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IN VERSILIA L’HEMS AL SUO 10° CONVEGNO

A SETTEMBRE GLI ESPERTI DI SERVIZIO MEDICO DI EMERGENZA CON ELICOTTERI SI SONO INCONTRATI A CINQUALE DI MASSA PER FARE IL PUNTO SU UN’ATTIVITÀ IRRINUNCIABILE QUANDO L’AMBULANZA PER QUALUNQUE RAGIONE NON BASTA  

Di Giancelso Agazzi

 

Si è tenuta nei giorni 20 e 21 settembre 2024 presso l’aeroporto di Cinquale di Massa la decima edizione del convegno della HEMS (Associazione Italiana di Elisoccorso).

Io ho preso parte alla sessione sanitaria del 20 settembre.

La prima sessione è stata moderata da Angelo Giupponi e da Giovanni Cipollotti.

Dopo l’introduzione di Alberto Baratta, medico anestesista rianimatore, ha preso la parola Elena Bignami, direttore dell’UOC 2° Anestesia e Rianimazione AOU di Parma, che ha illustrato le linee guida per l’elisoccorso e le raccomandazioni SIAARTI (Società Italiana di Anestesi e Analgesia, Rianimazione e Terapia intensiva) per il trasporto aereo pediatrico. La relatrice ha sottolineato l’importanza delle linee guida soprattutto dal punto di vista medico-legale. Fondamentali sono le competenze riguardanti l’anestesia pediatrica, acquisite dopo un’esperienza pregressa nei reparti di terapia intensiva. I presidi a bordo sono molto importanti: quali devono essere, come vanno mantenuti, la dotazione minima. Indispensabile la qualità della formazione dei sanitari. Le linee guida vanno riscritte. Rappresentano uno strumento utile per capire se un intervento è avvenuto in modo corretto. Si deve riuscire a sapere come e dove migliorare la qualità di una prestazione sanitaria. La raccolta dati deve essere il più precisa possibile per realizzare le linee guida che si devono basare sulla medicina dell’evidenza.  Queste ultime vanno realizzate da esperti che bene conoscono la materia, tenendo conto della letteratura. Esistono protocolli operativi inter-regionali. L’area pediatrica è rimasta chiusa nel suo guscio.

 

L’eco per il focus sul trauma

 

È seguita la presentazione di Francesco Forfori dell’Università di Pisa, che ha parlato di “Ecografia pre-ospedaliera: focus sul trauma”. L’ecografia costituisce uno strumento fondamentale in medicina clinica e richiede competenza.  Può essere utilizzata in vari contesti: territorio, shock room, terapia intensiva. L’uso degli ultrasuoni ha subito una notevole evoluzione nel corso degli anni, fornendo informazioni sempre più utili e dettagliate. Dovrebbero rappresentare una skill integrata nella formazione del medico di emergenza. Le indicazioni possono modificare il trattamento di un paziente. L’ecografia aiuta nella diagnosi e fa capire nella rianimazione, un dato estremamente utile che va acquisito. Si tratta di una procedura che certifica il grado di competenza di un medico. Può essere una competenza di base o più avanzata. Può avere un ruolo nel monitoraggio di un paziente e una risorsa in più per i trattamenti in atto, come verificare se un tubo è posizionato in trachea o in esofago o se vi sono lesioni delle vie aeree, o, ancora, se è presente liquido in cavità addominale. Non sempre la presenza di liquido in addome indica che il sanguinamento è attivo. L’ecografia del torace può aiutare nella diagnosi di emotorace e di pneumotorace. Può evidenziare pneumotoraci radio-occulti. Valutando il grado di estensione, può aiutare nell’individuare le cause di una desaturazione. Gli ultrasuoni possono servire per individuare un accesso vascolare, specie nei bambini. Sono utili anche nella diagnostica cardiaca come in un tamponamento oppure nella diagnosi di un’ipertensione endocranica o per stimare la perfusione splancnica. Ogni situazione deve essere contestualizzata, unendo tutti i tasselli a disposizione. Si, dunque, all’ecografia, ma con raziocinio.

 

La stabilizzazione della parete toracica

 

Francesco Coccolini, chirurgo generale e d’urgenza dell’AOU di Pisa, ha parlato di “Stabilizzazione chirurgica della gabbia toracica: chi, come, quando e perché”.  La stabilizzazione chirurgica della parete toracica costituisce una parte importante della gestione di un trauma toracico. I traumi toracici possono essere classificati secondo quattro gradi: minore (I), moderato (II) e severo (III e IV). L’instabilità emodinamica rappresenta una controindicazione alla stabilizzazione chirurgica delle fratture costali. Si deve tener conto sia dell’anatomia sia della fisiologia. La stabilizzazione chirurgica delle fratture costali dovrebbe essere effettuata entro 48-72 ore dopo il trauma. Nel caso in cui un intervento precoce di stabilizzazione di fratture costali sia controindicato, la stabilizzazione chirurgica dovrebbe essere eseguita entro 3-7 giorni dopo il trauma. Una lesione traumatica del cervello non rappresenta una controindicazione alla stabilizzazione chirurgica. Una contusione polmonare non costituisce una controindicazione assoluta. L’età avanzata, la presenza di comorbidità cardio-polmonari, patologie neoplastiche maligne o altre malattie terminali costituiscono relative controindicazioni relative alla stabilizzazione delle fratture, necessitando di una attenta valutazione del singolo caso. In pazienti affetti da empiema o trattati con radioterapia va valutato il rapporto rischio/beneficio. Occorre una stretta collaborazione tra chirurgo e anestesista, lavorando in sinergia (multidisciplinarità). L’età non preclude a priori un trattamento chirurgico. Secondo una metanalisi su nove studi effettuati tra il 2002 e il 2023 una corretta stabilizzazione della gabbia toracica riduce il numero di polmoniti, il numero di giorni di intubazione e di permanenza in terapia intensiva, con conseguente diminuzione dei costi. Fondamentale è il ricovero del paziente in una struttura idonea.

 

Il ruolo del radiologo interventista

 

Alessio Auci, direttore del reparto di Radiologia Interventistica dell’Ospedale Apuane di Massa, ha parlato di “Trauma toracico: ruolo del radiologo interventista”. In passato un traumatizzato che entrava in radiologia spesso era un paziente morto. Attualmente, grazie alle nuove tecniche della radiologia interventistica, si possono salvare molti traumatizzati. Mediante l’embolizzazione superselettiva è possibile intervenire per bloccare sanguinamenti. La radiologia interventistica può servire in occasione di lesioni traumatiche dell’aorta (quattro gradi di lesione). Occorre valutare il tipo, le dimensioni e il flusso di sangue di un vaso sanguigno, per individuare la gravità di un sanguinamento. È essenziale la presenza di un trauma team multidisciplinare. Nei pazienti con lesioni multiple serie un trattamento endovascolare permette una gestione soddisfacente con minori complicanze di tipo cardiovascolare, polmonare e neurologico. L’innovazione tecnologica con la comparsa dell’embolizzazione, di microcateteri e di stent ha permesso di ottenere migliori risultati mediante un trattamento mini invasivo dei pazienti traumatizzati.

 

Insufficienza respiratoria: come prevederla

 

Lorenzo Gamberini, medico dell’emergenza dell’Ospedale Maggiore di Bologna, ha parlato di “Trauma toracico e insufficienza respiratoria”. Il torace è la zona più colpita in un paziente politraumatizzato. Il trauma toracico provoca oltre il 25% delle morti causate da un evento traumatico. Un terzo dei traumatizzati ricoverati in ICU sono affetti da un trauma toracico. Tra i fattori da considerare per prevedere un’insufficienza respiratoria ci sono la pressione arteriosa sistolica, la frequenza respiratoria, il GCS (Glasgow Coma Score), il lung ultrasound score, il numero di fratture costali. Le aree contuse si infettano di più. Una polmonite può comparire nel 10-50% dei casi, un ARDS (sindrome da distress respiratorio acuto) nel 10-25%. Una TAC può evidenziare il volume di contusione polmonare mediante tecniche di segmentazione. L’ecografia polmonare può valutare un’insufficienza respiratoria. Una buona analgesia può far risparmiare costi e giornate di ricovero. Importante saper decidere quando trasfondere un traumatizzato toracico.

 

Il bilancio delle lesioni

 

Ettore Melai, direttore dell’UOC di Anestesia e rianimazione dell’UOC, Pronto Soccorso Cisanello, Trauma Center di Pisa, ha presentato una relazione dal titolo “Trauma toracico: gestione e ottimizzazione delle risorse CTZ vs Trauma Center”. Il trauma toracico rappresenta un terzo dei traumi maggiori. Nel 75-80% dei casi si tratta di traumi chiusi, nel 15-20% di traumi penetranti. Serve effettuare un inquadramento clinico diagnostico, e un bilancio lesionale. I traumi del torace possono essere classificati come stabile, minore, moderato e severo. Esistono una diagnostica primaria e secondaria: la radiografia del torace, l’ecografia del torace, la tomografia computerizzata con mezzo di contrasto, l’ecografia transtoracica-transesofagea. Il bilancio delle lesioni in seguito a un trauma toracico comprende la valutazione del danno, le condizioni delle vie aeree e del diaframma, le contusioni/fratture delle costole, l’eventuale coinvolgimento del cuore. Occorre il Bellano score per valutare un’ARDS. Il trattamento comprende l’ossigenoterapia, la ventilazione non invasiva, la ventilazione meccanica, la posizione supina, l’ECMO e, se necessario, la stabilizzazione delle costole.

La seconda parte della mattinata è stata moderata da Stefano Barbadori e Andrea Nicolini.

 

Il progetto SPITFIRE

 

Michela Ciminello, medico della base di elisoccorso di Grosseto, ha illustrato il progetto SPITFIRE (preoSPItal, managemenT, oF, hypotensIve, tRauma, in hEms), iniziato nel gennaio del 2021, che si occupa della gestione pre-ospedaliera dell’ipotensione traumatica. Nello studio vengono presi in considerazione: tipologia del trauma, tipo di soccorso, terapie e manovre pre-ospedaliere, gestione diagnostico/terapeutica intra-ospedaliera, insufficienza d’organo/complicanze, follow up a 30 giorni e outcome ospedaliero. Lo studio è ancora in corso. Nel 64.5% si tratta di traumi stradali. Nel 48% dei casi il polso radiale è assente. Nel 29.7% dei casi si verifica un arresto cardiaco pre-ospedaliero. Le basi che hanno aderito al progetto sono 30, ma solo quattro hanno avuto l’approvazione del comitato etico. Il Centro Trasfusionale dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo sta portando avanti un progetto per la gestione del sangue e del plasma a bordo di un elicottero. Esiste una variabilità nel trattamento ospedaliero. La casistica è, comunque, scarsa. Le schede del pronto soccorso spesso sono incomplete. Molte informazioni, infatti, vanno perse. Difficile è il confronto dei risultati raccolti. Tra i farmaci utilizzati: cristalloidi, emazie concentrate, fibrinogeno, amine, midazolam, ketamina, fentanyl.

 

L’arresto cardiaco refrattario

 

Giacomo Spinelli, medico anestesista e rianimatore del CO 118 Alta Toscana, ha parlato di “Arresto cardiaco refrattario ed ECLS: i dati della CO 118 Alta Toscana”. Complessa è la gestione dell’ACR refrattario. Viene definito arresto cardiaco refrattario quello che resiste a più di dieci minuti di defibrillazione e a più di due defibrillazioni. Vanno ricercate le ragioni di cause reversibili (EGA, ECO). Occorre seguire il percorso BLSD, prevedendo l’utilizzo dell’elisoccorso. Un arresto cardiaco (ACR) intra-ospedaliero ha una sopravvivenza alla dimissione del 15-17%. In Europa avvengono 50.000 casi di ACR extra-ospedaliero (89 casi ogni 100.000 abitanti). La sopravvivenza alla dimissione è dell’8-10%. Si registra un peggiore outcome quando il ROSC è tardivo. Nel 2022 si sono registrati 3300 arresti cardiaci; 1036 (31%) sono stati sottoposti a rianimazione da parte degli operatori del 118. I massaggiatori portatili automatici hanno migliorato la prognosi. In caso di prolungata ipotensione cerebrale le sequele neurologiche sono peggiori. Queste ultime si riducono se la RCP viene praticata da soccorritori occasionali. Fondamentali sono le istruzioni pre-arrivo fornite dal CO 118. Se viene effettuata una defibrillazione precoce con DAE immediatamente disponibile e FV la sopravvivenza può arrivare al 76%. Ottimale è l’esecuzione della RCP da parte di un equipaggio BLSD e ALS. Anche l’inizio precoce di ECPR (External Cardiopolumnary Resuscitation) con ECMO veno-arterioso (Extra Corporeal Membrane Oxygenation) serve a ridurre le sequele di tipo neurologico. Tra le strategie di defibrillazione l’erogazione di una DSDE (Double Sequential External Defibrillation) con due defibrillatori può servire. La prima scarica abbassa la soglia di impedenza, la seconda fa terminare l’aritmia. Il tasso di interruzione della FV è del 67.6% in una defibrillazione standard rispetto all’84.0% con DSED. Il ROSC compare nel 26.5% dei casi di impiego della defibrillazione standard rispetto al 46.4% con DSED. L’outcome neurologico è del l’11.2% dopo defibrillazione standard e del 27.4% dopo DSED. La sopravvivenza alla dimissione è del 13.3% dopo defibrillazione standard e del 30.4% dopo DSED. Tra le cause reversibili: ipokaliemia, ipomagnesemia, trombosi coronarica e trombosi polmonare. Importante praticare una RCP di alta qualità (massaggio cardiaco e ventilazione). Importante l’implementazione della tecnologia in ogni fase della catena della sopravvivenza e la collaborazione tra tutte le figure del sistema di emergenza intra ed extra-ospedaliero. Occorre la consapevolezza del fenomeno CPRIC (Cardiopolmunary Resuscitation induced Consciousness). Non tutti i pazienti hanno risultati ottimali. Complessa è la gestione logistica di un arresto cardiaco refrattario.

Perla Azzurra Buonaccorsi, infermiera del SET 112 di Siena, ha presentato una relazione dal titolo “HEMS Crew Member Training lo stato dell’arte: tra esercitazioni semestrali in ambiente e opportunità della simulazione indoor”. La relatrice ha illustrato le varie realtà che si occupano di addestramento dei soccorritori: “Prometheus Medical Training” (UK), “Trainig Academy A. Marchetti” di Sesto Calende e l’utilizzo dei simulatori.

Maurizio Missiroli, infermiere della Centrale Operativa 118 Romagna, ha parlato di “Arresto cardiaco e mezzi di soccorso avanzati infermieristici: impatto sulla performance”. In provincia di Ravenna sono state tolte le auto mediche a causa della carenza di medici. La decisone ha provocato molte polemiche. Le ambulanze hanno attualmente a bordo un autista e un infermiere, dopo di che si è verificato un calo del numero di chiamate.

 

La sindrome da sospensione

 

Simon Rauch, medico dell’Elisoccorso Alto Adige e di Eurac Research di Bolzano, ha parlato di “Una circostanza speciale in ambiente HEMS: la sindrome da sospensione”. Si tratta di una sindrome che potenzialmente può mettere in pericolo la vita di una persona che si trova appesa a una corda o a un’imbragatura in posizione verticale. Esiste una classificazione della sindrome da sospensione: acuta vicina alla sincope da sospensione, caratterizzata da leggero stordimento, capogiri, confusione, pelle pallida, sudorazione fredda, calore, disturbi visivi o nausea, bradicardia. Possono manifestarsi arresto cardiaco, che può comparire durante o dopo. La sindrome da sospensione sub-acuta può presentare deficit sensoriale o motorio a livello degli arti inferiori persistente per oltre 24 ore dopo il soccorso. Possono comparire disfunzioni di organo, in particolare comparsa di rabdomiolisi associata a una lesione acuta del rene. Può avvenire un arresto cardiaco oltre 60 minuti dopo il soccorso.  Il relatore ha citato il caso di un incidente in parapendio accaduto a una donna in Germania. Il recupero è avvenuto dopo 70 minuti. Era priva di coscienza e appesa. Il ROSC è avvenuto senza danni neurologici per la paziente. Nel corso di un convegno organizzato a Innsbruck il 18.11.72 Gerard Flora ha presentato una casistica di 23 alpinisti vittime di sindrome sospensione: dieci sono deceduti, mentre tredici hanno riportato un danno d’organo. La sindrome di sospensione può verificarsi durante varie attività sportive, come l’arrampicata e il canyoning e lavorative. Non esistono dati certi circa l’incidenza di tale sindrome. Per prevenirla è opportuno evitare il pooling venoso tramite un movimento attivo delle gambe. Il paziente va soccorso il prima possibile. Le sue gambe vanno sollevate immediatamente.  Il paziente va messo in posizione supina (prima in posizione semiseduta). In caso di prolungata sospensione rabdomiolisi e iperkaliemia sono frequenti (comparsa in genere dopo due ore). Arresto cardiaco, iperkaliemia ed embolia polmonare potrebbero essere considerate come cause potenzialmente reversibili e trattate.  La sindrome è simile a uno shock ipovolemico emorragico. È stato effettuato uno studio cross over su 20 maschi, misurando il pooling venoso mediante l’ecografia. Il test è stato eseguito sia a riposo sia in arrampicata. Sono stati misurati mediante spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS) il microcircolo, la concentrazione di emoglobina e di ossiemoglobina al polpaccio.  La NIRS è una tecnica che permette di stimare la percentuale di ossigenazione/deossigenazione dell’emoglobina a livello dei muscoli superficiali. È stata valutata mediante ecografia la risposta emodinamica.

Tredici dei venti partecipanti allo studio (30%) sono andati incontro a pre-sincope. È stato misurato il diametro della vena femorale superficiale. La dilatazione della vena ha evidenziato la comparsa di una stasi venosa con conseguente riduzione del flusso sanguigno. La frequenza cardiaca è rimasta costante. La pressione arteriosa sistolica è calata bruscamente.

 

L’autonomia infermieristica: un traguardo auspicabile per tutti

 

Valerio Bernardi, infermiere dell’emergenza territoriale/elisoccorso Areu Lombardia, ha parlato di “Core competenze e autonomia infermieristica in elisoccorso”. Regole, leggi e sentire comune richiedono un bagaglio di competenze condivise e un altro di competenze specifiche. Appare bene strutturata la formazione del team (corsi standard), mentre quella specifica è ancora parcellizzata. Il mantenimento di quanto appreso dagli operatori deve essere gestito in maniera adeguata. L’autonomia è regolamentata, ma la collaborazione con un medico è indispensabile. Per la pratica dell’elisoccorso serve un percorso specifico. L’autonomia infermieristica è un patrimonio comune, che, però, non è di tutti, ma, almeno per ora, appartiene solo a singole realtà. Di fatto, in alcuni luoghi, il lavoro in autonomia dell’infermiere di elisoccorso non è ancora la norma.

 

27.10.24

 

 

 


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