jason Williams sono intervenuti per parlare di un aggiornamento delle vecchie raccomandazioni dell’Ikar riguardanti l’immobilizzazione dei pazienti. Viene proposto di creare un gruppo di lavoro. Si dovrebbe effettuare una scoping review della letteratura esistente (18.000 papers), stabilendo alcuni criteri.

Jeremy Windsor, medico della British Mountain Medicine Society di Chesterfield, ha parlato di “Developing a mountain rescue service on Lenin Peak”. Dalla fine di giugno fino a settembre la montagna è frequentata da molti alpinisti, provenienti da varie parti del mondo e, a volte, affetti da malattie croniche. La montagna dell’Asia Centrale è abbastanza pericolosa a causa dei venti e delle bufere che la colpiscono. Da ciò nasce la necessità di fare formazione, prevenzione e di educare gli alpinisti. Il relatore propone un progetto che si occupi delle varie problematiche esistenti, creando un Emergency Medical Service, per prevenire, trattare e seguire il follow up delle malattie di alta quota per coloro che frequentano il Peak Lenin. Potrebbe essere creato un servizio di elisoccorso.

Kyle Mc Laughlin, medico di emergenza di Canmore, Alberta, Canada, ha presentato il progetto “Rescue at very high altitude Project”, che coinvolgerà numerosi esperti di soccorso in montagna di dieci nazioni e si prefigge di stendere linee guida riguardanti il soccorso a quote estreme (oltre i 5000 metri). Reclutati alcuni componenti delle commissioni medica, terrestre e aerea della Cisa-Ikar, guide alpine, alpinisti e piloti. Verrà preso in considerazione l’utilizzo dell’ossigeno supplementare.

 

L’incidente della Tête Blanche

 

Pierre Metrailler, medico svizzero, delegato KWRO, ha parlato di “Review of the Tête Blanche intervention 9-10.03.24”. Sei sci-alpinisti tra il 9 e il 10 marzo 2024, durante l’attraversata tra Zermatt e Arolla, sono stati bloccati a 3500 metri da una violenta tempesta. L’allarme è stato dato alle 4,03 da parte di un parente degli sci-alpinisti, i quali non potevano essere raggiunti con il telefono cellulare. Alle 5,19 uno sci-alpinista è riuscito a contattare il rescue call center del 144, segnalando la posizione. Il vento soffiava a una velocità di 120 chilometri/ora e sono caduti 30 centimetri di neve. La temperatura esterna era (wind chill) di -30°C. Nonostante il prodigarsi dei soccorritori i sei sci-alpinisti sono morti, e uno di loro non è stato trovato (si trattava di una donna). I corpi sono stati trovati ricoperti dalla neve caduta. La colonna dei soccorritori è partita da Zermatt alle 18,20 del 9 marzo, rinunciando a proseguire alle 21. I soccorritori sono giunti sul luogo dell’incidente alle 21,18 del 10 marzo 2024. A causa delle avverse condizioni atmosferiche gli elicotteri non sono riusciti a raggiungere nell’immediato il luogo dell’incidente.  Solo nei giorni successivi sono arrivati quattro elicotteri di Air Zermatt, Air Glaciers e Rega. Le operazioni di ricerca si sono svolte per più giorni. Come conclusioni si può dire che non si deve mai perdere la speranza e si devono utilizzare tutti i mezzi necessari a un soccorso, sempre garantendo la sicurezza degli operatori. La logistica e l’organizzazione di un soccorso in montagna sono essenziali. Una particolare attenzione deve essere rivolta al trattamento dei pazienti ipotermici. L’incidente in oggetto ha determinato un impatto psicologico molto pesante sia sui soccorritori, sia sull’opinione pubblica. L’episodio ricorda il dramma della Pigne d’Arolla del 29 aprile 2018, quando 14 sci-alpinisti sono stati sorpresi da una violenta bufera: sette sono morti a causa dell’ipotermia e sette sono sopravvissuti.

 

La valanga del ghiacciaio d’Armancette

 

È seguito l’intervento del PGHM di Chamonix-Mont-Blanc (Peloton de Gendarmerie de Haute Montagne), attivo dal 1958. Presso il PGHM sono presenti tre ufficiali, 36 soccorritori e tre team con cani per ricerca in valanga. Vengono effettuati 1200 soccorsi all’anno e 1100 soccorsi in elicottero. È stato descritto il soccorso effettuato il 9 aprile 2023 sul ghiacciaio d’Armancette, in Alta Savoia, nella zona di Les Contamines-Montjoie, nelle Alpi Francesi, dove una valanga con una superficie di 75 ettari, lunga 2200 metri, distaccatasi dalle pendici dei Dômes de Miage a 3400 metri è precipitata fino a 1600 metri. È stata una delle valanghe che ha causato più morti degli ultimi dieci anni. Quindici sono stati gli sciatori coinvolti, tra i quali due guide alpine. Sette sono stati gli sci-alpinisti travolti, sei sono deceduti e uno è rimasto ferito. Sono intervenuti due elicotteri, tre medici, tre team con cani per ricerca in valanga. Sono stati utilizzati speciali mezzi per la localizzazione dei travolti. Hanno partecipato al soccorso 25 gendarmi del PGHM. La gestione di un simile incidente richiede sia resilienza, sia professionalità, caratteristiche che provengono dall’esperienza. Nel caso di una valanga di questo tipo occorre mantenersi lucidi, non soccombere alla tensione, allo scopo di organizzare il soccorso nel migliore dei modi.

 

L’esperienza di Grenoble

 

Marc Blancher, medico dell’emergenza del CHU di Grenoble, ha parlato di “Medical Assistance by Mountain Rescuers during Mountain Rescue Missions”. In Francia vengono effettuate ogni anno 8000 missioni di soccorso, delle quali 4000 avvengono in montagna. Oltre 2000 missioni presentano situazioni di pericolo di vita o di trauma severo, che richiedono un alto livello tecnico. Nel corso delle missioni di elisoccorso in montagna sono presenti un pilota, un assistente pilota (meccanico, addetto al verricello), due soccorritori professionisti e un medico di emergenza. È stato realizzato in Francia un progetto nazionale per standardizzare le skill e le procedure, mettere a punto le linee guida per il training e migliorare la qualità delle missioni di soccorso in montagna. È stato costituito un gruppo di 32 esperti provenienti dalle basi di elisoccorso, con tre coordinatori. I soccorritori provengono dai tre centri di addestramento nazionali. Tra i contenuti trattati: borsa medica (con relativi presidi), monitoraggio del paziente, assistenza accesso venoso e intraosseo, preparazione materiale per intubazione /ventilazione, preparazione dei farmaci, gestione di un arresto cardiaco, procedura per anestesia loco-regionale (blocco del nervo femorale), procedura per toracostomia, procedura per riduzione di una frattura ossea e applicazione di un stecca.Sono state date indicazioni per corsi nazionali di addestramento. Nel corso di dieci anni sono stati addestrati 700 soccorritori.

 

Guide alpine e salute mentale

 

Hidenori Kanazawa, medico radiologo giapponese e medico di emergenza, ha parlato di “Survey of Psychological Burden Mountain Accidents with Mountain guides in Japan”. Nel 2023 in Giappone gli incidenti in montagna sono stati 3568. Sono stati soccorsi 1833 individui, 1400 feriti e 335 tra morti o dispersi. È stato realizzato un questionario da somministrare a 132 guide alpine, di queste 73 hanno segnalato di essere andate incontro a un incidente con i loro clienti (55%). Si sono adattate le Recommendations for stress resilience in alpine rescue dopo un incidente. È stato creato un programma per la salute mentale per tutte le guide alpine, prevedendo la collaborazione di un mental health providerprima e dopo un incidente.

 

Di collaborazioni e comunicazione

 

Martin Musi e Peter Paal hanno proposto una potenziale collaborazione tra Cisa-Ikar e Wilderness Medical Society (WMS) per stendere delle linee guida (Clinical practical guidelines). Vanno esplorate le possibili risorse, valutando pro e contro. Può essere messo a punto un piano strategico.

Natalie Hölzl, medico del Bavarian Mountain Rescue Service, ha illustrato il forum e la piattaforma della commissione medica della Cisa-Ikar.

Luigi Festi, rappresentante per il CAI della commissione medica dell’UIAA, ha presentato il congresso internazionale che si terrà a Genova nei giorni 19,20 e 21 marzo 2025. Temi dell’evento il soccorso in montagna, in mare e nello spazio.

 

L’attività di soccorso in Nuova Zelanda

 

Peter Zimmer, del New Zealand Land Search and Rescue, è intervenuto con una presentazione dal titolo “Education and support for the psychological health and SAR practitioner well-being”. Il relatore ha illustrato l’attività svolta dal soccorso in montagna in Nuova Zelanda, dove esistono 3100 volontari con età media di 48 anni (30% donne e 69% uomini) e 64 gruppi. La durata media del servizio è di 7,7 anni (5,7 per le donne e 8,5 per gli uomini). In Nuova Zelanda esistono servizi di counseling.  Ci vuole la consapevolezza dell’incidente. Si devono normalizzare le reazioni, addestrare i soccorritori come richiesto, analizzare gli incidenti, riferendone le varie fasi.

 

1.12.24

 

 

 

 


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